Menu

“St. Pauli siamo noi”: pirati, punk e autonomi allo stadio e nelle strade di Amburgo

Marco Petroni esordisce con la sua prima opera letteraria – “St. Pauli siamo noi” – e lo fa dando vita ad un lavoro che magistralmente abbina la passione del narratore, alla meticolosità dello storico.
A metà tra l’inchiesta sociologica e il saggio, l’opera narra dell’evoluzione sociale e politica del quartiere portuale di Amburgo, il St. Pauli. Pagina dopo pagina il lettore viene sapientemente guidato nel processo di metamorfosi di un luogo, capace di incarnare come pochi altri al mondo,  una  forte conflittualità sociale e un’appartenenza ideologica che finiranno poi per diventare elementi distintivi della tifoseria della sua  omonima squadra di calcio.

L’autore apre il libro ripercorrendo la storia del quartiere e per farlo torna indietro nel tempo, fino al 1870, periodo in cui già risaltava la specificità amburghese e la conflittualità insita nella città nei confronti del resto della Germania Prussiana. Caratteri, quelli amburghesi, risultati sempre ancora più marcati a S.t. Pauli e che non passarono inosservati nemmeno agli occhi di Napoleone, il quale rase al suolo il quartiere,  popolato da gente da lui etichettata come “riottosa”. Ribellione e resistenza all’autoritarismo saranno ancora i suoi marchi distintivi nelle rivendicazioni operaie mosse alla fine dell’ 800 e alla base della sua resistenza clandestina al nazismo.
La ricerca dei dettagli storici, frutto di uno scrupoloso lavoro, s’intreccia dunque con un’indagine appassionata delle origini sociologiche di un pezzo di città da sempre ribelle, abitato da portuali, frequentato da spacciatori e prostitute ed eretto a luogo simbolo dell’antiautoritarismo e dell’anticonformismo negli anni ’80, in coincidenza con l’occupazione delle case, nella Hafenstraße, da parte degli autonomi.
Punk, skinhead di sinistra, radicali, giovani ribelli provenienti da tutta le Germania iniziano da allora a frequentare e a stabilirsi nel quartiere a quel tempo in declino economico, rendendosi promotori di importanti lotte sociali, tra cui le campagne ecologistiche e antinucleari e contemporaneamente continuando le battaglie per l’occupazione delle case. La squadra del St. Pauli e il suo stadio, il Millerntor, non potevano restare immuni a ciò che accadeva loro intorno. Le vicende del quartiere iniziano così a intrecciarsi in maniera indissolubile con una tifoseria, le cui azioni segneranno uno spartiacque nel modo tradizionale di concepire il calcio e il tifo organizzato. L’ F.C. St. Pauli, attualmente militante nella seconda divisione del campionato tedesco, ha come simbolo non ufficiale la bandiera pirata con sfondo nero, teschio e ossa incrociate: il Jolly Roger,  icona già nota alla storia amburghese (risaliva infatti al periodo a cavallo tra il XIV e XV secolo, quando i duchi del Meclemburgo fondarono una compagine di corsari per contrastare il regno di Danimarca).
Con l’avvento degli autonomi e dei punk tra le fila della tifoseria del S.t. Pauli, nulla sarà più come prima. I supporter nelle partite esordiscono con lo slogan “ Mai più fascismo, mai più guerra, mai più serie C”.
Già con largo anticipo rispetto alle federazioni calcistiche, al Millerntor venne votato all’unanimità un regolamento che dal 28 ottobre 1991 vieterà ufficialmente all’interno dello stadio slogan, striscioni, bandiere e qualsiasi espressione di carattere razzista e xenofobo.
La tifoseria, anche grazie alla peculiarità della struttura delle squadre di calcio tedesche, organizzate nelle forme di associazioni, ha poi avuto una voce molto rilevante nella determinazione degli eventi del club, rispetto ad altri paesi come ad esempio l’Italia, dove la forma societaria per azioni ha impedito tutto ciò.
I tifosi del S.t. Pauli prendono coscienza dell’importanza di veicolare messaggi politici allo stadio e contemporaneamente promuovono campagne a favore dei disoccupati, dei bambini e degli anziani del quartiere,  raccolgono fondi per i senza tetto. La logica per i frequentatori del Millerntor, è stata quella di dissentire dai canoni e dai modelli tradizionali del calcio commerciale e di discostarsi dall’immagine di “consumatore indefesso” imposto al tifoso, posizione questa che li ha spesso portati a scontrarsi aspramente con la dirigenza e ad opporsi a speculazioni edilizie ed economiche che, di volta in volta, prendevano di mira lo stadio o l’intero quartiere.
Acerrima nemica dell’ HSV e invisa agli ultras di destra di mezza Europa, gemellata col Celtic e la Ternana, la tifoseria del St. Pauli ha avuto come icona calcistica il portiere ribelle, Volker Ippig.
Come rileva Petroni, le battaglie del St. Pauli hanno contribuito a sdoganare a sinistra la passione popolare del calcio, hanno contrastato la deriva a destra nelle curve e fatto da argine allo strapotere di un calcio sempre più assoggettato ai profitti e alle speculazioni finanziarie. Al contempo hanno soppiantato visioni identitarie e settarie nelle curve, forgiando un nuovo modo di tifare, legandolo in modo indissolubile con quello di un quartiere che interamente si riconosce nella sua squadra e nel simbolo del Jolly Roger.

Marco Petroni. Romano, classe 1979, laureato in Storia contemporanea all’Università La Sapienza di Roma è insegnante ed operatore sociale, nonché, come ama definirsi tifoso di curva. Frequenta e tifa St. Pauli dal 2004.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *