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Teoria della totalizzazione

D. Partiamo dalla frase di presentazione proposta dall’editore: un affresco potente e originale del capitalismo e delle sue contraddizioni. Perché quei due aggettivi?

R. Io credo che l’aggettivo “potente” si riferirsca al carattere di sistematicità del libro. La gran parte dei saggi che vengono oggi pubblicati propongono approfondimenti circoscritti; e se si spingono su orizzonti di carattere generale, lo fanno con un taglio non analitico ma da opinionisti. Qui è invece proposta una rappresentazione complessiva del capitalismo e delle sue modalità di funzionamento, della sua forza e della sua debolezza. Quanto al secondo aggettivo ritengo che il lettore potrà accoglierlo come veritiero fin dalle prime pagine: questa specifica narrazione del capitalismo è diversa non solo rispetto al quadro che ne danno gli economisti, i quali assumono il capitalismo come assetto sociale in sé razionale e fondamentalmente “giusto”, benché esposto a possibili degenerazioni; ma è diversa anche dalla descrizione che ne fanno i critici del capitalismo, di ascendenza culturale marxista, o anche anarchica, i quali hanno difficoltà a vedere i tratti nuovi del capitalismo contemporaneo rispetto a quello dell’Ottocento e di buona parte del Novecento.

D. Il libro parla, infatti, di una terza fase della vita del capitalismo, la fase della totalizzazione, dopo l’età della concorrenza e l’età dei monopoli…

R. Sì. La totalizzazione del rapporto sociale di capitale è un processo arrivato a pieno compimento negli ultimi trenta, quaranta anni. Se dovessi sintetizzarla in una battuta, la totalizzazione è la irreggimentazione sociale del lavoro e dei tempi di vita delle persone e, contemporaneamente, la costruzione della valorizzazione degli investimenti sulla base della potenza degli agenti che vengono messi in moto nel tempo di lavoro e non più sulla base del semplice tempo di lavoro in sé. Questa nuova strutturazione del capitalismo, inoltre, ha conseguenze gigantesche nella composizione sociale, nella definizione delle gerarchie internazionali, nella coscienza delle persone e, soprattutto, nella loro vita quotidiana. Il capitalismo è diventato una compiuta dinamica sociale soltanto ora; e solo ora è capace di organizzare davvero l’intera società.

D. Ma il carattere pienamente sociale del capitalismo non comporta anche una sorta di anacronismo della appropriazione privata della ricchezza e della stessa proprietà privata?

R. Fino a un certo punto. L’iniziativa privata costituisce l’elemento specificamente dinamico nel formarsi delle relazioni di sistema. E’ difficile che il capitalismo possa farne a meno. Tuttavia è vero che la questione della proprietà è oggi assolutamente secondaria. Una volta si poteva tranquillamente dire che i capitalisti sono quelli che possiedono il capitale. Oggi è il capitale che possiede i capitalisti: pressoché con l’identica forza con cui possiede i lavoratori e le persone in genere. Il capitale è un sistema di relazioni sociali e procede in modo impersonale. Il suo obiettivo non è di arricchire qualcuno ma di crescere ulteriormente come sistema sociale.

D. E’ questo un modo abbastanza inconsueto di vedere le cose…

R. Mi permetto di dire che è anche il modo di recuperare la sostanza dell’elaborazione teorica di Marx. Soprattutto è una visione critica del capitalismo sul punto essenziale, e cioè sulla contraddizione fra questo sistema di relazioni sociali e l’aspirazione degli esseri umani a costruirsi umanamente in modo sempre più compiuto.

D. Non si rischia però, un discorso tutto ideologico, che non interviene sulle contraddizioni interne al capitalismo?

R. Tutt’altro. La teoria della totalizzazione mette in luce proprio le contraddizioni molteplici che ci sono all’interno della società capitalistica. Per dirne una, c’è in tutto il libro un continuo riferimento all’attuale crisi economica e alla precarietà sociale ed esistenziale che l’accompagna. D’altronde, le contraddizioni interne al sistema contengono in sé la possibilità del cambiamento. Non a caso l’oggetto del libro non è solo “il capitalismo”, ma anche il “suo possibile superamento”. Il punto è che le debolezze del sistema non producono da sole nessun mondo nuovo; domandano sempre un intervento attivo. Ma una cosa è battersi, ad esempio, per regolamentare i flussi finanziari dentro un orizzonte di critica della logica del profitto e delle relazioni sociali mercificate; ben altra cosa è richiedere regole e controlli finanziari sul presupposto che la finanza sia grossomodo una degenerazione del capitalismo, una sua malattia, la malattia di un corpo sano sulla quale intervenire con cure appropriate. Nel primo caso si porteranno avanti obiettivi certamente parziali, ma dentro un percorso che allude al possibile rovesciamento delle relazioni umane costruite sotto l’egida della “valorizzazione”; e quindi proponendo un nuovo assetto sociale, incentrato sui diritti, sui bisogni e sulla piena cittadinanza umana. Nel secondo caso, invece, prospettando la battaglia sulla mancanza di regole semplicemente col fine di esaltare la bontà del capitalismo e dei rapporti sociali edificati sul “valore”, si costringeranno le classi popolari, la stragrande maggioranza della popolazione, a muoversi ancora dentro il quadro di una società che vive esattamente delle sue stesse malattie. L’essenza del capitalismo, infatti, risiede proprio nelle dinamiche di squilibrio e crisi, le quali, lasciate alla loro spontaneità, ovvero nell’assenza di una lotta di classe esplicitamente dispiegata, rafforzano le ragioni medesime del sistema.

D. Tu dici, in sostanza, che al di là della finanza e delle crisi economiche il tema decisivo resta lo sfruttamento “normale” del lavoro.

R. Non solo lo sfruttamento del lavoro, ma l’irregimentazione dell’intero vivere sociale. E’ la costruzione dell’esistenza alienata la vera molla del capitalismo.

D. Di sicuro questo libro, che si presenta in tre volumi, per un totale di circa 1300 pagine, è un lavoro ambizioso. Ma pensi che ci sia davvero un uditorio attento, che risponda a questo tuo impegnativo sforzo di analisi e proposta?

R. Penso di sì. Mi auguro di sì. So bene che un libro del genere, articolato in tre parti – il capitale come rapporto sociale, la costruzione del valore e il sistema come squilibrio e crisi -, non si legge tutto d’un fiato; e forse neppure si legge andando in ordine dalla prima all’ultima pagina. Del resto, è diviso in sezioni, sono nove sezioni, e il lettore può anche cominciare da quella che più lo interessa. Le tematiche si muovono comunque in modo concentrico, e i fili si riannodano e si tengono insieme.

D. Ma a chi ti rivolgi specificamente? Ai militanti di sinistra?

R. Indubbiamente i lettori “naturali” di un libro del genere sono coloro che, nonostante tutto, non vogliono sentirsi riappacificati col capitalismo. Ma ritengo che possa essere una occasione utile anche per tutti quelli che, pur non essendo particolarmente inclini a criticare il sistema capitalistico, continuano comunque ad interrogarsi sulla società umana e sui suoi destini.

Teoria della Totalizzazione (ed. Melagrana, 3 voll, € 25.00)

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