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L’ultimo j’accuse di Renato Nicolini

Quello che segue è l’ultimo articolo scritto da Renato Nicolini. E’ comparso sul Manifesto alla fine di giugno. Il titolo è: “Cambiamo Roma, sono pronto”. Testimonia della sua vitalità e della sua lucidità nell’indicare i veri responsabili del nuovo sacco di Roma, Veltroni e Morassut, rispettivamente ex sindaco di Roma e assessore all’Urbanistica. Oggi la camera ardente al Campidoglio.

Confesso di restarci un po’ male quando vedo che nessun giornale o gruppo associa a sinistra il mio nome alle ormai prossime elezioni per il sindaco di Roma. Oltre a Nicola Zingaretti ed all’incredibile Patrizia Prestipino (per me sarà sempre la Presidente del XII Municipio che, inseguendo il miraggio dei soldi delle opere di urbanizzazione per interrare la Cristoforo Colombo nel tratto monumentale dell’Eur, ha retto il sacco ad Eur Spa, condannando alla dinamite il Velodromo ed alla chiusura le Torri di Cesare Ligini), circolano i nomi di Sandro Medici, Paolo Berdini, persino dell’ex ministro Alessandro Bianchi che ha presentato un Progetto Roma. Eppure il trentennale della morte di Luigi Petroselli (nonostante il Pd romano abbia pensato bene di farlo commemorare dall’ex Dc Nicola Signorello – detto Pennacchione – quello che sconfisse Ugo Vetere nell’ ’85 ponendo fine all’esperienza delle Giunte Rosse) ci ha ricordato prepotentemente l’attualità politica della sua esperienza di sindaco. Due concetti erano alla base dell’idea per Roma di Petroselli. L’importanza della cultura, della risorsa immateriale per eccellenza, per il governo della la città. Qualcosa di complesso, che passa per il sentimento di cittadinanza e di appartenenza (piuttosto che d’immobile identità) messo in moto dall’estate romana; ma anche per il valore economico-politico-simbolico della competizione sul terreno culturale nell’epoca del mondo globale. Non ci sono solo le squadre di calcio e le Olimpiadi; si compete anche con il significato residuo dei luoghi e delle città, con i musei e i monumenti, con il paesaggio e con la storia, con la formazione la ricerca e la creatività, con l’immaginazione, con il piacere di vivere. L’autonomia della cultura, in un mondo sempre più servile ed etero diretto, è un valore inestimabile, ed a Roma c’è ancora cinema, teatro, televisione, arte, produzione di immaginario più che in qualsiasi altra parte d’Italia.

Il secondo concetto è la necessità di rompere con un’idea che associava invece la crescita economica di Roma soprattutto all’edilizia, tradizionale volano. Se questo fosse mai stato vero, in questi tempi duri per il keynesismo primitivo non lo è più. Non bastano più i lavori inutili. C’è un nuovo campo per l’impresa edilizia, che non è quello della costruzione di immobili di lusso destinati a rimanere invenduti; ma è quello della rottamazione e del risanamento, della ristrutturazione e del restauro, del recupero del paesaggio e dei valori immateriali, della capacità di dare consistenza di sistema aperto all’offerta culturale, dai Musei d’arte contemporanea, alla Festa del Cinema, al Sistema delle biblioteche, ai teatri ed agli spazi di spettacolo. C’è necessità di restituire regole e possibilità di controllo a ciò che è stato incautamente liberalizzato a partire da Rutelli finendo per trasformare la zona più delicata di Roma, il suo centro storico, in uno shopping mall a cielo aperto. Occorre recuperare in ogni direzione la capacità di progetto.
Apprezzo particolarmente in questo senso il tono dell’appello di Paolo Berdini. È vero, non è più possibile tacere. Non è possibile non dire che il piano regolatore di Morassut e Veltroni è il peggiore piano regolatore della storia di Roma capitale, che le ha appeso nel cielo giganteschi cubi di cemento non localizzati pronti a bombardarla con violenza. Se non vogliamo che l’economia romana sia a breve travolta dal prevedibile scoppio di una gigantesca bolla immobiliare, bisogna fare macchina indietro e piazza pulita. Roma non ha bisogno di illusioni. Di immaginazione sì, ma l’immaginazione è innanzi tutto riconquista di autonomia intellettuale, senza subordinazione ai declinanti miti della finanza… Sarebbe paradossale restare subordinati a quelli caserecci della banda dei quattro interna al Pci al tornante degli anni ’70, contro i quali l’Isveur e Petroselli cominciarono ad intervenire. Strano! Oggi si tenta di esercitare la damnatio memoriae contro Corviale e Torbellamonaca, non contro la speculazione di Caltagirone, Toti, Mezzaroma.

Se vogliamo che Roma esca dal nauseante pantano di Alemanno, non basta un sindaco di un segno politico diverso, occorre un sindaco che rompa con le cause del male, che affronti la sfida del suo mandato per la via giusta del programma, e non quella sbagliata degli accordicchi elettorali.
Essendo nato il primo marzo del 1942, dieci anni esatti dopo Petroselli, ho sempre pensato con una parte di me di essere destinato a succedergli. Per questo anche mi candidai a sindaco nel ’93 contro Rutelli (forse sarei dovuto uscire allo scoperto subito dopo la morte di Luigi). Non ho avuto occasione di pentirmene, al contrario. Ma proprio l’esperienza di allora mi ha insegnato che non si vince da soli, ma con gli alleati e con gli alleati giusti. Il mio obiettivo, per essere chiaro, non è il Campidoglio, ma la convinzione della necessità di una svolta nel progetto politico per amministrarlo. Non basta vincere: occorre cambiare, e per questo bisogna dichiarare di voler cambiare anche rispetto ai quindici anni di Rutelli e Veltroni. Sono disponibile a partecipare a ogni squadra che si proponga quest’obiettivo, ragioniamone insieme.

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