Il 12 maggio non potrà mai essere una data come un’altra del calendario, o almeno non lo sarà mai per almeno una generazione. L’uccisione di Giorgiana Masi, una giovane studentessa del liceo Pasteur di Roma, durante una carica di polizia su Ponte Garibaldi a Roma non è solo uno dei delitti politici rimasti senza colpevoli degli anni Settanta, è anche un episodio paradigmatico delle relazioni tra gli apparati dello Stato e i conflitti sociali. Un paradigma che fatti recenti e aria che tira non sembrano aver dissolto né dissolvere.
Il 12 maggio del 1977 la reazione dello Stato contro il movimento che aveva mosso i suoi primi passi nel gennaio contro la Riforma Malfatti su scuola e università, aveva raggiunto il suo apice. La mobilitazione degli universitari si salda con la rabbia di migliaia di giovani proletari e proletarizzati da una disoccupazione giovanile di massa, ai livelli raggiunti oggi per intendersi. Due mesi prima, il 12 marzo, una manifestazione a Roma di migliaia di giovani provenienti da tutta Italia aveva risposto in maniera durissima all’omicidio dello studente bolognese Francesco Lorusso, militante di Lotta Continua ucciso da un carabiniere il giorno prima durante alcuni scontri nella zona universitaria di Bologna. La manifestazione di Roma rabbiosa e decisa allo scontro, aveva visto un pomeriggio di scontri urbani durissimi in tutto il centro della Capitale e addirittura il saccheggio di un armeria da parte dei manifestanti. Da una parte all’altra del Tevere (su una sponda la polizia sull’altra il corteo) erano volati colpi di arma da fuoco fortunatamente senza conseguenze per nessuno.
Il 21 aprile l’università La Sapienza era occupata. Viene inviata la polizia a sgomberarla (era già avvenuto il 17 febbraio il pomeriggio della cacciata del segretario della Cgil dall’ateneo). Scontri durissimi per le strade del quartiere di San Lorenzo, spara la polizia, spara il movimento. Un poliziotto , Settimio Passamonti, viene ucciso.
Il Ministro degli Interni Francesco Cossiga coglie l’occasione e dichiara il divieto totale di manifestazione fino al 31maggio, un mese e mezzo.
Il divieto verrà forzato nei territori, in alcuni municipi, il 25 aprile. Il 1 maggio viene autorizzata la manifestazione dei sindacati a piazza San Giovanni. Il movimento decide di stare in quella manifestazione e si concentra poco distante, in piazza Vittorio. La polizia circonda la piazza, intercetta tutti i sospetti manifestanti, ci sono circa 200 fermi. Quelli che non vengono fermati si dirigono piazza San Giovanni ma vengono prima caricati dalla polizia e poi respinti dal servizio d’ordine del sindacato. Presi in mezzo volano botte in una direzione e nell’altra. Una giornata da cani.
Il clima politico è plumbeo. Per il 12 maggio il Partito Radicale (presente in parlamento, così come 4 deputati di Democrazia Proletaria) decide di convocare una manifestazione in piazza Navona per celebrare la vittoria del referendum sul divorzio di tre anni prima.
Il governo Andreotti con l’appoggio del Pci vede l’iniziativa dei radicali come una provocazione e dà carta bianca a Cossiga e alla Questura per reprimere ogni concentramento. E’ il consenso politico che permetterà la repressione durissima della piazza e l’uso delle armi da fuoco da parte degli agenti di polizia (che verrà ampiamente documentato, filmato e fotografato).
Nel primo pomeriggio viene subito sciolto a botte il comizio dei radicali in piazza Navona. Ai parlamentari non viene riservato alcun trattamento di favore da parte della polizia presente in piazza: botte, spintoni e insulti anche loro. Dentro il Parlamento nessuna solidarietà, al contrario il “patto politico” tra Dc e Pci, copre e legittima quando stava accadendo in piazza.
Nella zona circostante (Torre Argentina, Corso Vittorio) ogni assembramento di manifestanti o presunti tali viene caricato immediatamente. Una parte dei manifestanti riesce a riconcentrarsi a Trastevere, un’altra a Campo De’ Fiori. Giunge la notizia che “a Campo de’ Fiori si resiste” e chi stava a Trastevere attraversa Ponte Sisto e va a dare manforte.
Si accendono almeno due ore di scontri. Da una parte i sassi strappati al selciato, dall’altro un bombardamento di lacrimogeni e di revolverate. Chi scrive ne è testimone diretto: I buchi dei proiettili sulle saracinesche e il fischio delle pallottole nelle orecchie non si dimenticano tanto facilmente. Ci sono almeno due ore di cariche e controcariche sulle strade che collegano Campo de’ Fiori a Corso Vittorio mentre altri gruppi di manifestanti si sono barricati sull’altra sponda del Tevere.
