La regista e attrice israeliana-statunitense, scossa dai recenti eventi, sceglie di non presentarsi alla cerimonia dei Genesis Award in Israele, scatenando reazioni opposte, tra l’indignazione e l’entusiasmo.
Il Genesis Award, conosciuto anche come Nobel ebraico, è un premio del valore di 1 milione di dollari assegnato annualmente in Israele a “individui che abbiano raggiunto grandi risultati riconosciuti a livello internazionale nel loro campo professionale e che rappresentino il popolo ebraico”.
Il 7 novembre 2017 la Genesis Prize Foundation ha annunciato che il premio del 2018 era stato vinto da Natalie Portman e l’attrice ha prontamente dichiarato che avrebbe devoluto quei soldi a organizzazioni israeliane impegnate nella lotta per l’uguaglianza delle donne, l’istruzione, lo sviluppo economico e la partecipazione politica. Dopo aver letto le sue dichiarazioni, Morris Kahn, un filantropo israeliano, ha deciso di aggiungere un altro milione al premio di quest’anno, facendolo arrivare così a 2 milioni totali.
La cerimonia avrebbe dovuto avere luogo a giugno del 2018 ma è stata annullata dopo che la Portman ha dichiarato che i recenti eventi (senza specificare a cosa si riferisse) l’avevano scossa e che per questo non si sarebbe sentita di partecipare ad alcun evento pubblico in Israele.
La sua decisione ha acceso il dibattito nella società israeliana e, se da una parte alcune organizzazioni progressiste israeliane l’hanno sostenuta, dall’altra vi è stata grande indignazione: Oren Hazan del Likud ha proposto di toglierle la cittadinanza israeliana, Morris Kahn ha dichiarato che il valore del suo premio verrà distribuito alle organizzazioni direttamente dalla Genesis Prize Foundation e non dalla Portman, mentre Miri Regev, ministro israeliano della Cultura e dello Sport, si è dichiarato dispiaciuto di venire a conoscenza del fatto che la Portman fosse caduta “come un frutto maturo” tra le mani dei sostenitori del BDS.
A seguito di questi attacchi, la trentaseienne israelo-statunitense ha precisato che non intendeva e non intende boicottare Israele ma, piuttosto, preferisce evitare di apparire come una sostenitrice di Netanyahu, il quale avrebbe dovuto aprire la cerimonia dei Genesis Award 2018.
Dall’altra parte della barricata, tra gli anti-sionisti, la notizia del rifiuto dell’artista pluripremiata è stata generalmente accolta con un certo entusiasmo. La decisione di Natalie Portman, nata a Gerusalemme e con doppia cittadinanza (israeliana e statunitense), è stata infatti riportata da diversi sostenitori del boicottaggio di Israele, compreso lo stesso sito del BDS Movement; in alcuni casi è stata accompagnata anche da tentativi di identificare la sua decisione come un gesto di boicottaggio contro la stato di apartheid israeliano, nonostante la repentina smentita della stessa coinvolta.
È vero, il rifiuto di Natalie Portman è stato in grado di spingere il dibattito oltre i suoi soliti limiti, portando il nome della campagna BDS alla massa – e questo è senz’altro utile da un punto di vista strategico – ma non si deve rischiare di cadere in trappole che, ormai, dovremmo conoscere piuttosto bene.
“Israele è stato creato 70 anni fa come un rifugio per i profughi dell’Olocausto. Ma il maltrattamento, le atrocità commesse oggi non sono in linea con i miei valori ebraici. Proprio perché tengo a Israele, è mio dovere combattere contro la violenza, la corruzione, l’ineguaglianza e gli abusi di potere.” – scrive la regista-attrice americana.
La presa di distanza da parte della Portman dalle recenti azioni del governo israeliano e la sua (solo recentissima) preoccupazione per l’atteggiamento della sua Patria natia, senza mai neanche nominare le vittime, ricordano tanto l’impostazione di certi intellettuali israeliani – i cosiddetti liberal Zionists – che si oppongono al boicottaggio di Israele, come Amos Oz (autore del libro Una storia di amore e tenebra da cui è stato tratto il film Sognare è vivere, diretto e interpretato proprio da Natalie Portman, film dallo spiccato aroma di hasbara), Abraham Yehoshua e David Grossman; quest’ultimo, dopo gli avvenimenti che si stanno susseguendo dal 30 marzo, dopo aver criticato Israele per le sue politiche e la sua violenza contro i palestinesi a Gaza, appena il giorno dopo, si è recato a ricevere pubblicamente l’Israel Prize 2018 per la letteratura, come niente fosse successo.
Queste persone dalle poche idee, ma confuse (cit. Ilan Pappé) hanno sempre rappresentato il bel volto di Israele, coloro che vogliono dimostrare al mondo fuori dalla green-line e alla stessa società israeliana che esiste un’opposizione, che Israele è uno stato democratico dove i “dissidenti” possono addirittura essere rispettati e premiati. In realtà l’esistenza di questi apparenti liberali è utile a mascherare le politiche israeliane che, a prescindere da quale parte sociale sia al governo, seguono un’ideologia nazionalista, colonialista ed espansionistica basata su principi etnico-confessionali che, per definizione, non può essere considerata liberale: il sionismo. Pertanto, quella dei sionisti liberali non è dissidenza, ma una convinta aderenza al progetto coloniale israeliano, tanto che le loro “condanne” alle brutalità israeliane non sono guidate da una opposizione ai principi che le causano ma, piuttosto, ai metodi “rozzi” che potrebbero minare lo stesso progetto.
La Portman, alla luce della sua decisione e delle sue spiegazioni, ha tutte le carte in tavola, nonostante a caldo abbia ricevuto minacce e pressioni da parte israeliana, per diventare il nuovo volto del “sionismo buono” contro quello “cattivo”. A proposito di “sionismo buono” e “sionismo cattivo”, l’ex-sionista Robert Cohen ha scritto una lettera aperta a Natalie Portman nella quale spiega che in passato anche lui pensava che il problema fossero i leader israeliani e le loro politiche, che un cambio di governo potesse risolvere le cose, ma che poi ha dovuto aprire gli occhi. Non esiste un sionismo buono, ma esistono sionisti più o meno “presentabili” a seconda delle loro dichiarazioni del momento, dichiarazioni che è necessario prendere con le pinze. Non dimentichiamoci che la Portman è stata già strumento di whitewashing per Israele, per questo sarebbe avventato considerare il suo gesto come un avvicinamento al BDS. Se in un futuro Natalie Portman dovesse iniziare a riconoscere, come mai hanno fatto i sionisti liberali prima d’ora, l’ingiustizia che giace dietro la costruzione di una patria ebraica attraverso l’espulsione e la distruzione progressiva del popolo palestinese dalla propria terra, se dovesse riconoscere la brutalità quotidiana del progetto sionista in quanto tale, allora potrà essere presa seriamente. Fino a quel momento, sarebbe opportuno tenere gli occhi bene aperti per non essere complici della creazione di una nuova sionista paladina dei diritti umani, che, vista la risonanza delle sue azioni, potrebbe rivelarsi tanto più utile a Israele per nascondere la sua natura colonialista di quanto non lo siano i suoi attuali organi di propaganda.
Fonti:
https://www.telegraph.co.uk/news/2018/04/20/natalie-portman-pulls-jewish-nobel-recent-events-israel/
http://mondoweiss.net/2018/04/natalie-liberal-zionist/
https://www.instagram.com/p/BhzyyPWhnVf/
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