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Virzì: buone intenzioni, domande sbagliate

Ho notato ieri mattina che il quotidiano La Stampa ha pubblicato una lettera di Paolo Virzì a Maria Edgarda Marcucci detta Eddi. Non conosco personalmente questa ragazza, so che è una compagna dell’Askatasuna nonché attivista NO TAV, che a seguito della pioggia di misure cautelari a suo carico ha ritenuto di non farsi trovare per un po’. Non conosco la sua opinione in merito alle parole di Virzì e credo che in ogni caso, in queste situazioni, una lettera che esprime vicinanza sia importante e significativa; vorrei però porre l’accento su alcune questioni che ritengo estremamente significative.

Il regista toscano, conosciuto per essere un regista attento a ciò che si muove nel mondo, nonostante le sue posizioni “sinceramente democratiche” che spesso non riesco né posso condividere, sembra impugnare la penna mosso dallo sdegno per la violenza repressiva che colpisce quotidianamente attivisti sociali e militanti politici della sinistra antagonista. In realtà non è proprio così: nelle righe che ho letto, Virzì rende esplicita la sua preoccupazione paternalistica per una ragazza che ha conosciuto tanti anni fa, cui è evidentemente affezionato, raccontando alcuni degli episodi più eclatanti della recente vita politica di Eddi.

Così leggo. Eddi che si oppone all’uso privato delle aule universitarie da parte di un’organizzazione politica, il Fuan -un’organizzazione neofascista, non una qualunque- e che per questo riceve l’obbligo di firma. Eddi che cerca di intervenire a un incontro pubblico dell’UniTo, ed è fermata e spintonata da poliziotti in borghese che poi le notificano il divieto di dimora da Torino. Eddi che, insieme ad altri attivisti valsusini, mette in atto “una scenetta abbastanza buffa che non sfigurerebbe nei filmati di Paperissima” per opporsi alla TAV e per questo riceve gli arresti domiciliari.

Nel riportare questi episodi, Virzì non risparmia critiche alle forze dell’ordine, condendo il racconto con dubbi sull’operato della DIGOS, sulla veridicità delle affermazioni degli agenti e sulla necessità di “questi provvedimenti tanto severi quanto contraddittori”. Ma c’è un ma.

Eddi in queste azioni di protesta non era sola, stava insieme a “quelli come te, ragazzi idealisti e appassionati rompicoglioni” che il regista non vuole diventino “cinici disillusi, mosci e sfiduciati verso le virtù civili di una democrazia come la nostra”. Ed è qui che casca il regista, nella trappola ideologica liberale che vedrebbe l’Italia così distante, opposta, “all’Egitto di Al-Sisi o la Turchia di Erdogan”. Viene da chiedersi allora perché il regista sia così convinto che “le autorità sapranno trovare lo sguardo e la misura per valutare nelle giuste dimensioni la tua posizione”? Da cosa gli deriva questa sicurezza? Perché arriva a chiedere a Eddi di uscire allo scoperto e rendersi reperibile perché “noi tutti, come cittadini, come genitori, vorremmo capire com’è possibile che tu sia costretta a nasconderti e vorremmo ascoltare dalla tua voce le tue ragioni”? Perché Virzì è sicuro che alla fine tutti, Eddi e i suoi compagni, la Procura di Torino e il governo italiano, i genitori e i cittadini, vivranno insieme felici e contenti?

La risposta a questa domande si può trovare nelle stesse parole del regista: “nell’indifferenza di una società distratta, egocentrica, coi più giovani impegnati ad esibirsi sulle bacheche dei social network o che si eccitano a sfogarsi rabbiosamente contro i diversi, i più deboli, in un clima dove crescono la paura e l’intolleranza, ti sembrerà che sia destinata a cadere esclusivamente sulle fragili spalle tue e di quella manciata di tuoi coetanei la responsabilità di esprimere quella quota di dissenso di cui ogni società complessa ha un bisogno fisiologico, quella cosa che Don Milani definiva «la disobbedienza virtuosa»”. Il fraintendimento -credo- sta qui, nella convinzione del regista che Eddi sia vittima di una qualche forma di ribellismo giovanile (“in un mondo che non sa che farsene dei tuoi slanci ribelli, delle tue domande generose e ingenue”..io per quest’ultima parola mi arrabbierei molto) o sia parte di quella poca percentuale della società che si pone contro ma che è fisiologicamente necessaria per la buona salute di una società complessa.

