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Gli effetti del liberismo sui sistemi scolastici del Nord Europa

L’école démocratique, giornale dell’Aped (Appel pour une école démocratique-Belgio) ha pubblicato nel suo numero di marzo un interessante dossier curato da Nico Hirtt sulla situazione dei sistemi scolastici dei paesi scandinavi1. Come è noto, tali sistemi hanno goduto, a partire dagli anni settanta del secolo scorso, di grande fama di egualitarismo associata all’ottenimento di ottimi risultati didattici. Una fama positiva, certamente giustificata, che tuttavia sembra oggi messa in discussione a causa delle trasformazioni liberiste introdotte soprattutto nel sistema scolastico della Svezia ma, in misura minore, anche in quello della Finlandia.

L’equità scolastica della Svezia, della Finlandia e della Norvegia si fondava soprattutto su quattro elementi qualificanti:

– Un percorso comune formativo di lunga durata uguale per tutti gli studenti sino ai 16 anni;

– L’assenza di ripetenze se non in caso eccezionale;

– La pratica sistematica del recupero scolastico:

Tutti i tre sistemi avevano un carattere statale e centralizzato.

Inoltre, in tutti i tre paesi vigeva la regola dell’iscrizione degli allievi in una scuola situata vicino all’abitazione, quindi un’assegnazione diretta della scuola ai ragazzi di un certo quartiere.

Purtroppo, anche in questi paesi, come nel resto d’Europa, la prospettiva neoliberista si è introdotta nei sistemi scolastici e ha provocato significativi cambiamenti sia dal punto di vista dell’uguaglianza, sia da quello dei risultati scolastici.

La privatizzazione in Svezia

Cominciando dalla Svezia, sin dall’inizio degli anni ottanta, ma in particolare con l’insediamento del governo di destra nel 1991, la prospettiva neoliberista diviene egemone e, l’anno seguente, la legge “sulla libera scelta della scuola” fa del sistema educativo svedese uno dei più decentralizzati del mondo. In particolare:

– L’organizzazione dell’insegnamento passa dallo stato alle municipalità;

Qualunque istituzione privata può fondare e gestire delle scuole “indipendenti” o “libere”;

– Si stabilisce la libertà dei genitori di scegliere qualunque scuola, pubblica o indipendente, che essi desiderino;

– Le municipalità sono obbligate ad accordare a ogni scuola, pubblica o indipendente, lo stesso finanziamento per ogni iscritto, vale a dire il noto “assegno scolastico”;

– In caso di alto numero di iscrizioni, le scuole indipendenti possono selezionare gli allievi attraverso liste d’attesa o sulla base di criteri di vicinanza e di raggruppamento familiare.

A queste misure si è ben presto associata la trasformazione del dirigente scolastico da responsabile pedagogico in “manager” incaricato di vigilare sulle “performance” e sul “controllo di qualità” e sono state introdotte prove standardizzate di valutazione. Queste riforme sono state giustificate con l’esigenza di migliorare la qualità dell’insegnamento attraverso l’azione congiunta della libertà del “consumatore” e della libera concorrenza tra scuole, abbassare il costo dell’istruzione, diminuire le disuguaglianze scolastiche permettendo agli allievi più disagiati di evitare le scuole dei quartieri poveri.

Come vedremo, i risultati di tale politica scolastica sono stati del tutto contrari a un miglioramento dell’insegnamento e all’equità del sistema e hanno portato a una sua rapida privatizzazione.

La prima ondata di scuole private dopo la legge del 1992 fu caratterizzata soprattutto dalla costituzione di scuole ispirate da una particolare linea pedagogica (per esempio Montessori o Freinet), uno specifico orientamento religioso oppure fondate da cooperative di genitori.

Tuttavia, a partire dal nuovo secolo, le cose sono cambiate rapidamente con l’apparire di scuole generaliste, con un profilo simile a quello delle scuole pubbliche e gestite da operatori con interessi esclusivamente commerciali. Nel giro di qualche anno, tre delle quattro principali imprese svedesi nel campo dell’insegnamento secondario superiore sono state acquistate da fondi d’investimento stranieri che non avevano mai operato nel settore scolastico.

La più grande di tali imprese, Acade Media, possedeva, nel 2015, 450 scuole di vari livelli, realizzando un elevato tasso di profitto economico. Il fatto che gestire scuole private sia, in Svezia, particolarmente redditizio appare dovuto al fatto che queste ultime hanno meno obblighi di quelle pubbliche in merito alle strutture (palestre, laboratori ecc.) e ai servizi (come la refezione), ma anche rispetto all’impiego di personale qualificato per seguire i ragazzi nello studio e nell’orientamento o ancora per sostenere gli allievi disabili.

Tuttavia, la fonte di profitto più importante deriva senz’altro da un rapporto insegnanti/studenti ridotto rispetto all’insegnamento pubblico. Il numero di allievi dell’insegnamento obbligatorio iscritti a scuole private era, nel 2013, del 13%, aumentando al 26% per l’insegnamento secondario superiore con tendenza ad aumentare e con grandi differenze tra i centri urbani, dove la frequenza degli istituti privati raggiunge il 50% e le situazioni rurali dove invece tale percentuale è molto bassa. Peraltro, la maggioranza dei giovani di provenienza socioeconomica alta si orienta verso la frequenza di una scuola privata, scelta che invece è estremamente minoritaria nelle classi popolari.

Per quanto riguarda le ragioni di questa scelta, un’inchiesta specifica ha dimostrato che per la gran parte dei genitori ciò che conta è la composizione sociale ed etnica della scuola, più che le pratiche pedagogiche o l’orientamento religioso.

La segregazione scolastica avanza

Risultato dell’introduzione del libero mercato e della concorrenza tra le scuole è stato l’apparire di fenomeni di segregazione sociale e il crearsi di notevoli differenze nei livelli di preparazione degli studenti, a danno dei giovani di origine non svedese e delle classi sociali più povere.

Che i fenomeni di segregazione scolastica siano dovuti alla libertà di scelta della scuola da parte dei genitori è stato dimostrato, in particolare, da una ricerca che ha comparato le situazioni di comuni socialmente simili tra loro ma dove tale facoltà è più o meno ampia. I fenomeni di segregazione scolastica sono più marcati laddove la libertà di scelta della scuola è maggiore. Per quanto concerne l’ineguaglianza di “livelli” tra le scuole è dimostrato che tale fenomeno è correlato alla forte diffusione delle scuole private e il cambiamento d’atteggiamento delle scuole pubbliche in relazione alle nuove situazioni di concorrenza dovute al confronto con gli istituti indipendenti.

Secondo le ricerche citate dall’Aped è la libera scelta della scuola il fattore decisivo nel determinare gli scarti di livello tra istituti. Se si considerano congiuntamente la segregazione sociale e le differenze di “livello” tra le scuole non si può che attendersi una crescita delle disuguaglianze sociali delle performance degli allievi. Numerosi studi dimostrano che la libertà di scelta all’interno di un sistema scolastico accentua le differenze sociali poiché offre soprattutto ai genitori più informati una maggiore possibilità di scegliere le scuole considerate “migliori” per i propri figli.

Infine, nel 2017, un rapporto sulla situazione scolastica svedese ha dimostrato come lo scarto tra i risultati scolastici degli studenti autoctoni e alloctoni deriva soprattutto dalla diseguaglianza sociale che è, in pratica, all’origine di quella etnica.2 Ultimamente, anche l’Agenzia Scolastica Svedese ha dovuto ammettere che il meccanismo di libera scelta comporta una divisione sociale non solo degli allievi ma delle scuole e che tale meccanismo compromette i principi di eguaglianza scolastica e di parità delle opportunità.

La situazione in Finlandia

Meno grave la situazione in Finlandia, dove dalla metà degli anni novanta è stata introdotta una certa libertà di scelta delle scuole, ma senza misure come l’assegno scolastico o la costituzione di scuole private. In Finlandia, il 96% delle scuole è municipale, quindi pubblico. In realtà agli allievi è assegnata una scuola che però, dal 1999, non è necessariamente la più vicina al loro domicilio. Questo perché, per rispettare criteri di equità, i comuni a volte assegnano agli studenti una scuola vicina all’abitazione, ma non necessariamente la più vicina. I genitori hanno la possibilità di optare per una scuola diversa da quella assegnata, ma evidentemente si tratta comunque di una scuola pubblica. Inoltre, a differenza che per la Svezia tale scelta deve rispettare le dimensioni delle scuole, che non possono crescere a dismisura. Naturalmente, anche in Finlandia come altrove, l’esercizio del diritto di scegliere una scuola diversa da quella assegnata è maggiore nei grandi centri urbani rispetto alle situazioni rurali.

Inoltre, dal 1998 le scuole finlandesi possono attuare dei curricoli diversificati leggermente diversi dai programmi nazionali, dando maggiore spazio ad alcune discipline, come per esempio l’arte o la musica, le scienze, le lingue straniere, l’educazione fisica ecc. oppure attuando degli indirizzi a tema (educazione all’ambiente, arti, ecc). Per quanto riguarda la Finlandia questo è evidentemente il punto di forza della libera scelta dei genitori tanto che nei centri urbani il 30-40% degli allievi è oggi iscritto in scuole di questo tipo.

Anche se la situazione finlandese è dunque assai meno compromessa di quella svedese, fortemente liberalizzata, la libertà di scelta dei genitori ha causato comunque un certo fenomeno di segregazione sociale ed etnica e un aumento delle diseguaglianze nei risultati. Tali fenomeni sono più evidenti a Helsinki, il principale centro del paese, dove, come si è detto, la libertà di scelta è maggiormente esercitata rispetto ad altri centri, come per esempio Vantaa, città che ha posto dei limiti a tale facoltà.

