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Priebke, la dannazione dell’anima nera

Vaga l’anima nera del camerata Priebke. Non trova accoglienza neppure la salma che gli argentini, memori dei figli gettati nell’oceano da boia che gli somigliano, non vogliono a San Carlos de Bariloche. Il capitano delle torture e del colpo alla nuca, impenitente come il nazifascismo mai morto che rieccita attivisti malati e più subdoli revisori delle tristezze di un’epoca, cerca una tomba. Magari la pietas religiosa supererà il disgusto amministrativo e civile di chi all’impronta gli nega l’eterno alloggio. Se non sarà il Sudamerica, sarà l’Europa italiana o tedesca. O qualche nazione che si presterà ad accettarne le spoglie. Quello che nessuna comunità può donargli anche davanti alla morte è la dignità che coi suoi massacri Priebke non ha mai avuto né come uomo né come militare. Ha evitato ogni ripensamento postumo, codardo s’è nascosto per decenni, ricevendo gli aiuti della rete internazionale che il mondo “democratico” forniva a lui e ad altri criminali di guerra.

Vilmente ha continuato a giustificarsi col refrain dell’esecuzione di ordini superiori verso i quali azzerava ogni raziocinio e sentimento. L’odore del sangue, di cui impregnava gli abiti civili in stile bavarese indossati da vecchio, non l’ha mai abbandonato né fatto riflettere. Reiterato fanatismo non coerenza è stato il dogma al quale ha continuato a obbedire non solo negli anni del meschino soggiorno nel fiabesco paesino sulle Ande, ma al momento della rivelazione letteraria e giornalistica della sua esistenza. I crimini contro l’umanità di cui s’era macchiato lo potevano porre di fronte al pentimento, al riconoscimento d’una sciagurata giovinezza servile e assassina. Invece nulla. Ringalluzzito da amici nostalgici ha proseguito a recitare la parte del milite integerrimo fuori tempo massimo. I familiari delle vittime delle Fosse Ardeatine ne ricordano lo sguardo sprezzante e beffardo mai piegato a vergogna e rispetto. Non è la prima, non sarà l’ultima anima nera bollata dalla Storia. Chi vive ha l’obbligo di vietarne emulazioni.

articolo pubblicato su    http://enricocampofreda.blogspot.it

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