Non sono stati pochi a seguire l’ultima puntata della serie televisiva “Gomorra”, liberamente tratta dall’omonimo libro di Roberto Saviano, sceneggiata con la collaborazione dello stesso Saviano, di giornalisti e scrittori esperti di ambiente malavitosi o scrittori “talentuosi” nativi dei luoghi dove è presente la malavita organizzata (quartieri di Napoli – come Scampia – o altri piccoli centri dell’area casertana).
Vorrei qui proporre ai lettori del giornale un’interpretazione, come dire, “controcorrente”.
Vedendo tutta la serie si ricava l’impressione che a volte la “finzione televisiva” risulta essere abbastanza verosimile soprattutto nella rappresentazione scenografica dei luoghi dove avvenivano i fatti. Il set televisivo era collocato proprio nei veri luoghi – come le “vele” di Secondigliano – dove poi sono realmente accaduti i fatti raccontati.
Altre volte, invece, era un po’ meno verosimile. Soprattutto nei personaggi “uagliuncelli” di una banda giovanile che rompe l’unità del clan dominato dai “vecchi”; giovani rappresentati attraverso il loro “trucido oltre che truculento aspetto”. L’intenzione, che c’è da augurarsi sia in buonafede, consisterebbe in quella di “educare” un settore popolare e giovanile attraverso una rappresentazione scenica del tutto aderente ad una realtà, la quale è – a sua volta – direttamente vissuta da quelli a cui, nelle intenzioni, è rivolto il messaggio, evitando così di produrre, o quantomeno favorire, quell’empatia che altre serie televisive hanno prodotto in parte agli spettatori invogliati (secondo alcuni “illustri” commenti fatti da esponenti della politica nostrana) a emularne comportamenti e scelte di vita.
Un altro degli aspetti che invece, secondo una mia personale lettura, emerge da questa serie, oltre alla spettacolarità di alcune scene ottenuta attraverso “sparatorie rumorosissime e truculente”, “ammazzamenti di vario genere e natura”, consiste nella rappresentazione “solidale” nella quale i “uagliuncelli” del clan camorristico dedicano passione, entusiasmo fino a un sacrificio finale.
Certamente ad un settore come quello giovanile, al quale è stata totalmente negata la prospettiva economica e lavorativa (anzi proprio “la prospettiva”) negandone di fatto nel suo insieme una qualsiasi ragione di vita sociale e tradizione imponendo loro, come unico e fondamentale valore, quello del “denaro” e dell’arricchimento personale “costi quel che costi”. Il segnale perciò arriva leggermente confuso e/o inappropriato.
Ebbene il messaggio che potrebbe arrivargli, se prevalesse il solo istinto di sopravvivenza, sarebbe quello di uscire da quella miseria sociale attraverso un recupero di una loro “identità sociale forte”, come quella rappresentata dai “uagliuncelli” di Genny, i quali come novelli guardiani del fortino si dedicano con passione alle sorti del clan per farlo diventare più forte e dominatore della zona considerata “casa propria”, con una logica totalmente “familistica”!
Questa potrebbe essere vista, o compresa, anche come una possibile risposta di riscatto allo squallore esistenziale nel quale è costretto a vivere sia chi “spaccia” sia chi consuma la droga.
Squallore messo anch’esso in evidenza da un consumismo sfrenato, sfacciato, contraddittorio e senza senso di prodotti di lusso – macchine lussuose o moto costose che si aggirano per le strade di ghetti periferici, oppure l’arredamento lussuoso e molto “kitsch” in appartamenti del tutto improbabili dentro lo stesso ghetto, e via di questo passo! E allora il messaggio che s’intende recapitare a questo pezzo di società appare del tutto squilibrato e rischia di produrre l’effetto contrario e indesiderato.
Che cosa può fare un giovane di Scampia, senza speranze e futuro, per avere o ritagliarsi un posto nella scala sociale senza che questo diventi una sua “condanna” a una vita di attese frustrate e privazioni?
Tentando di riprodurre quella tendenza “neorealistica” che caratterizzò gran parte della filmografia degli anni passati, gli autori di questa serie televisiva hanno così inteso la scrittura (comunque di notevole impatto) di questa serie. Voglio qui ricordare che, molti anni fa venne prodotto un film, che ebbe un notevole successo e notorietà, il quale descriveva la generazione giovanile di quegli anni, con il titolo: “Gioventù bruciata”, una generazione innervata di ribellioni contro norme e regole sociali allora dominanti; piena di un furore esistenziale che si mostrava esteticamente attraverso musica rock, giubbotti di pelle nera, potenti motociclette, amanti di una folle velocità e spericolate avventure.
In questo caso il “neorealismo” consisterebbe nella riscossa che la “vecchia guardia della paranza”, mette in atto sia per contrastare il macello al quale pare siano predestinate, ma anche, e soprattutto, per rimettere le cose al loro posto “naturale”, cioè quello delle regole e del “rispetto” che si deve a chi ha una sua storia. Regole certamente non scritte, pur sempre regole e norme di comportamento alle quali tutti devono adeguarsi e sottostare.
Cos’altro si può dire a fronte di questo, forse, “subliminale” messaggio?
Mi azzardo in questo paradigma: mentre i “uagliuncelli” alla ricerca di una loro “identità forte”, per ottenerla sul campo usano con troppa facilità e cinica passione argomenti o armi di diverso calibro e spessore; la “vecchia guardia” (che una sua identità forte l’ha da tempo) non avendo nessuna intenzione di lasciarla in “mano a uagliuncelli senza cuore e speranza, reagiscono nell’unico modo al quale sono usi, cioè combattendo. E in questo caso, la serie finisce all’insegna di un “riscatto” dei vecchi (o almeno delle loro regole comportamentali d’onore), contro una “gioventù” irrispettosa e incapace di attuare regole e normative in un gioco che risulta essere troppo grande per la loro scarsa maturità e inesperienza.
Se con questo si punta a ripetere oggi questa forma esistenziale (facendo i dovuti e necessari distinguo di fase storica), nel caso appena descritto si era di fronte ai tentativi di settori sociali emergenti (appena usciti da un disastroso e sanguinoso conflitto mondiale) che avevano come obiettivo quello di rivoluzionare comportamenti e usanze ritenute del tutto superate, e ciò era fatto attraverso il gesto estetico, musiche assordanti, il tutto condito da atteggiamenti molto sopra le righe.
Senza scadere in atteggiamenti eccessivamente violenti, oppure sparacchiando a destra e manca eliminando “giovani e anziani” in ugual misura.
Se è questo un possibile obiettivo (moralistico, direi), allora suggerirei di titolare la serie invece di Gomorra (troppo riconoscibile e “infamante” soprattutto per quanti vivono o risiedono, loro malgrado, nei luoghi che sono raccontati e descritti): “Gioventù bruciante”, almeno rende meglio l’idea e l’intenzione che questo pezzo di società potrebbe raccontare, stante la sua precarietà con orizzonti di miseria e squallore al quale è condannata!
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