Parallelamente, si è notato un calo delle performance degli studenti finlandesi nei test PISA; infatti, se nei primi anni del secolo la Finlandia era sempre al primo posto per l’equità scolare, negli ultimi è superata dalla Norvegia e dall’Islanda, e la sua posizione tende al peggioramento costante.

E in Norvegia? Qualche conclusione

La Norvegia ha introdotto una liberalizzazione molto moderata dell’insegnamento nel 2003, ma solo per quanto riguarda la scuola secondaria superiore, quindi nella fascia d’età superiore ai 16 anni. Per quanto riguarda la scuola dell’obbligo, gli alunni frequentano la scuola loro assegnata sulla base della residenza. Nel 2015, solo il 3% degli alunni della scuola primaria frequentava una scuola privata. A tutt’oggi, la Norvegia è uno dei paesi dove la provenienza sociale ha meno influenza sui risultati scolastici, condividendo questo primato con l’Islanda.

Giova anche ricordare che la Norvegia e l’Islanda, che non fanno parte dell’UE, sono tra i paesi che destinano fondi per l’istruzione più elevati degli altri paesi, a riprova del fatto che gli investimenti nell’educazione pagano3 in termini di risultati.

I dati esposti sui paesi scandinavi confermano, se ancora ce ne fosse bisogno, che la libertà da parte dei genitori di scegliere più o meno liberamente la scuola per i propri figli, misura che risponde all’idea del libero mercato scolastico, provoca segregazione sociale ed etnica e aumenta la disuguaglianza scolastica. Tra l’altro, l’idea di realizzare scuole “migliori” perché segregate socialmente “verso l’alto” non garantisce affatto risultati scolastici più brillanti, oltre a essere evidentemente un fatto sociale negativo.

L’Italia, preda ormai da anni della concezione mercatista della scuola, è un paese dove la disuguaglianza scolastica è ormai conclamata, sia tra scuole di città e regioni diverse che tra scuole all’interno della stessa città. Una diseguaglianza che è diventata sempre più evidente, in quest’ultimo caso, da quando è stata data libertà ai genitori di scegliere “liberamente” tra scuole pubbliche, oppure orientarsi verso le scuole private sciaguratamente finanziate dallo Stato con la legge di parità scolastica. Finanziamenti, tra l’altro, che diventano sempre più ingenti a fronte, invece, di una riduzione della spesa per la scuola pubblica.

I risultati negativi dei sistemi troppo decentralizzati, sono confermati anche dall’esperienza belga. Infatti, se l’Italia continua a essere circa al metà del range PISA per equità e per risultati, il Belgio, paese dove il sistema è totalmente frammentato e la libertà di scelta totale, tende sempre più a sprofondare verso risultati bassi. Il Belgio è una situazione di forte decentramento poiché oltre ad avere due grandi e distinti sistemi linguistici (vallone e fiammingo) all’interno di ciascuno di essi operano tre diverse reti di scuole: pubbliche, cattoliche e libere, vale a dire private non confessionali.

Si tratta quindi di un sistema non solo decentralizzato, ma fortemente concorrenziale nell’accaparrarsi gli studenti, anche perché se in Belgio non esiste un “assegno scolastico” le scuole sono finanziate dallo Stato in relazione agli studenti iscritti, quindi con un sistema che pur sotto altre vesti ha lo stesso contenuto. Inoltre, sicuramente, il ”patto di eccellenza” introdotto in particolare in Vallonia negli ultimi mesi, che prevede una gestione sempre più autonoma e manageriale delle scuole, non potrà che accrescere la segregazione sociale ed etnica.

C’è dunque da chiedersi se la totale autonomia e libertà di scelta dei genitori che sono uno dei pilastri del progetto liberista sulla scuola, portato avanti anche in Italia dalla fine degli anni novanta, non abbiano in realtà effetti negativi sul sistema scolastico.

1 L’école démocratique n. 77, marzo 2019, p. 11-18. Una sintesi del dossier è disponibile in francese al link: http://www.skolo.org/2019/03/29/suede-finlande-quand-les-modeles-educatifs-sembourbent-dans-le-marche-scolaire/ dove è anche possibile reperire la bibliografia delle ricerche su cui si fonda questo articolo.

2 Questi due ultimi dati confermano peraltro quanto avevo già osservato rispetto alla situazione italiana in un mio precedente articolo su Contropiano: https://contropiano.org/interventi/2019/01/09/segregazione-sociale-ed-etnica-nella-scuola-bacini-dutenza-e-biennio-superiore-unico-0111282

3 Consultando i dati degli ultimi anni, risulta che l’Islanda ha investito nell’istruzione mediamente il 7,5% del PIL e la Norvegia circa il 6,7%. L’Italia solo il 3,9%, con una parabola discendente costante. La media dei paesi UE si aggira invece sul 4,5%.

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