Al regista non sembra passare neanche per l’anticamera del cervello che Eddi possa essere una militante politica, sicuramente un’appassionata rompicoglioni ma magari poco idealista e molto concreta, che conosce bene ciò che non le piace del mondo ma che sia anche portatrice di un qualcosa (politicamente parlando) che le piace e piacerebbe. Mi sembra che al regista riesca difficile realizzare che esistono persone -giovani e non- che lottano per un altro mondo possibile, strutturalmente differente, inconciliabile con quello organizzato e difeso dal PD proTAV e dalle Procure. Magari sbaglio e d’altro canto non conosco neanche l’opinione dell’interessata a proposito, ma pare che al regista manchi, in sintesi, la nozione stessa dell’agire politico. E infatti, in questa sua lettera a una ragazza cui vuole bene, l’elemento politico è paradossalmente estraneo al racconto.

La produzione cinematografica di Virzì, d’altro canto, non lascia spazio a dubbi: il regista si è sempre mosso sul piano della critica sociale, raccontando vicende umane inserite nel loro contesto, mai isolate, ma i suoi film si chiudono ogni volta senza che l’orizzonte di un possibile cambiamento reale sia stato dato. Le problematiche ci sono, vengono analizzate, ma non vengono mai forniti elementi per risolverle. E così, se in “Ovosodo” troviamo una rappresentazione edulcorata (e talvolta sbeffeggiata) del conflitto di classe, se in “Caterina va in città” si nota una disuguaglianza sociale e di status che si mantiene intatta ed è affrontata forse con troppo buonismo, se tutti i personaggi virziniani tentano di trovare il loro posto nel mondo senza però cercare di cambiarne gli assetti …nel mondo reale il conflitto di classe esiste davvero, fatto di persone e bisogni reali, tenuto insieme dall’organizzazione di tutti quei soggetti che vogliono riscattare i dannati della Terra.

Caro Virzì, non capisco se ti sembri inconcepibile o se tu ne sia conscio, ma Eddi forse è una di questi soggetti, e sarebbe utile se la tua preoccupazione più che sincera per la gestione del conflitto nella democratica Italia si trasformasse in un’analisi seria del perché Eddi ogni giorno combatte lo stato di cose esistenti, facendosi domande certamente generose ma per nulla ingenue. Chissà, magari troveresti il soggetto per il tuo prossimo film…

Carlo Domenicucci

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3 Commenti


  • marco

    il mio vecchio professore di storia e critica del cinema una volta a lezione disse, parlando di Virzì(nella fattispecie si parlava di “ovosodo” ) che talvolta le sue cadute di stile nel buonismo più banale, offendono la nostra, ma in primis la sua intelligenza.


  • federico

    Per capire l’-uomo-, il -cittadino-Virzi, rileggetevi le sue dichiarazioni nella vicenda Loach-Museo del Cinema-TFF-Rear-PD


  • Angelo

    La descrizione della società come appare nelle rappresentazioni di Virzì penso sia senz’altro voluta per corrispondere alla sensibilità e all’emozione dei contemporanei, non per trarne delle deduzioni che voi ritenete inevitabili e che, in fondo, il cuore di ogni spettatore può suggerire. Come si può tuttora ritenere che spetti a chi diffonde conoscenza enunciare principi o indicare soluzioni? Nelle vostre osservazioni è compresente una presunzione veramente antipatica, insieme ad una svalutazione dell’intelligenza e della capacità critica di molti, che non hanno bisogno di ricevere una lezione tutte le volte che guardano un film. Siamo tutti innanzitutto esseri liberi, almeno dentro di noi. Ciò che conta nelle parole che Virzì rivolge alla giovane non è il concetto, magnificamente espresso, ma è il sentire che quel concetto suggerisce, perché quest’ultimo è in grado di muovere gli uni e gli altri, dalle parti opposte della reciproca intransigenza. Trovo che nella concezione “organica” di molti che coltivano un pensiero politico come voi, vi sia innanzitutto un’immensa presunzione.

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