A causa delle caratteristiche che portarono alla sua unificazione. O annessione, chiarisce e argomenta il libro a proposito dei territori del Sud, conquistati e spogliati delle proprie ricchezze e del proprio futuro da una classe dirigente vorace e miope che perpetuò una questione meridionale ante-litteram già presente nel Regno delle Due Sicilie e trasformò quelle terre in una sorta di colonia interna. Una condizione che venne non rimossa ma anzi alimentata e perpetuata prima dal fascismo e poi dalla nuova democrazia postresistenziale. “La continuità storica è diventata un esercizio alla vessazione dei ceti più deboli, come a voler ricordare loro che chi comanda può cambiare il nome ma non la natura del suo potere”.
Tanto che “L’Italia che appare nel XXI secolo (…) è un’Italia stanca, rassegnata, adagiata nel suo torpore conservatore” scrive di Di Brango, che ripercorre e mette a confronto corrispondenze e divergenze tra le analisi di Antonio Gramsci, Gaetano Salvemini e Nicola Zitara. “Di Brango si richiama al pensiero e all’impegno dei Cattaneo, dei Ferrari, dei Carlo Levi, di Hannah Harendt e di Rosa Luxembgourg e più a fondo ancora, al bisogno di libertà che come l’aria sanguifica le fibre ed il cuore degli uomini” commenta nella prefazione il grande meridionalista Francesco Tassone.
La tesi del lavoro di ricerca di Di Brango è chiara: la guerra tra i due risorgimenti – quello liberale-monarchico e quello popolare-rivoluzionario – si concluse a favore delle classi dirigenti dello stato sabaudo, che cooptano sostanzialmente quelle dei territori annessi – prima ancora che la guerra di conquista mai dichiarata si sia effettivamente conclusa. Anche a causa della furbizia e della spregiudicata lungimiranza di Cavour e dell’inettitudine o dell’opportunismo di alcuni dei leader risorgimentali – Mazzini e Garibaldi in primo luogo – le cui parabole vengono impietosamente analizzate e desantificate dall’autore. “Il fine logico di questo lavoro si dipana su una struttura che (…) tenterà di dimostrare come le grandi contraddizioni sociali, economiche e politiche di oggi abbiano la loro scaturigine da un processo imperfetto che, tra omissioni, censure, prevaricazioni e sopraffazioni, ci restituisce al presente più italie divise e spesso, le une contro le altre armate”.
Un libro, quello di Di Brango, che affronta senza reticenze temi spesso elusi anche dalla storiografia progressista, come quelli del “brigantaggio” e del federalismo mancato. E che si rivela prezioso al momento di problematizzare e mettere in discussione una versione storica preconfezionata e artificiosa. Perché “tutto quello che è stato, dal 1861 ad oggi, nella storia politica d’Italia, è stato condizionato non solo dal peccato originale di una unità a dir poco imperfetta, ma dal gioco perverso di raccontarla diversa da quel che realmente è stata: sui libri, sui media, e su ogni altro mezzo in grado di condizionare la pubblica opinione”.
D’altronde, racconta Di Brango, riferendosi ai documenti sul reale andamento del Risorgimento, lo stesso Giovanni Giolitti, in un discorso alla Camera dichiarò candidamente: “Penso che non si possano dire tutte le ragioni che consigliano di usare qualche riguardo nel permettere lo studio di questi documenti. Non è bene sfatare delle leggende che sono belle”.
Per chi invece ha voglia di approfondire, anche a costo di sfatare qualche leggenda, l’appuntamento è a Roma il 14 giugno, alle 18, nella biblioteca del Dopolavoro Ferroviario in Via Bari 22.
Enzo Di Brango, L’Italia si cerca e non si trova. Unità federalismo democrazia di fronte alla colonizzazione del Sud. Cronaca di 150 anni. (Edizioni Qualecultura, 131 pp, 12 euro)
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