Lunedi mattina al tribunale di Piazzale Clodio si deciderà sulle sorti del sequestro della Casa della Pace, spazio socio-culturale storico a Roma, chiuso e sequestrato dalla magistratura più di un mese fa. In queste settimane ci sono state decine di iniziative di protesta e informazione che hanno chiesto la riapertura di questo spazio dentro una metropoli sempre più incupita, incattivita, degradata e “commissariata” dai veri poteri forti. Decine di artisti hanno sottoscritto un appello per chiederne la riapertura. Qui di seguito una intervista del regista Paolo Virzì uscita su il Fatto quotidiano di ieri.
Riaprite la Casa della Pace. “Questo dovrebbe fare un’amministrazione attenta: mediare tra le esigenze dei residenti e le iniziative spontanee dei ragazzi che vogliono riprendersi gli spazi abbandonati. E’ chiaro che ci sono regole da rispettare, ma lo si può fare in una maniera che tuteli i bisogni di tutti”. C’è anche Paolo Virzì tra i 40 – scrittori, attori, registi, musicisti, da Santamaria a Calopresti, da Lagiola a Veronesi – firmatari dell’appello a sostegno della riapertura della Casa Della Pace.
La notte tra il 2 e il 3 ottobre scorso, un blitz della polizia ha sgomberato uno dei luoghi occupati ‘storici’ della Capitale: nel cuore del quartiere di Testaccio, all’interno dell’ex Mattatoio, da 30 anni si allestivano mostre, si preparavano eventi, si realizzavano laboratori e corsi, si ascoltava musica. A un volume eccessivo, a sentire le motivazioni con cui è stato ordinato lo sgombero. “Un pretesto”, secondo il regista di “Caterina va in città”, una delle cui scene è stata girata proprio all’interno della Casa della Pace. “In una zona fitta di locali che fanno musica fino a tarda notte, quella motivazione non sta in piedi – prosegue Virzì- A quel punto dovresti chiuderli tutti. Oppure cominciare a ragionare per capire come armonizzare le esigenze, quali sono i punti incontro.”
Lunedì mattina è fissata l’udienza per il dissequestro dello stabile, che ha una storia molto lunga. Il Comune di Roma lo aveva abbandonato nel 1975; dopo nove anni, nel 1984, un gruppo di persone decise di occuparlo, anche nel tentativo di “restituire alla città un gioiello urbanistico altrimenti lasciato in rovina” dicono oggi coloro che da lì sono stati cacciati. Nel 2003 il Campidoglio fece partire un’opera di riqualificazione dell’intera area che avrebbe dovuto interessare anche gli spazi della Casa della Pace. Ma così non è stato.
“Molte delle cose migliori che avvengono a livello di offerta culturale nascono spontaneamente – spiega ancora Virzì – e le istituzioni dovrebbero essere attente a comprendere le esperienze che aggregano. Specialmente se esse riguardano spazi strappati al degrado e all’abbandono. La Casa della Pace era resa allegra dal lavoro di tanti volontari, si era creato un movimento vivace di ragazzi, che hanno avuto come unica risposta sprezzante dalle istituzioni l’invio della polizia”.
Non è la prima volta che accade a Roma: negli ultimi anni le forze dell’ordine hanno tirato giù le saracinesche dei cinema America e Preneste, del Teatro Valle, del centro sociale Angelo Mai. Tutti luoghi occupati, in cui si tentava di produrre cultura. “E’ uno dei motivi per cui mi sono pentito di aver votato Marino – conclude Virzì – Mi sarei aspettato una risposta diversa dalla sua amministrazione. Un esempio? Torino, dove c’è un sindaco molto sensibile alla cultura che arriva dal territorio. Sarebbe bello avere a Roma la stessa attenzione”.
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