Menu

E’ morto Gore Vidal

Gore Vidal era considerato come una specie di “coscienza critica” del sistema statuniense e della sua politica ufficiale, che aveva messo a nudo nel suo romanzo, forse il più letto e famoso, “L’età dell’oro”.
Con questo suo lavoro, assieme però anche ad altri nello stesso stile, Vidal con una certa curiosità prova a scoprire quanto avviene nelle stanze del potere.
Vidal era considerato uno degli intellettuali nordamericani più critici, aveva scandalizzato lo spirito “puritano” dell’opinione pubblica statunitense raccontando per esempio il rapporto di Thomas Jefferson (3º presidente degli Stati Uniti, uno dei padri fondatori della nazione) con una schiava nera, o i risvolti peccaminosi della personalità di Abramo Lincoln.
Con l’ascesa del clan dei Kennedy alla Casa Bianca, divenne consigliere personale del presidente John F. Kennedy.
Vidal ha rappresentato tra altre cose una critica pesante alle strategie statunitensi, ci fa riflettere sull’etica del potere e sulle ambiguità di una morale che non è mai uguale per i vincitori e i vinti, raccontando o “romanzando” alcuni tra i più importanti avvenimenti storici del nostro tempo.
Con una particolare e viva passione politica. sommata ad una visione caustica, non convenzionale e satirica del modo di vivere degli americani, nel suo ultimo periodo di vita fù molto critico con la politica imperialista della presidenza statunitense di George W.Bush.
La letteratura critica statunitense, che ha dato vita a molte riletture delle suestrategie politiche (si pensi a Norman Mailer con il suo libro “le armate della notte”, di descrizione della marcia del 1967 quando un esercito di pacifisti marciò per la prima volta a Washington contro il governo, perché cessasse la guerra del Vietnam, oppure a Chomsky e Susan Sontag ed altri), con questa morte perde probabilmente una “voce” fondamentale soprattutto per meglio comprendere gli sviluppi possibili della politica statunitense per il terzo millennio. Gore Vidal si è opposto con forza alla “guerra infinita” scatenata dall’amministrazione Bush dopo gli attacchi dell’11 Settembre ed è stata una delle voci più critiche contro l’occupazione militare dell’Iraq.

In Italia la sua opera pubblicata più recentemente è “Le menzogne dell’impero e altre tristi verità” (Fazi Editore. 2002).
Si tratta di undici articoli e saggi brevi di Gore Vidal, pubblicati tra 1992 e 2002, raccolti in un libretto che ha guadagnato tutte le caratteristiche del documento storico-politico a nemmeno dieci anni dalla prima edizione.
Nel primo saggio, Vidal deplora la liquidazione dei fragili Dieci Emendamenti e del sistema di governo repubblicano a un solo anno di distanza dall’11 settembre 2001; conferma che Bush e Cheney non informarono i cittadini dell’allarme rosso segnalato da Mubarak, Putin, Mossad e FBI; è convinto che Bush abbia lasciato tutti all’oscuro per giustificare il già pianificato attacco all’Afghanistan (p. 12), giocando al replay di Pearl Harbor. Vidal scrive che è molto probabile che nessuno abbia ordinato all’Aviazione di intervenire per intercettare gli aerei dirottati fino a quando era troppo tardi (pp. 23-24). “Qualcuno – aggiunge – aveva dato ordine di bloccare e disattivare la procedura standard operativa obbligatoria” (p. 25).
I grandi preparativi per l’aggressione all’Eurasia, scrive Vidal, sono cominciati già a fine anni Ottanta, epoca del conflitto Iran-Iraq: “L’islam è stato demonizzato e presentato come un culto satanico terroristico, che incoraggia attentati kamikaze – che invece la religione islamica, e sarà bene sottolinearlo, condanna” (p. 17). Gli States stanno adorando il “vitello d’oro del capitalismo”, e nel nome del capitalismo hanno adottato una strategia imperialista disumana e omicida. Le origini recenti, a ben guardare, stanno – secondo Vidal – nella prassi del finanziamento ai movimenti islamici in funzione antisovietica. Ipotesi non del tutto peregrina. Che ci fosse simpatia, un tempo, lo conferma in letteratura l’allora giovane Vollman, nel suo mai abbastanza letto “Afghanistan Picture Show” (US 1992, IT, Alet, 2005).
Nel secondo articolo, “Ci siamo persi il ballo del sabato”, Vidal ricorda che i fatti di Pearl Harbor non sono esattamente quelli che ci hanno insegnato a scuola: “Fa parte del mito nazionale che l’attacco non sia stato provocato”, scrive. “A dire il vero eravamo in cerca di una guerra col Giappone dall’inizio del secolo” (p. 46). Quindi, sintetizzando i fatti di Corea e del Vietnam, maledice quel che la direzione degli States ogni tanto crede davvero: “che gli Stati Uniti sono il padrone della Terra e che chiunque ci sfidi verrà colpito dal napalm, stretto d’assedio o rovesciato in segreto. Siamo al di fuori della portata della legge, il che non è insolito per un impero; ma sfortunatamente siamo anche al di fuori del buon senso” (p. 49).
Nel quarto, “La tana del polpo”, si parla del “pulpo”, cioè la United Fruit Company, “le cui entrate annuali erano il doppio di quelle dello stato guatemalteco” (p. 79). Vidal spiega le responsabilità statunitensi nelle rovinose sorti del Guatemala. E altrove, più volte – questo è uno degli aspetti più terribili e notevoli dell’opera – nei confronti del suo stesso popolo. Nel 2000, “Usa Today” ha affermato (prima pagina) che quasi 7 milioni di cittadini fossero in prigione negli Stati Uniti. Significa il 3 per cento della popolazione adulta. Significa che i dati riferiti all’occupazione, completi di questo dato e di quello riferito a chi ha smesso, per disperazione, di cercare lavoro, avvicinano molto la media americana a quella europea: un cittadino su dieci è disoccupato.
Nel settimo articolo, “Mickey Mouse, storico”, Vidal ci ricorda che gli States hanno ancora basi in Belgio, Germania, Grecia, Italia, Olanda, Portogallo, Spagna, Turchia, Gran Bretagna (sette aeree, tre navali), Bermude, Egitto, Islanda, Giappone, Corea, Panama, Filippine, Arabia Saudita, Kuwait, Australia (misteriosa unità CIA di Alice Springs): si tratta d’un impero, capace di dare ordini alle nazioni vassalle di non fare affari con gli “Stati Canaglia”. Nel successivo, il polemico e feroce “Una lettera da consegnare”, parlando dello stato di Guerra Perpetua degli States, Vidal ricorda al “presidente eletto” (virgolette molto opportune) Bush Jr (2000) che dal 1949 al 1999 gli States hanno speso 7.100 miliardi di dollari per la “difesa nazionale”, maturando un debito di 5.600 miliardi. “Ci lamentiamo del terrorismo” – si dispera Vidal – “eppure il nostro impero è oggi il terrorista più spietato. Bombardiamo, invadiamo e sovvertiamo altri Stati” (p. 117). Non poteva spiegarlo con maggiore chiarezza, e universale condivisibilità scrive la recensione al libro di Gianfranco Franchi su Lankelot.

 

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *