Nonostante l’intervento a gamba tesa della lobby sionista sull’Università di Roma Tre, si è tenuta lo stesso la conferenza “Europa e Medio Oriente oltre gli identitarismi” con lo storico israeliano Ilan Pappè. Gli organizzatori – tra cui diversi docenti delle università romane, hanno dovuto cambiare la location. Dall’iniziale aula in piazza Campitelli al centro congressi di via dei Frentani gestito dalla Cgil. L’aula della conferenza alle 14.00 era già strapiena e con posti in piedi. E’ stata approntata un’altra sala con un collegamento audiovisivo con la sala principale ed anche questa si è rapidamente riempita. Insomma sul piano della partecipazione – moltissimi i giovani – un risultato importante che potrebbe spegnere la boria dei sionisti nostrani per aver ostacolato la conferenza con Ilan Pappè.
L’atteso intervento dello storico israeliano, preceduto da altri molto interessanti tra cui quello dell’antropologa dell’università di Londra Ruba Salih e seguito da quello di Moni Ovadia, è stato una sorta di lectio magistralis per capacità di sintesi e profondità.
Pappè è partito da una importante differenza tra colonialismo e insediamento coloniale (settler-colonialism). Questo secondo caso si ha quando si colonizza un altro paese e “ci si reinventa come abitanti del paese che è stato colonizzato”. Casi come questi sono quelli avvenuti in passato negli Stati Uniti, in America Latina, Australia e Nuova Zelanda. Ma i due casi recenti di insediamento coloniale sono proprio il Sudafrica e la Palestina.
Su questi temi, secondo Pappè, spesso il dibattito accademico è stato più avanzato di quello messo in campo dagli attivisti per la Palestina o della stessa campagna Bds (Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni) verso Israele. Solo guardando alle cose con questa visione si può discutere correttamente del sionismo. “Quella dell’insediamento coloniale è oggi la mentalità di Stato in Israele… il sistema politico israeliano – di destra e di sinistra – non ha mai fatto i conti con la propria natura coloniale” ha affermato Pappè.
La differenza tra ospiti e invasori, la prima come pretesa anche del sionismo “di sinistra” – racconta Ilan Pappè – è stata al centro di una fitta corrispondenza tra il sionista di sinistra Martin Buber e Gandhi, nel tentativo di arruolare quest’ultimo a sostegno del sionismo. Ma Gandhi non si è fatto trascinare dall’invito di Buber, al contrario gli ha spiegato che un ospite è tale fino a quando non pretende di invaderti la casa. Un vizio di fondo che, secondo Pappè, è presente anche nei sionisti di sinistra di oggi che continuano a discutere solo in termini di “concessioni” ai palestinesi. Una visione unilaterale che ha condizionato anche i processi di pace da Oslo in poi e che alla fine è diventata conveniente anche per molti europei e molti palestinesi per non affrontare i nodi della questione. I palestinesi invece sono consapevoli del peso del sionismo e degli insediamenti coloniali. “In Israele e in Palestina ormai siamo alla terza generazione di coloni e di palestinesi sotto l’occupazione”. Ma per gli israeliani “l’obiettivo è di avere più Palestina possibile … con meno palestinesi possibile, rinchiudendoli in quelli che ormai sono dei Bantustan”.
Ilan Pappè è poi entrato nel merito anche della questione “politica”, affermando che quando “politica e realtà non coincidono, diventa difficile avere una strategia”. “Quella dei due popoli per due stati appare così una prospettiva percorribile, mentre a Gaza pensano che sia meglio proseguire con la resistenza armata”.
Infine Pappè ha posto l’attenzione su tre nodi:
– Il primo è il focus sui diritti civili e umanitari dei palestinesi piuttosto che sui diritti nazionali e religiosi, perché in questa dimensione può essere coinvolta anche Israele
– Il secondo è il futuro dei coloni israeliani. Quella dei palestinesi non ha niente a che fare con la religione ma è una lotta anticolonialista
– Il terzo è che le università e il dibattito accademico non devono avere paura di parlare di sionismo o della pulizia etnica del 1948, perché una discussione vera su questi temi consentirebbe anche ai giornalisti e ai media di poter scrivere su questa materia con meno condizionamenti.
Una relazione decisamente interessante quella di Ilan Pappè sulla quale ci sentiamo di segnalare un punto, se non di dissenso quantomeno di approfondimento. Se il focus infatti diventano i diritti civili e umanitari dei palestinesi si corre il rischio – che si è cercato di contrastare in questi anni – di ridurre la questione palestinese ad una dimensione umanitaria piuttosto che politica. Una visione questa che ha aumentato i consensi nel mondo della solidarietà internazionale ma anche in settori del movimento palestinese a fronte delle difficoltà dell’opzione politica della liberazione nazionale. Quella mancata convergenza “tra politica e realtà” segnalata appunto da Pappè che ha reso via via più silente il progetto politico nazionale palestinese dopo la repressione violenta della Prima e della Seconda Intifada, sembrerebbe così realizzare quel “politicidio” dei palestinesi denunciato giustamente da Baruch Kimmerling. Obiettivamente l’opzione politica palestinese si è manifestata con maggiore determinazione lì dove pure l’emergenza umanitaria è più forte, cioè a Gaza, ma si è manifestata attraverso la rappresentazione dell’islam politico in tutte le sue sfaccettature, incluse le peggiori. Al contrario in Cisgiordania tende a prevalere la contaminazione dell’opzione civile e umanitaria come dimensione prevalente del problema palestinese. Il tentativo dell’Olp di rompere l’assedio e la bantustanizzazione dei palestinesi attraverso il riconoscimento nelle sedi internazionali (Assemblea plenaria delle Nazioni Unite, Corte Penale Internazionale) è una strada che va perseguita con determinazione. A tale proposito, merita essere segnalato che il 19 febbraio il Parlamento italiano dovrebbe essere chiamato a pronunciarsi sul riconoscimento dello Stato Palestinese dopo il rinvio della discussione avvenuto alcune settimane fa. Sarà una occasione importante per verificare se la questione palestinese ha ancora la forza di porsi come questione politica anche nell’agenda italiana.
Una seconda osservazione va indirizzata invece al mondo accademico e universitario che anche in questa occasione ha dovuto fare i conti con le pesanti ingerenze della lobby sionista. Il successo e l’interesse tra molti giovani e studenti per la conferenza con Ilan Pappè – e la sua stessa esortazione nel terzo dei suoi punti elencati come decisivi – sta a lì a dimostrare quanto possa essere importante un impegno sistematico dei docenti e del mondo accademico nel dibattito su tali questioni. Occorre una grandissimo coraggio e una capacità di tenuta non indifferenti per resistere all’ostracismo e alle ingerenze sioniste anche in questi ambiti, ma una battaglia di verità e di libertà merita sempre di essere combattuta e di pretendere il sostegno reale e non formale di chi ne comprende il valore.
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