da Il Fatto Quotidiano del 25 giugno 2013
Se James Bond aveva la licenza di uccidere, loro hanno ricevuto l’ordine di infiltrarsi nei movimenti di protesta. Sono i poliziotti britannici incaricati dal governo di sua maestà di andare a letto con donne con cui poi hanno avuto lunghe relazioni sentimentali (e sono arrivati al punto di fare figli), salvo poi sparire nel nulla. Configurando anche il possibile reato di stupro. Agenti che sotto falso nome hanno militato nelle più disparate organizzazioni per raccogliere informazioni, o per falsificarne altre, utilizzandole in alcuni casi per infamare il ricordo di un ragazzo morto e la sua famiglia. Tutto comincia con la Special Demonstration Squad (SDS), sezione in borghese della Greater London’s Metropolitan Police Service creata nel 1968 per infiltrare i movimenti di protesta, e il caso esplode oltre 40 anni dopo con la vicenda di Mark Kennedy. A raccontarla sono nel 2011 due giornalisti del Guardian, Paul Lewis e Rob Evans, il cui libro Undercover. La storia segreta della polizia britannica è in uscita la settimana prossima.
Il caso Kennedy fa scalpore e porta a un’inchiesta parlamentare i cui risultati sono stati pubblicati a febbraio 2013. Nell’inchiesta si scopre la doppia identità di attivisti insospettabili, il costo annuo di ogni operazione (250 mila sterline) e anche il fatto che alcune false identità dei poliziotti infiltrati sono state ‘sottratte’ a bambini morti. In polizia dal 1994, la doppia vita di Mark Kennedy comincia nel 2003 quando si infiltra nei gruppi ambientalisti con il nome di Mark Stone. In breve diventa uno dei più noti attivisti britannici, e come tale partecipa a diverse manifestazioni, anche in giro per il mondo, contribuendo a sabotarle. Nel 2009 riesce a far fallire l’occupazione di una centrale elettrica dando il via a una gigantesca operazione di polizia, ma nel 2010 ancora nessuno ha scoperto la sua vera identità, se a festeggiare i suoi 40 anni arrivano centinaia di militanti da tutto il paese. Prima di essere scoperto nel 2011, per sei anni ha vissuto con una compagna ignara della sua falsa identità.
Come Mark Jenner, che nonostante fosse sposato, sotto il falso nome di Mark Cassidy ha convissuto per quattro anni con una militante di un gruppo di estrema sinistra. Con lei ha partecipato a matrimoni e funerali della sua famiglia sempre fingendosi chi non era, con lei ha partecipato a sedute terapeutiche di coppia perché la donna voleva un figlio e lui millantava che non poteva averne. “Qui non si tratta di un uomo che ti tradisce, ma di una persona di fantasia, creata dallo stato e pagata dai cittadini, che abusa della tua buona fede”, ha detto la donna che pensava di essere la sua compagna, prima di associarsi nel 2012 con altre sette donne in una denuncia penale contro gli infiltrati che hanno rovinato le loro vite. “Se lo stupro non è solo atto sessuale, ma abuso di potere, questi uomini hanno abusato del loro potere per avere relazioni sessuali con delle donne che altrimenti non avrebbero acconsentito, e quindi hanno stuprato”, spiega una di loro.
Per non parlare di Bob Lambert, in arte Bob Robinson, che smessa la sua falsa identità ha abbandonato una donna e il figlio da lei avuto, che non potrà mai conoscere suo padre perché non è mai esistito. Bob Lambert è diventato famoso perché come infiltrato in Greenpeace si è immedesimato così tanto che è stato anche tra i promotori dell’iniziativa di volantinaggio davanti ai McDonald che ha portato al caso ‘McLibel’ di metà anni Novanta. Un processo per diffamazione durato cinque anni diventato assai celebre perché McDonald ha vinto in aula, ottenendo un risarcimento di 60mila sterline da un postino e un giardiniere giudicati colpevoli di avere organizzato il volantinaggio, ma ha perso fuori, dato che il danno d’immagine subito dall’azienda dei panini si calcola sia stato superiore ai 10 milioni di sterline.
Ancora più celebre il caso di Stephen Lawrence, da più parti definito “l’omicidio che ha cambiato la storia della Gran Bretagna”. Stephen era un ragazzo nero di Brixton ucciso senza motivo da un gruppo di bianchi razzisti nel 1993, l’inchiesta fu lunga (18 anni) e complessa, e in questo caso il compito del poliziotto infiltrato Peter Francis – come da ordini superiori, testimoniò anni dopo – fu quello di gettare fango sulla memoria del ragazzo e della sua famiglia, il tutto per proteggere uno dei cinque assassini bianchi, figlio di un noto trafficante di droga della zona. Il caso, complicatissimo, restò celebre per le conseguenze giuridiche (fu modificato l’articolo che impediva che una persona non potesse essere processata due volte per lo stesso reato) e sociali, per la prima volta fu scritto nero su bianco nell’inchiesta di una “attitudine fortemente razzista” della polizia londinese.
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