Il mondo è in fiamme. La crisi generalizzata del modo di produzione capitalistico azzanna i corpi dei subalterni, decapita i sogni e le sicurezze delle classi medie, in fase di forte declino (economico, sociale, simbolico) verso una proletarizzazione sempre più accentuata a causa della tendenza alla polarizzazione di classe accelerata dalla crisi. Dinanzi alla difficoltà crescente di estrarre profitto, soprattutto nelle economie tardocapitalistiche o postmoderne che dir si voglia, il capitale diventa sempre più famelico, alla ricerca continua di nuova ricchezza, di nuovi ambiti lavorativi e relazionali da salarizzare, di recinzioni, aggredisce i beni pubblici demaniali e i beni comuni con feroci politiche di privatizzazione.
L’impoverimento delle classi subalterne è oramai una legge generalizzata ed empiricamente verificabile. Impoverimento assoluto in varie aree del globo che sperimentano regressioni sensibili in termini di generazione di ricchezza sociale, ed impoverimento relativo anche in quelle aree caratterizzate negli ultimi anni da tassi di crescita economica più che invidiabili [1]. Di conseguenza, anche in paesi come
Le piazze di molte capitali sono in fiamme e tornano ad assumere la funzione di luoghi comuni restituiti alle moltitudini ove praticare intensi momenti assembleari (centralità della piazza in termini fisico-materiale, urbanistico ma anche simbolico-politico): da Zuccotti Park alla Puerta del Sol, da Piazza Tahrir a Piazza Syntagma fino a Piazza Taksim, la nuova prassi degli insorgenti si riappropria del comune, della sua geografia e di una grammatica politica adeguata ad esso.
Tra esse, le strade e le piazze greche negli ultimi anni hanno rappresentato luoghi di grande resistenza alle politiche di austerità della Troika. Simbolo di questa lotta e della sua forza è Piazza Syntagma, che ha dato anche il titolo al bel libro di Fulvio Massarelli, scritto tra i luoghi e nei momenti dell’insorgenza costituente ellenica.
Massarelli aveva già seguito da vicino la “rivoluzione di Tunisi” restituendoci un libro di testimonianze vivide su quei fatti (La collera della casbah. Voci di rivoluzione a Tunisi, Milano, Agenzia X, 2012). È tornato a “scrivere per le lotte” tentando di “costruire un frammento di verità partigiana” direttamente a contatto con gli insorgenti greci. La sua narrazione non vuole essere neutrale, scientifica nel senso convenzionale di obiettiva. È invece rigorosamente “di parte”, precisata in una puntuale nota di metodo nella Postfazione: «L’obiettivo di una narrazione di parte […] deve essere misurato sugli interessi e sugli scopi delle lotte e dei movimenti stessi e poi deve puntare sulla controparte con la stessa determinazione del passo che fa avanzare un corteo. … [Per] produrre un frammento di verità, a suo modo belligerante» (p. 119). In effetti, da un punto di vista di classe, hanno poco senso la ricerca, l’inchiesta, la conricerca o anche la semplice ricostruzione giornalistica che si ammantino di griglie avalutative ed apparentemente neutrali. Se l’obiettivo è l’emancipazione degli sfruttati, allora ogni pratica di lotta, anche intellettuale, deve mirare allo scontro. Per farlo non può assumere i connotati della neutralità ma della inimicizia con il potere costituito.
Massarelli ci conduce direttamente nel fuoco delle lotte dei compagni e dei subalterni greci, con una introduzione generale agli effetti delle politiche di austerità e soprattutto con una serie di interviste condotte sul campo, tra gli attivisti impegnati sui vari fronti di lotta.
La crisi, la povertà che si generalizza, la distruzione dello stato sociale hanno prodotto reazioni non solo “negative” del potere della Troika, ma anche “affermative”. I subalterni hanno dato vita a varie reti diffuse di “mutualismo radicale” che operano proprio in opposizione stridente con le politiche neoliberiste governative. Il sistema sanitario pubblico è letteralmente saltato, con riduzioni di spesa in pochissimi anni del 60%, così da lasciare senza protezione alcuna fasce ampie della popolazione greca (pp. 14-6). Di contro, dal basso sono sorti numerosi ambulatori e farmacie popolari autogestiti da personale medico e paramedico, fondati sulla gratuità del servizio.
