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Le quattro ideuzze della sinistra “globalista”

I teorici operaisti italiani di matrice "negriana", che trovano spazio sulle colonne del giornale "Il Manifesto", detestano la sinistra che scommette su quelle lotte popolari che mirano alla riconquista di spazi di autonomia e sovranità, praticando il "delinking". Ma così facendo diventano l'ala sinistra del globalismo capitalistico.

Correva l’anno 1981 quando il Manifesto recensì il mio primo libro (“Fine del valore d’uso”). Era una stroncatura che non ne impedì il successo e, alla lunga, risultò più imbarazzante per il quotidiano che per l’autore. Quel breve saggio, uscito nella collana Opuscoli marxisti di Feltrinelli, analizzava infatti gli effetti delle tecnologie informatiche sull’organizzazione capitalistica del lavoro e, fra le altre cose, prevedeva – cogliendo con notevole anticipo alcune tendenze di fondo – che la nuova rivoluzione industriale avrebbe drasticamente ridotto il peso delle tute blu nei Paesi occidentali, favorendo i processi di terziarizzazione del lavoro, e avrebbe consentito un massiccio decentramento della produzione industriale nei Paesi del Terzo mondo. Il recensore (di cui non ricordo il nome) liquidò queste tesi come una ridicola profezia sulla fine della classe operaia. Sappiamo com’è andata a finire…

Si trattò di un incidente di percorso irrilevante rispetto al ruolo che il Manifesto svolgeva a quei tempi, ospitando un confronto alto fra le migliori intelligenze della sinistra italiana (e non solo). Oggi la sua capacità di assolvere a questo compito si è decisamente appannata, eppure una caduta di livello come quella della “recensione” https://ilmanifesto.it/lidentita-stanziale-del-populismo/ che Marco Bascetta ha dedicato al mio ultimo lavoro (“La variante populista”, DeriveApprodi) fa ugualmente un certo effetto. Ho messo fra virgolette la parola recensione, perché – più che di questo – si tratta di una tirata ideologica contro i populismi – etichettati come protofascisti – che incarna il punto di vista d’una sinistra “globalista” schierata al fianco del liberismo “progressista” contro questo nemico comune.

Ma torniamo al libro: anche in questo caso l’intenzione è stroncatoria, ma la disarmante superficialità con cui ne vengono criticate le tesi stride con il notevole spazio dedicato all’impresa: una pagina intera per liquidare un saggio che viene definito confuso, contraddittorio e pretenziosamente ambizioso!? Non sarebbe bastato un colonnino o, meglio ancora, non era semplicemente il caso di ignorarlo? Evidentemente, c’è chi giudica le mie idee pericolose al punto da giustificare tanto impegno, Peccato che il “killer” non si sia dimostrato all’altezza del compito, limitandosi a stiracchiare quattro ideuzze che avrebbero potuto stare comodamente in venti righe. Mi sono chiesto se valesse la pena di spendere energie per replicare visto che, da quando è uscito il libro, ho ricevuto tali e tanti attacchi – e insulti – che ormai mi rimbalzano. Alla fine ho deciso di farlo, perché ritengo che le quattro ideuzze di cui sopra incarnino una visione che merita di essere duramente contrastata.

Prima ideuzza: Formenti è cattivo, insiste nell’adottare quello stile corrosivo della polemica politica che è sempre stato – da Marx in avanti – tipico di una certa sinistra anticapitalista, ma questa modalità reattiva (tornerò fra poco sul senso di tale aggettivo) “col passare del tempo” (stiamo parlando di mode letterarie?) ha finito per “prendere di aceto”. Analoga accusa mi era stata rivolta tre anni fa da Bifo, a proposito di un precedente lavoro (Utopie letali): Formenti è “antipatico”, fa le pulci a tutti e così via. È una critica che esprime bene la visione di quei seguaci della “svolta linguistica” che rifiutano apriori la possibilità/necessità di difendere la “verità” di un punto di vista di parte (di classe, politico, culturale): per costoro il conflitto non è mai ontologico, oppone solo opinioni, punti di vista soggettivi, “narrazioni” che non competono per il potere ma per “informare” di sé il mondo (è la concezione “debole” dell’egemonia gramsciana, tipica dei cultural studies angloamericani).

