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La buona scuola, “ma a patto che…”

Sui siti di alcune scuole campeggia già il profetico annuncio della “Buona scuola”: è l’inizio di una nuova era. Le consultazioni informali sono già state avviate, rinsaldando i vincoli tra leader e massa, nella migliore tradizione bonapartista che impone decisioni prese dall’alto per poi farle ratificare tramite forme plebiscitarie.

Nella proposta renziana, vale ancora il principio per il quale la scuola è un organo “costituzionale”, come affermava Calamandrei?

Partiamo dalla formulazione più universale sulla scuola, contenuta nella nostra Costituzione: “La scuola è aperta a tutti” (art. 34). E la “Buona scuola” è davvero aperta a tutti? Se analizziamo la parte n°5 del documento presentato dal governo, già si comprende come, di fatto, esistano due percorsi paralleli che istituiscono scuole che non danno a tutti gli studenti le medesime opportunità. Si viene a stravolgere così quella configurazione dello “Stato sociale” che s’identificava con lo “Stato di cultura”, garanzia di piena cittadinanza democratica e di formazione del cittadino in senso lato.

 In contrapposizione a questi principi, il “nuovo” che avanza propone la veicolazione di saperi puramente strumentali, finalizzati al mero inserimento dello studente nel ciclo produttivo. Sarà, infatti, imposta agli studenti degli istituti tecnici l’entrata in azienda durante gli ultimi tre anni di corso. Ancora peggiore la sorte degli alunni dei corsi professionali: “Gli istituti di istruzione superiore, e di istruzione e formazione professionale possono commercializzare beni o servizi prodotti o svolgere attività di “impresa Formativa Strumentale”. In un’ottica palesemente regressiva, lo studente si trasforma, secondo il modello fordista, in produttore e consumatore. Orientandone preventivamente comportamenti, attitudini e collocazione nell’ordine sociale, viene così meno l’idea di formazione globale dell’individuo, già perseguita dalla riforma scolastica del ’62-’63 (abolizione dell’avviamento professionale e istituzione della scuola media unica).

L’esaltazione dell’efficienza e del merito sottende, in realtà, un principio politico ispiratore: diseguaglianza e gerarchia sono valori positivi. D’ora in poi, dovrà essere considerato normale che alcuni studenti vadano a lavorare il più presto possibile, mentre altri possano formarsi culturalmente più a lungo, per aspirare ad essere futura classe dirigente. Dietro la millantata modernità, si cela dunque una forma di oscurantismo, tipicamente postmoderno, che ripresenta schemi positivistici di razionalità capitalistica: si organizza la società in un’ottica gerarchica, secondo la quale vi sono pochi decisori in possesso del sapere e individui – massa – esecutori. È questa una visione che denega l’eguaglianza che, prima di tutto, deve essere costituita dalla condivisione di un sapere comune. Perché scandalizzarci tanto? In effetti, questo progetto di scuola non è altro che lo specchio della società che si vuole creare: un modello politico – sociale privo di corpi intermedi, svuotato di procedure democratiche e partecipative, fondato sul monopolio dei media.

Nel progetto del governo ogni scuola dovrà avere “la possibilità di schierare la “squadra” con cui giocare la partita dell’istruzione, ossia chiamare a scuola… i docenti che riterrà più adatti per portare avanti il proprio piano dell’offerta formativa”. Detto in questi termini, tale proposta potrebbe sembrare animata da una forma di buon senso, ma la scuola non è assimilabile a un supermercato e l’insegnante non offre prodotti o servizi, al contrario è portatore di una propria irriducibile soggettività e sensibilità culturale, politica e sociale. La chiamata diretta da parte del caldeggiato super – dirigente, comporta rischi gravissimi: il venir meno del pluralismo culturale; la discriminazione per le più svariate motivazioni; lo stato di autocostrizione/autocensura da parte dell’insegnante; la ricattabilità del docente; l’inquinamento delle relazioni tra colleghi per la corsa verso l’affermazione di élite all’interno della comunità scolastica. Insomma, un balzo all’indietro nel tempo verso società e dinamiche di corte, così ben analizzate dal sociologo Norbert Elias: “La vita nella società di corte non era affatto tranquilla. Le persone vincolate in modo permanente a questa cerchia erano numerosissime. Esercitavano pressioni reciproche, lottavano per le chances di prestigio e la posizione nel rispettivo ordine gerarchico”. Una splendida descrizione della corte di Luigi XIV che ben si attaglia allo scodinzolio che accompagnerebbe il futuro super – dirigente scolastico.

Scuola di classe, investimenti dei privati che entreranno de iure e de facto nella definizione delle linee programmatiche degli istituti, condizionamenti da parte del dirigente e dei suoi accoliti, ingerenze delle famiglie nell’attività didattica che inficeranno gravemente la libertà d’insegnamento, sancita dalla nostra Costituzione: ecco che questo governo porta a termine ciò che nemmeno il centrodestra aveva osato fare, ovvero il progetto iperliberista, classista, anicostituzionale della “buona scuola”. Come recita il testo, con perfetto registro da corrierino del ventennio, la scuola sarà innovativa ”ma a patto che…” si rinunci, per dirla, ancora una volta, con Calamandrei, alla scuola come organo “costituzionale” democratico.

Due “cattivi” insegnanti

* Ross@ Verona

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1 Commento


  • Francesca

    Condivido in toto le sue considerazioni.Sono molto preoccupata per la presumibile deriva della #buonascuola.Io non ci sto come disse qualcuno.

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