Pratiche si sabotaggio o autoriduzione sono sempre più partecipate. A chi non paga la bolletta e viene bloccata l’erogazione di energia elettrica, gruppi di elettricisti riattivano il servizio. Le aule di tribunale ove dovrebbero recitarsi processi per sfratto per morosità vengono occupate, così da impedire il regolare svolgimento dell’attività giudiziale. La difesa dei beni comuni diventa sempre più sentita. Molti centri sociali diventano luoghi di scambio di prodotti basilari in regime di economia alternativa, con prezzi popolari e merci fornite direttamente da piccoli produttori ed agricoltori. C’è sempre più sensibilità per le lotte dei detenuti. La questione carceraria nel suo complesso (condizioni dei detenuti e securitarismo) diventa sempre più cruciale, dal momento che i tassi di incarcerazione aumentano vertiginosamente in un rapporto di inversione proporzionale con i tassi di crescita del PIL. La povertà produce illegalità diffusa, repressa brutalmente da forze dell’ordine e magistratura.
Da alcune interviste presentate nel libro emerge la centralità del movimento studentesco nell’aver prodotto negli ultimi anni pratiche e coscienza di lotta, momenti assembleari di vasta portata, nell’essere stato collante di molteplici vertenze. L’università greca è stata già in tempi di dittatura il cuore dell’opposizione al regime dei colonnelli. Più di recente, nel 1991, nel 1998 e nel 2006 il movimento degli studenti ha dato prova di grandi mobilitazioni.
Il movimento del 2006 contro la riforma dell’istruzione assume una tale portata da riuscire a modificare alcuni rapporti di forza interni alla società, beneficiando anche di una relazione di trasmissione osmotica di energie ed istanze con il movimento antagonista, finendo per attrarre simpatie degli adolescenti dei quartieri periferici e di numerose realtà ultras[4]. Le pratiche democratiche sperimentate nelle assemblee verranno socializzate in contesti più ampi ed aperti alla società, divenendo una modalità diffusa di esercizio della democrazia diretta, dai comitati locali alle assise più ampie.
Il 2008 sarà caratterizzato dalla incredibile esplosione di rabbia a seguito dell’omicidio a freddo di Alexis Grigoropoulos, appena quindicenne, ad opera di un agente delle forze dell’ordine (6 dicembre). Così la ricorda Panos, un militante del centro sociale Xinerghio di Eliopolis, quartiere periferico di Atene, intervistato da Massarelli: «Quando ad Atene viene assassinato Alexis si concentra, prima in città e poi nel resto della Grecia, tutta la rabbia accumulata negli ultimi anni contro le istituzioni. Fu una vera rivolta degli esclusi, di coloro a cui ormai era impedito l’accesso al centro della città, coloro che erano stati derubati dalla riforma sul welfare, confinati nei loro quartieri, dove per sopravvivere avevano iniziato a riunirsi in gruppi o in gang. […] Con la rivolta del 2008 alcuni gruppi e gang si politicizzano» (p. 68).
In diversi luoghi del libro, le voci dei compagni greci ci conducono nel cuore delle battaglie condotte sul fronte dei beni comuni, ad esempio contro la devastazione del territorio derivante dallo sfruttamento delle miniere d’oro, contro la privatizzazione di fatto delle autostrade o l’apertura di nuove discariche per rifiuti. La storia delle vertenze e delle pratiche del potere costituito ci consegnano un quadro di uniformità dell’agire dei governi e delle amministrazioni locali: in Grecia come in Italia. Il pubblico si schiera immancabilmente al servizio del privato, dimostrando come sia fuorviante la distinzione storica tra le due logiche operative, e ricorre alla militarizzazione di intere aree sottraendole al comune dichiarandole di “interesse strategico nazionale” (stessa identica soluzione adottata dal governo italiano nella stagione delle ecoinsorgenze campane).
