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Lenin a Napoli

 

Lenin a Napoli

Un confronto sul pensiero strategico

 

 

Il Laboratorio Politico Iskra di Napoli, nell’ambito di un percorso di riappropriazione degli spazi sociali, e segnatamente del “Parco Robinson”, riuscendo a farlo riaprire nonostante il disinteresse della Municipalità di riferimento, ha organizzato una due giorni (16 e 17 settembre) di concerti e dibattiti. Oggi, con la collaborazione del CAU (Collettivo Autorganizzato Universitario) di Napoli ed altre realtà studentesche che organizzano le scolaresche delle scuole medie superiori, si è tenuta, nell’ambito dei cicli di seminari “Bisogna sognare”, la presentazione con relativo dibattito dell’antologia di scritti di Lenin curata da Emilio Quadrelli (“Lenin. Il pensiero strategico. Il partito, il combattimento, la rivoluzione”, La Casa Usher, 2011).

A discutere, insieme al curatore del libro, era presente Francesco Piccioni, giornalista de “Il manifesto”. Una presenza numerosa di giovani e giovanissimi ha reso il pomeriggio ancora più stimolante.

Quadrelli, chiamato a spiegare le ragioni della rilettura di Lenin nel XXI secolo, ha esordito con l’invito a rifuggire da qualsiasi approccio al pensiero leniniano in chiave chiesastica. L’opera di Marx – continua il curatore – negli ultimi anni è stata scandagliata in fondo, sebbene spesso de-politicizzata, grazie al rinnovato lavoro della MEGA2 e dei collettivi e simposi di studi internazionali, ma anche grazie al tributo che le stesse classi dominanti, per voce di alcuni loro portavoce o intellettuali, hanno riconosciuto al Moro ed alle sue leggi economiche. Per Lenin il discorso è molto diverso e più difficile. Perché Lenin viene ricondotto immediatamente alla sfera del politico, sebbene sia stato anche un teorico di primo rango. La sua stessa opera tanto citata “L’imperialismo fase suprema del capitalismo”, spiega Quadrelli, va letta come opera prevalentemente politica, piuttosto che di teoria economica, come per lo più invece è intesa. La dimensione del politico assume un ruolo centrale nella teoria e nella prassi rivoluzionaria leniniane. Una prassi ed una teoria sempre immerse nel contesto storico-sociale entro cui il rivoluzionario russo si trovava ad operare. Il concetto di “scenario”, infatti, non è casuale nell’opera di Lenin. Lo scenario è il contesto entro cui si opera, lotta, costruisce il movimento rivoluzionario e la rivoluzione. Lenin, ad es., nello scenario della Prima Guerra Mondiale, comprende la dimensione internazionale della posta in gioco nella misura in cui individua correttamente l’importanza dell’unione delle lotte dei popoli coloniali con quelle del proletariato occidentale al fine della liberazione dell’umanità dalla schiavitù capitalistica, colonialistica ed imperialistica.

L’ignoranza dello “scenario” è deleteria per ogni forma di lotta cosciente e prospettiva di transizione, ma anche per una lotta di breve o medio termine. Quadrelli porta ad esempio, in merito, quello della recente lotta operaia alla Fiat (Pomigliano, Mirafiori…), laddove le organizzazioni conflittuali hanno mostrato un’enorme debolezza di organizzare e promuovere una lotta adeguata alla dimensione del nemico, proprio perché impostata sul piano nazionale, quando non locale, mentre gli agenti del capitale hanno agito su uno scacchiere mondiale.

Piccioni, anche stimolato dagli interrogativi del moderatore, esordisce con l’invito ad eliminare dal vocabolario politico della sinistra di classe la parola “inevitabile” in riferimento al socialismo, al comunismo, alla rivoluzione. Bisogna smontare le logiche dell’oggettivismo più spinto, del determinismo meccanicistico, e quindi della passivizzazione del dato soggettivo, contro le quali si scagliò lo stesso Lenin in più scritti e nello stesso “Che fare?”.

La stessa crisi sistemica (e non quelle meramente congiunturali) è un momento di prova eccezionale per tale tesi. La crisi, sostiene Piccioni, quando è sistemica vuol dire “rottura”, ovvero occasione di cambiamento. Ma il cambiamento non è sempre positivo. La crisi apre ad una serie di “possibilità”, opportunità, ma anche di rischi. È un momento, una fase in cui si “gioca il cambiamento”. Ma non lo fanno solo i subalterni, bensì tutti, soprattutto i capitalisti. Nella crisi sistemica entrano in campo quindi le soggettività, ed anch’esse non sono pre-determinate secondo logiche di progresso: possono caratterizzarsi in termini reazionari, xenofobi, razzisti, oppure progressisti o rivoluzionari.

In questa dimensione, prospettiva, acquista centralità il “pensiero strategico”, che consiste nel conoscere il mondo per sapere dove collocarsi e cosa fare. La crisi attuale del modo di produzione capitalistico – prosegue Piccioni – pone alla classe una serie di problematiche di primissimo ordine: la sopravvivenza del mondo e dello stesso genere umano, evidentemente richiamando la crisi ambientale e la conflittualità delle logiche del profitto con quelle della razionalità sociale e della vera sostenibilità dello sviluppo umano. Il pensiero strategico, allora, serve proprio ad alimentare la discussione fondamentale sul “da farsi”, sul trovare soluzioni ai problemi posti dal modo di produzione capitalistico. Ad alimentare una “idea-forza” che serva a conquistare spazi di egemonia, capacità di visione. Senza dimenticare che le categorie analitiche sono imprescindibili per sviluppare un’analisi corretta dell’ordine delle cose, ma poi il linguaggio da utilizzare per trasmettere il proprio programma politico deve essere diverso, adeguato ai tempi attuali (in ciò si nota la sensibilità, da raffinato giornalista, al problema della comunicazione con le nuove generazioni ma anche con i soggetti estranei alla dimensione del politico ma non di meno riferimento di una prassi politica fondata su linee di classe).

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