Su La Repubblica del 12 dicembre leggiamo un articolo di Benedetta Tobagi sul terrorismo, I demoni del terrore dalla P38 al Califfo. Già il titolo evoca Dostoevskij, ripreso dal paragrafo conclusivo, e fin qui siamo nell’ordinaria amministrazione, ormai citare I demoni quando si tratta del fenomeno terroristico è come evocare Arancia meccanica nel commentare fatti di cronaca particolarmente brutali, per telegiornali e quotidiani si tratta di un tic nervoso, un sintomo della loro inguaribile superficialità.
Ma partiamo dall’inizio. La Tobagi esordisce con una dotta citazione di sant’Agostino sulla difficoltà di spiegare il concetto di tempo, difficoltà che si ripresenta per quanto riguarda il terrorismo. Vero, spingiamoci perfino a dire che forse è del tutto inutile cercare una definizione generale di terrorismo, specie se questa definizione serve come pattumiera nella quale gettare eventi storici diversissimi e decontestualizzati. Esattamente ciò che fa la Tobagi.
Dalla tutt’altro che chiara vicenda della sparatoria di San Bernardino, dove sembrerebbero essersi fusi un caso di radicalizzazione fai-da-te e la patologica diffusione delle armi negli Stati Uniti, passando per l’immancabile geremiade sull’uso distorto, da parte dei terroristi, di Twitter e dei videogiochi (ci viene in mente il generale Ripper nel Dottor Stranamore, quando spiega all’esterrefatto colonnello Mandrake l’ultimo diabolico piano dei comunisti: l’avvelenamento, tramite fluorocontaminazione dei gelati per i bambini) per giungere alla P38, ai Narodniki, l’ETA, agli attentatori suicidi palestinesi e ceceni e finalmente all’ISIS. Prendiamo un bel respiro. L’elenco si ferma ma avrebbe potuto estendersi all’infinito, e infatti nel paragrafo successivo prosegue: alla galleria degli orrori si aggiungono l’OLP, l’IRA e, rullo di tamburi… “il terrorismo in Sudafrica durante l’Apartheid, quello anticoloniale in Algeria”.
Tutti membri, ci spiega la Tobagi, della degenerata famiglia dei terrorismi che si basano su rivendicazioni nazionali, politiche o identitarie, tutti allergici ai compromessi e quindi alla democrazia. Ora, parlare di compromessi e democrazia riguardo al Sudafrica dell’Apartheid equivale a fare contravvenzioni per eccesso di velocità alla 500 miglia di Indianapolis, per citare Apocalypse Now. Non parliamo dell’Algeria sotto occupazione francese, o della stessa Francia di quegli anni; chissà se il massacro di centinaia di algerini, in pieno centro a Parigi, il 17 ottobre del 1961, compiuto dalla polizia agli ordini del prefetto Maurice Papon, rientra nella definizione di terrorismo della Tobagi. Probabilmente no, infatti si premura di specificare che si occuperà solo del “terrorismo dal basso”
Terrorismo dal basso che presenta un’altra faccia, quella totalitaria (altro concetto pattumiera) e nichilista, e via con le analogie fra populisti russi e ISIS, riducendo il movimento russo ottocentesco, e le sue propaggini primo-novecentesche, ad una manica di giovani esaltati, traviati dal Catechismo rivoluzionario di Necaev. Scompaiono le condizioni dei contadini nella Russia zarista, i dibattiti fra slavofili e occidentalisti e sull’Obscina, nonché quello coi marxisti. Esattamente come nel caso dll’ISIS, spariscono l’aggressione all’Iraq da parte degli USA, le pesanti responsabilità degli stessi nei pantani libico e siriano.
Ma non è finita, nel paragrafo seguente, dopo un po’ di psicologia comparata dei gruppi terroristici, la Tobagi parla dell’importanza delle figure carismatiche, e giù con un altro elenco da buttare nella pattumiera terrorismo: reduci di Salò e della legione straniera accomunati ai Fedayn palestinesi e agli ex partigiani. A questo punto il clou, il filo sanguinolento che unisce ISIS e BR: fascinazione machista per le armi e ostentazione della forza e del coraggio fisico, testimoniati dalla passione dei militanti armati italiani per film come Il mucchio selvaggio di Sam Peckinpah! Potremmo sintetizzare il tutto in una formula: pistole, ginnastica e film western.
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