Don’t clean up this blood comincia il sabato mattina. Carlo Giuliani e’ stato ammazzato il giorno prima, c’è la manifestazione, col suo corteo imponente che grida contro la violenza della polizia e del governo, ci sono le cariche, feroci, i materiali di archivio si mescolano alle scene di devastazione “ricostruite” oggi.
Un gruppo di ragazzi assalta un bancomat, rovescia le automobili, uno di loro, francese, nero, riempie la molotov e boom! Daniele Vicari, che e’ anche autore della sceneggiatura insieme a Laura Paolucci, basata sulle ricostruzioni del processo, lascia pero’ molto di quanto accadde a Genova nel 2001 fuoricampo e concentra il racconto sull’assalto della polizia alla Diaz e sulle torture la notte stessa e nei giorni seguenti nella caserma di Bolzaneto, dove molti degli arrestati ancora sanguinanti per le botte vennero imprigionati, seviziati senza nessun diritto legale, senza che çhe le famiglie fossero avvertite.
E ha ragione Vicari a dire, nell’incontro subito dopo il film, che le definizioni coniate per quegli avvenimenti, “macelleria messicana”, “dittatura sudamericana” , sono un modo per non affrontare il vero cuore del problema: il fatto cioe’ che in un paese cosiddetto democratico, in un Europa democratica, sia stato possibile che questo accadesse.
Lui dieci anni dopo, cerca soprattutto di capire le ragioni profonde di questo. Il film quindi trasforma narrativamente la realtà lavorando in astrazione: ci sono un “prima” e un” dopo” che riguardano soltanto chi si trovera alla Diaz quella notte, la casualita’che porta una serie di persone a condividere l’esperienza.
In una serie di frammenti vediamo il lavoro dei mediattivisti al Genoa Social Forum, i ragazzi che cantano e si baciano nonostante tutto, le ragazze bellissime come nelle fotografie di Tano D’Amico nel 77. L’organizzazione dei bus, siamo alla fine del G8, le discussioni sui black bloc e le scelte da fare. Ma anche la polizia, i poliziotti eccitati che “non riesco piu’ a tenerli”, quello piu’ corretto che non esprime dissenso agli ordini (Claudio Santamaria), i vertici, come il capo della Digos di Genova Spartaco Mortola, o il capo del settimo reparto della mobile, Vincenzo Canterini, il suo vice Michelangelo Fournier, e ancora Francesco Gratteri, Gilberto Caldarozzi, responsabili dello Sco, servizio centrale operátivo (e quest’ultimo e’ stato difeso dall’attuale ministro della giustizia Paola Severino), Giovanni Luperi , l’ex capo della polizia Di Gennaro … Anche se i nomi sono diversi, sono stati tutti cambiati …
E i black bloc, il ragazzo nero e la sua amica francese, gli unici che non ci sonoquella notte perche’ si rifugiano in un bar …Chi alla Diaz arriva per caso, perche’ non sa dove dormire, perche’ gli alberghi non danno le stanze come il tipo del sindacato pensionati che dopo la manifestazione rimane a Genova per portare un fiore sulla tomba di un’amica …
O il giornalista (Lorenzo Guadagnucci del Resto del Carlino) interpretato da Elio Germano che arriva di testa sua perche’ non si puo’ stare davanti al computer a scrive tutti le stesse cose … L’attacco si ripete, va avanti e dietro per flashback, ritorna al pretesto, poi di nuovo dentro, poi alla mensa dei celerini, poi tra i ragazzi, in strada, le facce dei dirigenti, le bugie alla conferenza stampa, i giornalisti fuori, lo polizia in ospedale, la caserma e i suoi terribili esecutori di ordini.
Siamo nella finzione, anche se si parla di cose reali, accadute nel nostro paese, ed e’ bene che il cinema cominci a elaborarlo, la dimensione narrativa ha una forza diversa, anche in un qualcosa cosi mediatizzato e documentato come e’ stato il G8 a Genova, cosa che ha permesso di ricostruire le violenze nonostante poi la sentenza abbia riconosciuto delle responsabilità assai limitate e si aspetti ancora il giudizio definitivo. Il momento reiterato del massacro nella scuola ha una sua forza, e’ inqueitante vedere che i tutori dell’ordine agiscano senza nessuna consapevolezza della legge e soprattutto senza rispetto per l’essere umano.
Ma queso degrado non e’ solo “astratto”, non puo esserlo in un’istiuzione che costruisce prove, mente ai cittadini, li priva dello stato di diritto e della democrazia. E’ anche, o soprattutto, politico, ha un contesto e una sua logica. E non si tratta di mostrare o no Berlusconi, che pure si vede in tv in uno dei tg d’archivio, la costruzione del G8 e’ stata politicamente preparata, e se si va indietro nel tempo, nella nostra storia, gli abusi e le violenza di stato hanno sempre una ragione “politica” usando il termine nel senso piu’ ampio.
Quello che al film manca e’ proprio la misura tra l’indignazione e la riflessione politica. Cio’ che e’ accaduto nel nostro paese e’ intollerabile. Vicari non cerca spiegazioni ne’ ci da risposte, e e’ una scelta giusta la sua, fuori dall’ideologia. Ma allora perche’ mettere in bocca a Claudio Santamaria poliziotto un po’ Ponzio Pilato, davanti al viso rotto di sangue di una ragazza: “I’m sorry” Mi dispiace?
da “il manifesto”
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