È nelle sale il nuovo film di Saverio Costanzo, il meno italiano dei nostri registi: “Hungry Hearts”, “Cuori affamati”. È la storia di una giovane coppia, Mina e Jude, italiana lei, statunitense lui, che dopo essersi incontrati in maniera del tutto fortuita nel bagno di un ristorante cinese di New York, iniziano una relazione che li porterà prima al matrimonio e poi ad avere un figlio. Ma la gioia di una storia d’amore qualunque, raccontata inizialmente con leggerezza e fermo sguardo autoriale, viene spazzata via dalla deriva psicotica e complottista di Mina convinta, dopo aver consultato una cartomante, che suo figlio sia un “bambino indaco”, un prescelto, e che quindi vada preservato dai mali della quotidianità relegandolo nell’isolamento assoluto.
La coppia, già rigidamente vegetariana ai limiti del veganesimo, si trova risucchiata nei deliri vegan-new age di Mina, indifferente al fatto che il duro regime alimentare riservato al figlio rischi addirittura di provocarne la morte. Il piccolo, al quale la madre nega qualsiasi alimento di origine animale, non mostra segni di crescita, è denutrito e rischia il rachitisimo. Inizialmente Jude subisce tutto ciò passivamente, accecato dall’amore e dal rispetto per sua moglie, ma l’istinto paterno prevale e lo rende determinato a salvare suo figlio a tutti costi. Il resto del film, che suggeriamo vivamente di andare a vedere, ruota intorno al conflitto tra i due coniugi, che esplode definitivamente una volta diventata evidente l’inconsistenza di certe convinzioni al limite della schizofrenia spirituale.
A differenza di quanto sostenuto in modo quasi unanime dalla critica ufficiale, Hungry Hearts non è un film sulla genitorialità (lo è solo in parte). Piuttosto questo film descrive con durezza spietata l’alienazione dell’individuo contemporaneo, la sua ricerca di riferimenti spirituali, l’adozione di forme di religiosità e misticismo personalizzabili a piacimento, sulla base di convinzioni derivanti da flussi di disinformazione, creduloneria, ignoranza e informazione spazzatura: le coordinate morali che guidano il perfetto cretino del nuovo millennio, il complottista. Mina di Hungry Hearts, interpretata da una splendida Alba Rohrwacher, prima ancora che una madre scriteriata, è la perfetta portatrice di quella patologia amplificata da continui input veicolati dagli stessi media nei confronti dei quali pure si nutre diffidenza. Ognuno di noi è portatore sano di complottismo e solo la capacità di discernimento e la razionalità ci consentono di distinguere la verità, l’informazione attendibile, dall’indescrivibile mole di bufale e castronerie che circolano in rete o fuori dalla rete.
Mina di Hungry Hearts, estremista della denutrizione vegana, che criminalmente impone al figlio, convinta com’è di aver dato alla luce un “bambino indaco” vive inconsapevolmente lo stesso livello di alienazione di un qualsiasi sciachimichista o del complottista archetipico, quello che analizza le foto o i video cerchiando di rosso le prove schiaccianti che inconfutabilmente avallano le proprie allucinate teorie. Sono quelli che nel fumo delle torri gemelle vedevano le facce da morto o gli ufo, quelli che scrutano i mari e i cieli in cerca dell’imponderabile, quelli che si iscrivono a sette e pseudoculti con l’unico intento di riempire l’abissale vuoto che li divora dall’interno e li rende schiavi di credenze medioevali. Quelli che pur di salvare la vita a un furetto o un castoro, non esiterebbero a uccidere esseri umani, in nome di un animalismo oltranzista da far impallidire i jihadisti dell’Isis. Quelli simili ai due coniugi francesi, notizia di ieri, che in cerca di purifricazione ed espiazione avevano completamente smesso di mangiare, rinchiudendosi in una stalla adibita a tempio new age. Il risultato? L’uomo è morto di fame.
Mina è tutto ciò, e rappresenta quella parte di umanità in costante ricerca dell’irrazionale come naturale reazione ad una morte spirituale che appare inesorabile. Dio, Allah, Buddha e Shiva non bastano più, e nemmeno i simboli, le liturgie, i rituali. L’umano sta creando nuove dottrine alle quali necessariamente affidarsi, in una spasmodica ricerca di autoaffermazione e proselitismo. La psichiatria sta cominciando a riflettere sulla reale consistenza di queste derive, interrogandosi sulla possibilità o meno di definirle clinicamente e scientificamente come vere e proprie patologie. La forma più grave di paranoia metropolitana è oggi il gangstalking, di cui Mina di Hungry Hearts sembra essere affetta. È la convinzione di essere vittime potenziali di complotti di gruppo orditi da sconosciuti. Le sedicenti vittime di gangstalking colgono segni di persecuzione in qualsiasi cosa: nei rumori, nelle luci, negli sguardi casuali dei passanti, in ciò che mangiano e bevono. Nelle forme gravi, il gangastalking porta all’autoreclusione e a gesti di follia imprevedibile. Un tempo si chiamava schizofrenia, disturbo bipolare, depressione. Il tentativo della scienza di dare forma a queste nuove perversioni della psiche è un campo minato, pericoloso, perché potrebbe sfociare in una limitazione, in una violazione delle libertà individuali, quando non del libero arbitrio in quanto tale. Provate a dire a uno sciachimichista che le scie chimiche sono solo frutto della sua fervida fantasia o a dire a un vegan warrior che la vita di un bambino palestinese vale più di quella di un vitello, e raccontatecelo: se tornate sulle vostre gambe.
Hungry Hearts, con la sua regia nervosa, con una fotografia ruvida e documentaristica e attraverso l’eccellente prova dei due attori protagonisti Adam Driver e Alba Rohrwacher – entrambi vincitori della Coppa Volpi all’ultimo festival del cinema di Venezia – è il primo film italiano che prova a decifrare quello strano luogo dell’anima nel quale le convinzioni personali si trasformano in malattia, e diventano pericolose per se stessi e per il prossimo.
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