Seconda ideuzza: a questa modalità reattiva del discorso, corrisponde una pratica politica fondata sul rancore e sul risentimento che “sono il contrario esatto di ogni attitudine costituente”. Purtroppo Bascetta non ci illumina su quale dovrebbe essere questa “attitudine costituente”, in compenso ci fa capire: 1) che l’odio di classe e il rancore per i torti subiti sono incompatibili con qualsiasi progetto di trasformazione sociale; 2) che chi crede perfino di poter indicare i colpevoli dei torti in questione è destinato a finire nelle braccia dei demagoghi fascisti. Questo doppio passaggio è denso di significati impliciti: sul piano filosofico, implica l’abbandono della prospettiva marxista in favore di quella nietzschiana (da cui le pippe contro il risentimento e la natura reattiva dell’odio sociale), sul piano politico implica la negazione dell’esistenza stessa di un nemico di classe (effetto di un foucaultismo sui generis che neutralizza il conflitto fra soggettività antagoniste, sostituendolo con un percorso di autonomizzazione/autovalorizzazione).

Ma perché la visione antagonista del conflitto sarebbe destinata a portare acqua al mulino dei fascisti? Perché – terza ideuzza – chi ne è sedotto è portato ad affidare il proprio riscatto alla figura di un redentore, a un capo carismatico. Ergo, il populismo è un incubatore del fascismo. Nei giorni precedenti il Manifesto aveva pubblicato un interessante dossier su Podemos, seguito da un bell’articolo https://ilmanifesto.it/iglesias-ha-vinto-ora-svolta-ideologica-e-organizzativa/ di Loris Caruso sul congresso di Vistalegre; invece nell’articolo di Bascetta non vengono fatte sostanziali distinzioni fra populismi di destra e di sinistra, al punto che, anche se ciò non viene esplicitamente detto, il lettore potrebbe dedurne che Trump e Sanders, Marine Le Pen e Podemos, Alba Dorata e M5S vanno considerati tutti sullo stesso piano, a prescindere dalle loro differenze (ivi compreso il ruolo diverso giocato dai rispettivi leader). Del resto, Bascetta si guarda bene dal discutere la mia analisi critica delle teorie sul populismo di Laclau e Mouffe, nonché il mio tentativo di reinterpretarle alla luce sia delle categorie gramsciane di egemonia, blocco sociale, guerra di posizione, ecc., sia delle esperienze pratiche della rivoluzione boliviana, di Podemos, e della campagna presidenziale di Sanders.

Insomma: i rancorosi e gli odiatori, quelli che oppongono alto e basso, popolo ed élite, che cercano a tutti costi il nemico (che se la prendono con le banche, con le multinazionali e con le caste politiche che ne gestiscono gli interessi), quelli che vogliono ricostruire comunità riunificando le disiecta membra di un corpo sociale fatto a pezzi dalla ristrutturazione e dalla finanziarizzazione capitalistiche, invece di godersi la libertà individuale e i diritti civili che la civiltà ordoliberista ci regala (o meglio, regala a un’esigua minoranza di “cognitari” e ai suoi intellettuali organici) non sono altro che una massa indifferenziata di bruti, un popolo bue (“demente” lo ha definito Bifo, riferendosi agli operai e alla classe media impoverita che ha votato Trump in America e Brexit in Inghilterra) pronto a militare sotto le insegne del “nazional operaismo” (altra definizione coniata da Bifo).

A questo punto manca solo di prendere in esame la quarta e ultima ideuzza, quella relativa all’apologia del globalismo contro le mie tesi sul conflitto fra flussi e luoghi. Ma prima ritengo utile riprendere alcune recenti riflessioni http://www.rifondazione.it/primapagina/?p=27634 di Nancy Fraser sulle responsabilità delle sinistre “sex and the city”.

Anche se differiscono per ideologia e obiettivi, scrive la Fraser riferendosi alle elezioni americane e alla Brexit, «questi ammutinamenti elettorali condividono un bersaglio comune: sono tutti dei rifiuti della globalizzazione delle multinazionali, del neoliberismo e delle istituzioni politiche che li hanno promossi». Ma la vittoria di Trump, aggiunge, «non è solo una rivolta contro la finanza globale. Ciò che i suoi elettori hanno respinto non era il neoliberismo tout court, ma il neoliberismo progressista». Ed ecco la definizione che dà di questo termine: «Il neoliberismo progressista è un’alleanza tra correnti mainstream dei nuovi movimenti sociali (femminismo, anti-razzismo, multiculturalismo, e diritti LGBTQ), da un lato, e settori di business di fascia alta “simbolica” e basati sui servizi (Wall Street, Silicon Valley, e Hollywood), dall’altro». Attraverso questa alleanza, scrive ancora facendo eco alle tesi di Boltanski e Chiapello (“Il nuovo spirito del capitalismo”, Mimesis) , le prime prestano involontariamente il loro carisma ai secondi: «Ideali come la diversità e la responsabilizzazione, che potrebbero in linea di principio servire scopi diversi, ora danno lustro a politiche che hanno devastato la produzione e quelle che un tempo erano le vite della classe media».