E’ sera quando arriva la notizia che la polizia consentirà ai manifestanti concentrati a Campo de’ Fiori di ripiegare su Trastevere. Si ripiega su Ponte Sisto mentre su Ponte Garibaldi sono visibili le cariche e la piccola barricata eretta dai manifestanti. Cariche e controcariche.
Comincia a fare buio quando a Ponte Garibaldi si concentrano sia quelli che già erano lì sia quelli provenienti da Campo de’ Fiori. C’è un momento di tregua si ragiona sul come concludere la giornata di lotta.
Parte l’ennesima carica della polizia. Una ragazza cade in mezzo a chi era su quel ponte. All’inizio un ragazzo (il ragazzo) accenna ad un malore ma il fiore rosso di sangue che si apre dice che Giorgiana Masi non ha subito un malore. Viene caricata su una macchina che la porta al vicino ospedale Nuova Regina Margherita a Trastevere. Lì Giorgiana Masi morirà perchè colpita da un colpo d’arma da fuoco alla schiena, cioè mentre insieme agli altri manifestanti stava scappando per sottrarsi alle cariche della polizia. Il colpo è partito dall’altra parte di Ponte Garibaldi, dove c’era la polizia. Un “dettaglio” importante. Giorgiana Masi non fu l’unica manifestante colpita alle spalle dai colpi d’arma fuoco, ce n’è anche un’altra, Elena Ascione, ferita anche lei ad una gamba nella stessa circostanza. Elena Ascione così ricostruisce quanto accaduto quel giorno: “A un certo punto una parte della polizia si è mossa verso ponte Garibaldi. Non potendo attraversare mi sono mossa in direzione di Piazza Sonnino ed è a questo punto che si sono sentiti colpi d’arma da fuoco provenienti esclusivamente dalla parte in cui stava la polizia. Non sono in grado di precisare se erano colpi di pistola o di mitra. Io mi sono messa a scappare e sono stata colpita subito, mentre ero con le spalle verso il ponte e restando colpita da sinistra. Non ero in grado di vedere altre persone che cadevano. Erano circa le 20”.
Questa è la cronaca dei fatti di quel maledetto 12 maggio 1977.
Nello stesso giorno Cossiga mente in Parlamento affermando che non era vero che c’erano agenti in borghese o che la polizia avesse usato armi da fuoco. Saranno i fotografi de Il Messaggero a smentirlo il giorno successivo pubblicando le fotografie sia degli agenti in borghese sia degli agenti con le pistole in pugno.
Negli anni Cossiga ha steso una coltre di illazioni, mezze parole e depistaggi sulla morte di Giorgiana Masi. L’ultima è quella diffusa dall’agente dei servizi segreti “Betulla” ossia Renato Farina, secondo cui a “uccidere Giorgiana Masi era stato il fidanzato mentre sparava contro le forze dell’ordine” (che si suicidò dopo alcuni anni). Intervistato da Report nel 2003 sull’omicidio di Giorgiana Masi, Cossiga afferma: “Non l`ho mai detto all’autorità giudiziaria e non lo dirò mai, è un dubbio che un magistrato e funzionari di polizia mi insinuarono. Se avessi preso per buono ciò che mi avevano detto, sarebbe stata una cosa tragica. Ecco, io credo che questo non lo dirò mai se mi dovessero chiamare davanti all’autorità giudiziaria, perché sarebbe una cosa molto dolorosa”. Cossiga, che ammette che non avrebbe mai detto come andarono le cose neanche davanti ai magistrati, non ha mai detto per chi sarebbe stato doloroso. E tanto è bastato per lasciare seppellita nell’oblìo la verità sull l’omicidio di Giorgiana Masi. Il premier Renzi ha affermato che verranno desecretati molti documenti su quegli anni. La verità storica e politica su quei fatti siamo in grado di scriverla. Quella giudiziaria è stata resa inoffensiva da quaranta anni di silenzi e depistaggi. Ma quanto accaduto quel 12 maggio ci ha sempre aiutato a capire, ad esempio, quanto accadde a Genova nel luglio del 2001. Che la mobilitazione sociale faccia paura alle classi dominanti non è una sorpresa, che i loro apparati ne siano estremamente preoccupati a fronte di una crisi economica e sociale senza alternative o ammortizzatori sociali convincenti, spiega meglio di tante altre cose il totem dell’ordine pubblico che viene agitato e agito nelle nostre città.
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Vanni
Il fidanzato di Giorgiana, un compagno di Torrevecchia, che fu pure arrestato qualche mese dopo per un tentativo di occupazione di uno spazio sociale, tentò effettivamente il suicidio anni dopo il fatto ma fu fortunatamente salvato dal fratello.