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“All’ombra di caino” storie di donne e di violenza

La cronaca nera non interessa tutti. Quando, notizie di violenze, stupri e assassini vengono trasmesse dai telegiornali, molti cambiano canale.

Anch’io ho spesso, incosapevolmente derubricato questi fatti, a notizie di minore importanza rispetto ai temi che riguardano politica e cultura. Pensavo che le notizie di cronaca fossero ascrivibili alla sfera del particolare, rispetto ai grandi fatti che riguardano l’intera società.

Ho iniziato la lettura de “All’ombra di Caino” di Maria Cristina Cerrato e Pino Nazio (Sovera Edizioni), con la sensazione di spiare dal buco della serratura, le vicende terribili che hanno attraversato le vite di alcune sfortunate donne.

Leggendo il libro, ho decisamente cambiato opinione. Non sono poche le donne che subiscono violenza. Non sono poche 2300 donne assassinate dal 2000 al 2017. Ammazzate nella stragrande maggioranza dei casi dal compagno o da un uomo della cerchia familiare. Senza contare l’enorme numero di donne che ha subito violenza almeno una volta nella vita.

La galleria degli orrori è infinita: donne violate da compagni e familiari, minori abusati, ragazze avviate con la forza al racket della prostituzione, fino all’abisso incolmabile del femminicidio. Ma il testo non è solo racconto.

Il libro ha il pregio di essere di immediata lettura; i contributi sono di un’ampia cerchia di persone che hanno avuto a che fare con le questioni in oggetto: giornaliste, attiviste e avvocate, studiosi del fenomeno in generale. Ne risulta una lettura scorrevole e interessante, non faticosa nonostante i contenuti non siano leggeri.

I racconti delle terribili vicende di violenza contro le donne che attraversano il nostro tempo, sono inframmezzati da contributi in cui si spiegano le leggi che affrontano il fenomeno e la terminologia tecnica che viene utilizzata. Non è scontato e non è banale usare un linguaggio preciso e pregnante, visto che il femminicidio coinvolge inevitabilmente la sfera emotiva di ciascuno e visto il linguaggio così fuorviante che spesso viene utilizzato dai media per descrivere i fatti. Non si tratta di donne uccise dalla gelosia, dal troppo amore ed è assurdo parlare di “delitti passionali”: eppure è questo il linguaggio a cui la televisione ci ha abituati, veicolando un messaggio totalmente errato. Inoltre la disamina della legislazione attuale, permette anche di capire che il problema non sta tanto nelle leggi e neppure nella loro piena applicazione, quanto in un intreccio sociale, economico e culturale che spesso fa della donna la vittima predestinata.

Soltanto nel 1981 è stato abolito il “Matrimonio riparatore” dopo uno stupro e soltanto nel 1996 si è abolita la legge che considerava la violenza carnale delitto contro la morale: come se la donna non fosse una persona portatrice di diritti. La società italiana non è cambiata di colpo, dopo l’abolizione di quelle norme vergognese e discriminatorie. Ben altro si dovrebbe realmente mettere in campo. Non si cancellano anni di mentalità discriminatoria per cui la donna è l’unica responsabile della violenza che subisce. I media italiani continuano a proporre immagini della donna spesso sessiste e discriminanti; il linguaggio pubblicitario in tal senso è emblematico.

Il mondo politico inoltre, se è vero che si è dotato di leggi punitive e repressive contro la violenza su donne e minori, ha decisamente una grande responsabilità in ciò che continua ad accadere. Dagli studi emerge infatti un punto molto chiaro.

Se è vero che non c’è distinzione di classe sociale tra chi subisce violenza di ogni tipo, dallo stalkeraggio all’omicidio, esiste una netta differenza per quanto riguarda le denunce dei fatti e la possibilità di salvarsi. Per le donne con figli che non hanno un’ indipendenza economica, è difficilissimo denunciare e rifarsi una vita. L’inclusione nel mondo del lavoro resta la migliore garanzia di libertà, perché favorisce anche l’uscita dall’isolamento familiare. Eppure il lavoro non è più una priorità per il nostro Paese, quello femminile ancor meno, che quando c’è, è anche retribuito meno di quello maschile.

Il 70% delle violenze contro le donne avvengono in famiglia: mariti, compagni o ex compagni che si trasformano in orchi e diventano aguzzini spietati. Forse sarebbe ora di documentarsi per capire e poter scegliere, perchè il mostro non è lo straniero che viene a insidiarci sotto casa, come spesso i media veicolano.

Il femminicidio non è questione di razza; si tratta di famiglie, di società, di cultura e di diritti e con la provenienza geografica o il colore della pelle non c’entra niente.

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1 Commento


  • ELISABETTA PELLATTIERO

    Ottimo articolo!

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