In questo modo l’assalto alla sicurezza sociale è stato nobilitato da una patina di significato emancipatorio e, mentre le classi subordinate sprofondavano nella miseria, il mondo brulicava di discorsi su “diversità”, “empowerment,” e “non-discriminazione.” L’”emancipazione” è stata identificata con l’ascesa di una élite di donne, minoranze e omosessuali “di talento” (la “classe creativa” celebrata da Richard Florida e dagli altri cantori della rivoluzione digitale) nella gerarchia dei vincenti. «Queste interpretazioni liberal-individualiste del “progresso” gradualmente hanno sostituito le interpretazioni dell’emancipazione più espansive, anti-gerarchiche, egualitarie, sensibili alla classe, anti-capitaliste che erano fiorite negli anni ’60 e ’70».

Ma nemmeno dopo che il Partito Democratico ha scippato la candidatura a Sanders, spianando la strada alla vittoria di Trump, questa sinistra ha aperto gli occhi: continua a cullarsi nel mito secondo cui avrebbe perso a causa di un “branco di miserabili” (razzisti, misogini, islamofobi e omofobi) aiutati da Vladimir Putin (sulle differenti interpretazioni delle cause della vittoria di Trump, vedi il corposo dossier curato da Infoaut (http://www.infoaut.org/index.php/blog/prima-pagina/item/18179-gli-usa-di-trump-il-crepuscolo-della-seconda-globalizzazione?-e-book-a-cura-della-redazione-di-infoaut ). Nancy Fraser li invita invece a riconoscere la propria parte di colpa, che è consistita «nel sacrificare la causa della tutela sociale, del benessere materiale, e della dignità della classe lavoratrice a false interpretazioni dell’emancipazione in termini di meritocrazia, diversità, e empowerment».

Invito inutile: Bascetta e soci sono ben lontani dal recitare un simile mea culpa. Se lo facessero, dovrebbero accettare l’invito di Nancy Fraser a riconoscersi nella campagna contro la globalizzazione capitalista lanciata dal populista/socialista Sanders. Vade retro! Per costoro i discorsi sulla necessità che popoli e territori lottino per riconquistare autonomia e sovranità praticando il “delinking” (ricordate Samir Amin: anche lui fascista?) dal mercato globale, sono eresie “rossobruniste”. Questo perché sono incapaci di distinguere fra mondializzazione dei mercati (che è una caratteristica immanente del capitalismo fin dalle sue origini) e globalizzazione, che è la narrazione legittimante (curioso errore per chi vede solo narrazioni…) su cui si fonda l’egemonia ordoliberista; per cui non riescono nemmeno a vedere la crisi della globalizzazione – della quale il vicepresidente boliviano Alvaro G. Linera invita a prendere atto in un suo recente articolo https://contropiano.org/news/internazionale-news/2017/01/25/alvaro-garcia-linera-la-globalizzazione-morta-088230 – mentre Toni Negri ne ha negato l’evidenza in una penosa intervista televisiva. Una cecità che arriva al punto di paragonare (vedi l’ultima parte del pezzo di Bascetta) l’apprezzamento di Sanders nei confronti del ripudio dei trattati internazionali TTIP e TTP da parte di Trump, e quello di Corbyn nei confronti della Brexit, al voto dei crediti di guerra da parte dei partiti socialisti della Prima Internazionale (sic!).

Che altro aggiungere? Mi aspetto a momenti la loro adesione al manifesto http://www.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2017-02-17/ecco-manifesto-mark-zuckerberg-mondo-secondo-numero-di-facebook–175806.shtml?uuid=AEZyOOY&refresh_ce=1 con cui Zuckerberg si candida a leader dell’opposizione liberal a Trump e a punto di riferimento del globalismo dal volto umano (a presidente dell’umanità ha ironizzato qualcuno). Un Impero del Bene hi tech e ordoliberista che non mancherà di piacere alle élite cognitarie. Viste le premesse, potremmo perfino vederli inneggiare all’annunciato ritorno di Tony Blair, che minaccia di sfidare Corbyn per rianimare il New Labour e, perché no, aderire alla campagna promossa da media mainstream, caste politiche ed élite finanziarie contro le fake news veicolate dalla Rete infiltrata dai populisti. Così il politically correct assurgerà definitivamente a neolingua e quelli che, come il sottoscritto, spargono l’aceto della polemica, verranno finalmente messi a tacere.

