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“Red Land”, una ricostruzione sgangherata per un’operazione culturalmente grave

Red Land è un film che narra (a modo proprio) di Norma Cossetto e della Resistenza in Istria. Quella della Cossetto è la vicenda più nota legata alle foibe, ma è anche una delle più controverse. Altrettanto delicata e ancora più controversa è la più generale questione delle foibe. Non si può parlare di foibe senza contestualizzare, si tratta di eventi drammatici, sicuramente caratterizzati anche da errori, su cui la propaganda nazionalista italiana non perde occasione per speculare. Ma si tratta di eventi che per essere capiti vanno inseriti almeno nel contesto della Seconda Guerra Mondiale, cioè quando si scatenò l’orrore nazi-fascista. Ancor meglio sarebbe allargare l’orizzonte fino alla fine della Prima Guerra Mondiale, quando l’Italia annesse ampi territori abitati da non italiani (in Tirolo del Sud e in parte della Venezia Giulia) e che furono teatro di violenti scontri, nonché di ampie distruzioni. Dopo l’annessione, l’Istria venne colonizzata e fu avviato un processo di italianizzazione forzata, il nazionalismo italiano fece di quelle terre una bandiera. Con l’affermazione del fascismo, i crimini contro le popolazioni slave divennero più sistematici e crudeli. Gli eventi peggiorarono ulteriormente nel 1941 con l’invasione della Jugoslavia da parte delle truppe dell’Asse. Fu una delle pagine più drammatiche della Seconda Guerra Mondiale, soprattutto per quel che riguarda le vittime e i crimini commessi dai nazi-fascisti. Quindi, contro gli invasori e i loro collaborazionisti, in Jugoslavia si organizzò una Resistenza che fu egemonizzata dai comunisti.

In una vicenda tanto complessa e delicata, caratterizzata anche dalla difficoltà di trovare delle fonti storiche attendibili, il film non lascia alcun margine per il dubbio, sposa con determinazione una sola versione dei fatti. Peccato però che tra le tante versioni disponibili, quella narrata nel film sia una delle più improbabili. La ricostruzione storica è sgangherata. Ci sono tante contraddizioni, alcune eclatanti anche per chi non conosca a fondo i fatti. Al netto di tutte le fandonie che si susseguono nel film, si opta per una narrazione parziale, cioè solo di un episodio sradicato dal contesto, rimuovendo o negando le cause. Decontestualizzare i fatti e ignorare le responsabilità italiane è un preciso gesto politico. Spudoratamente il film vaneggia di una fantomatica pace che in Istria sarebbe durata da secoli, il concetto di pace lo si confonde con quello di dominio: si fa passare un messaggio aberrante.

Si tratta di un film che semina odio, infarcito di stereotipi, in cui i fascisti (di cui viene esaltato l’eroismo) sono tutti buoni, quasi delle vittime degli eventi, al più sono i tedeschi ad abbandonarsi a qualche eccesso. Ancora più buoni sono tutti gli altri italiani, ad eccezione dei comunisti. Quest’ultimi vengono descritti come dei mentecatti, esaltati, infami, traditori e menomati. In un tripudio lombrosiano, è ancora più grottesco il ritratto dei partigiani jugoslavi: criminali, sadici, stupratori, alcolisti, pazzi e soprattutto brutti (aspetto su cui il regista insiste ossessivamente). In sostanza sui comunisti e gli slavi viene riproposta tutta la peggiore retorica della propaganda del ventennio fascista.

Durante la visione si fa fatica a prestare attenzione al problema del revisionismo, si è distratti dalla morbosità della narrazione: il film vuole suscitare indignazione e disgusto e non far riflettere su degli eventi.

Il regista è l’argentino Maximiliano Hernando Bruno, che non può vantare grandi esperienze dietro alla macchina da presa, infatti mostra tutti i propri limiti. Il film scade spesso nel ridicolo e nel grottesco, sembra quasi di stare a vedere una telenovella horror.

Generalmente imbarazzanti le interpretazioni degli attori. Tra i messaggi che il film vuole lanciare c’è anche quello (ovvio) che “le colpe dei padri non ricadono sui figli”, però involontariamente si riafferma pure che “i meriti dei padri non ricadono sui figli”. Infatti nel cast troviamo Geraldine Chaplin (figlia del grande Charlie), che se non avesse accettato quella parte, si sarebbe risparmiata una figuraccia.

Tra i vari che ragliano, si discosta la buona interpretazione di Franco Nero, tanto per le capacità artistiche, quanto per via del fatto che il ruolo gli s’addice alla perfezione: un anziano molto stimato che si suicida. Infatti, con questo film Franco Nero si suicida come artista, andando a seppellire sotto l’immondizia una bella carriera. La delusione verso Franco Nero è anche umana e politica, lui aveva già recitato nel capolavoro “La Battaglia della Neretva”, il film jugoslavo del 1969 che meglio di tutti racconta le gesta eroiche della Resistenza guidata da Tito: ritrovarlo in un film del genere è sconfortante.

Il film fomenta la slavofobia, è pericoloso. Pertanto un pensiero va anche a tutti quei cittadini italiani slavofoni che ancora oggi devono subire un attacco del genere, per loro oltre al danno c’è la beffa e di sicuro se ne ricorderanno la prossima volta che dovranno pagare le tasse o votare: il film è realizzato anche grazie alla RAI e ad alcune amministrazioni locali. Ciò riconferma che le campagne revisioniste godono di ampio supporto istituzionale. Inoltre, assurdamente Red Land ha ottenuto il riconoscimento della qualifica di film d’essai e quindi godrà di agevolazioni fiscali. Tuttavia la cosa che maggiormente preoccupa è che questo film possa essere proiettato nelle scuole, con il rischio d’inculcare l’odio anche tra i giovani: una prospettiva da scongiurare.

In definitiva si tratta di un film fatto male, ma le lacune tecniche sono nulla rispetto all’abominio dell’operazione politica che c’è dietro.

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