Il libro si chiude con un resoconto della lotta degli operai della Vio.Me., fabbrica di ceramica di Salonicco che, di fronte all’ipotesi di dismissione e licenziamento, costituiscono una cooperativa per la autogestione della fabbrica, che di recente ha anche avviato la produzione sotto controllo operaio ed un affresco del ruolo crescente che gli immigrati stanno assumendo all’interno delle lotte in Grecia, perseguitati dalla repressione dello Stato e dalle formazioni di estrema destra (v. Alba Dorata) che provano a scaricare le colpe della disoccupazione dei “greci” sugli immigrati “ruba-lavoro”, facendo leva sulla paura della povertà e del declassamento dei ceti medi. Di contro, aumentano anche i momenti di lotta antifascista ed antirazzista, spontanei o organizzati.
Piazza Syntagma, nelle voci insurrezionali riportate dall’Autore, non è solo il luogo simbolico della loro (nostra) battaglia contro le politiche di austerità, la distruzione dello stato sociale, le privatizzazioni, l’attacco frontale ai diritti ed agli interessi dei lavoratori, ma un vero e proprio spazio di democrazia ove far esprimere ed operare quel potere costituente dei subalterni che dovrà trovare le proprie istituzioni adatte a sopravvivere ai contraccolpi del potere costituito ed infine abbatterlo. Nelle parole di Katerina, avvocato ed attivista per i diritti dei migranti e dei rifugiati questa «è la grande eredità dell’occupazione di piazza Syntagma: la creazione di assemblee popolari con il loro carattere aperto in tutta
La prateria globale forse è pronta per andare completamente in fiamme. I numerosi focolai più o meno estesi di oggi vanno generalizzati alla scala planetaria. Lavori di questo genere sono utili ad orientarci in un mondo di incendi da alimentare.
[1] Su queste tematiche e per una precisazione del concetto marxiano di “impoverimento” della classe salariata, da intendersi non in termini meramente economicistici, si rinvia per intero all’ottimo lavoro di L. Pradella, L’attualità del Capitale. Accumulazione e impoverimento nel capitalismo globale, Padova, Il Poligrafo, 2010 e segnatamente alle pp. 294-6.
[2] Per una buona introduzione alle cause della rivolta turca odierna, unitamente alla critica del modello di crescita turco dell’ultimo decennio, si v. Clash City Workers, Cosa sta succedendo in Turchia e cosa c’entra con noi. Un’analisi e alcune considerazioni, s.l., 2013 [http://www.clashcityworkers.org/images/pdf/download/turchia/cosa-sta-succedendo-in%20turchia-ccw.pdf ].
[3] Si vedano le posizioni dei movimenti sui recenti eventi: https://www.contropiano.org/esteri/item/17500 .
[4] Il mondo ultras è da sempre oggetto di rimozione, visto con snobismo se non con diffidenza, demonizzato più che studiato; allontanato più che cercato. Eppure esso ha assunto un ruolo importante non solo nella primavera araba, non solo nella mobilitazioni greche ma anche più di recente in quelle turche, laddove addirittura gruppi di tifoserie storicamente avverse si sono uniti in coordinamenti unitari dando battaglia nelle piazze agli agenti del potere costituito (v. http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/06/06/istanbul-protesta-contro-erdogan-unisce-ultras-di-galatasaray-besiktas-e-fenerbahce/618635/ ). Studiando il senso di appartenenza ai luoghi di vita di molte formazioni ultras, si comprendere agevolmente come il loro agire quotidiano tende “naturalmente” verso istanze di difesa dei beni comuni. Esemplificativo lo stralcio di una intervista a tifosi turchi del gruppo Çarşi della squadra di calcio del Beşiktaş: «Ma io non sono di Beşiktaş: io sono Beşiktaş. Cosa sarebbe il quartiere se non ci fossi io? Un pezzo di terra. Beşiktaş è la gente» (in E. Batuman, “Istanbul vista dallo stadio”, in Internazionale, n. 913 del 2.09.2011). D’altronde, nella stagione infuocata del 2008 della rivolta del quartiere napoletano di Pianura contro l’ipotesi di riapertura della discarica mortifera, localizzata proprio nel suo cuore, la componente ultras ebbe un ruolo partecipativo decisivo anche in termini di organizzazione della resistenza militare.
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