 

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6 Commenti


  • Claudio Ursella

    Fermo restando la mia assoluta distanza dalla "sinistra alla Bascetta", due considerazioni critiche sull'approccio di Formenti:

    1) il linguaggio: nel parlare e nel comunicare, non posso fare a meno di tenere sempre conto di quello che ho capito della differenza tra "contraddizioni di classe e contraddizioni in seno al popolo" che ricordo delle mie frequentazioni maoiste di gioventù. Quindi cerco di usare un linguaggio diverso se l'obbiettivo è inasprire le contraddizionio oppure comporle… a volte mi sembra che Formenti si esprima con quell'amore tutto intellettuale per la scoperta delle contraddizioni, che sembra aver poco interesse a comporle, anche quando necessario e possibile, come chi invece, per sua disgrazia, quelle contraddizioni le vive e le subisce…

    2) sinceramente l'idea che la sfera dei diritti civili, sessuali, ludici e individuali in genere, sia solo interesse di settori sociali privilegiati, mentre noi poveri abbiamo "altro a cui pensare", me sembra ridurrre la mia condizione di proletario, pulitore di vetri, ad uno stereotipo limitante e, sinceramente, un po' offensivo… nel '77 ho imparato che "volevo tutto", e neanche la sconfitta di questi anni mi fa rinunciare…


    • Redazione Contropiano

      Sinceramente, ci sembra che ci sia un fraintendimento… Nessuno ritiene i “diritti civili” ecc una cosa solo per privilegiati… Il problema è una subcultura che vuole apparire molto “di sinistra” secondo cui questi diritti sono più importanti di quelli sociali (sul lavoro, al welfare, ecc)… Altrimenti non si capisce perché le aree a più alta concentrazione di classi popolari, dalla vecchia Europa alla profonda America, abbia voltato le spalle al “neoliberismo progressista”…


  • Claudio Ursella

    Perchè la Clinton è neoliberista, non perchè è progressista… o meglio, perchè il neoliberismo non può essere progressista… e quindi l'uso stesso di questa inconsistente categoria, è un elemento di subalternità politica… per criticare certa "sinistra", basta ricordare ciò che non ha, e cioè un punto di vista di classe, piuttosto che focalizzarsi su ciò che (mistificatoriamente) mostra di avere, il progressismo… A me questi me stanno sur cazzo non perchè parlano di diritti civili, ma perchè, di fatto presumono di essere gli unici ad avere il diritto di farlo… dato che da trent'anni ci raccontano la balla di un punto di vista di classe, come "una cosa del passato", non in grado di interpretare le nuove problematiche di una società complessa… Poi forse un giorno sarebbe interessante soffermarci sul fenomeno Renato Zero e l'immaginario della periferia romana…

     


  • gionanni

    apprezzo molto.

    è l'anello di congiunzione, che mi era mancato per assenza disgustata e incolpevole, della trasformazione della sinistra in globalnazismo oligarchico e militante.


  • Alessio Marchini

    WOW! mi auguro solo una versione dell'articolo redatta di figure esplicative o vignette per ovviare la difficoltà dialettica del testo! Insomma fatene una versione per Gonzi! 

    Grazie infinite, vado a leggere gli inserti (N.Fraser & co.)


  • tiberio

    La sinistra è morta , quindi è inutile parlarne, non si può parlare di chi è scomparso circa 37 anni fa; è una contraddizione derivante dal piacere intellettuale delle schermaglie tra persone o intellettuali che non hanno mai capito i processi e mai contato; se dovessi scegliere oggi sarei a a favore della battaglia contro il Relativismo etico di Ratzinger che ha un bagaglio culturale,anche se di fede,ben più profondo degli pseudointellettuali di sinistra o dintorni, tuttologi; lasciate in pace la sinistra sepolta sotto terra da decenni e cambiate registro parlando di precarietà, di lavoro che non c'è , di costituzione, di media che disimformano, di scuola senza risorse, di euro che non è solo una moneta Sveglia!

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