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Una storia di donne nell’Africa precoloniale

E’ recentemente uscito, presso Marcos y Marcos il terzo romanzo, ma primo tradotto in italiano, della scrittrice ghanese Ayesha Harruna Attah (I cento pozzi di Salaga, traduzione di Monica Pareschi, pag. 300, €18). Harruna Atta è considerata una delle più interessanti voci nuove della letteratura africana e questo romanzo, di lettura avvincente e scorrevole, conferma tale giudizio.

La narrazione si svolge attraverso le storie parallele, nell’Africa di fine ottocento, di due donne assai diverse per carattere e classe sociale. La prima, Aminah, è una giovane che cucina per i carovanieri che passano dal suo villaggio sognando di cucire scarpe come suo padre e di viaggiare per venderle, la seconda, Wurche, è invece la figlia di un re che spera di governare insieme al padre e ai fratelli per risolvere i conflitti interni e contrastare i traffici degli europei che si affacciano nel continente africano.

Le storie delle due donne s’incontrano solo nei capitoli finali, quando Aminah, in seguito a una complicata vicenda, diviene la schiava fidata di Wurche. Il romanzo intreccia alcune vicende realmente accadute, raccolte dall’autrice attraverso una sua bisnonna, con altre parti assolutamente fittizie.

Diversi sono i pregi, non solo letterari, ma anche storici, di questo romanzo. Infatti, per quanto riguarda la sua componente “storica”, l’autrice ci ricorda che lo schiavismo, in Africa, non fu solo portato dalle imprese dei colonialisti europei, ma esisteva già prima, tra le stesse popolazioni africane. Anzi, leggendo il romanzo si può ben comprendere come le situazioni di conflitto tra i diversi popoli africani, che comportavano anche la riduzione in schiavitù, abbiano favorito i piani delle potenze coloniali, che trassero vantaggio proprio da tali conflitti, attraverso la corruzione e la compromissione dei monarchi locali.

La vicenda narrata si svolge proprio in quel delicato periodo di fine ottocento in cui le potenze coloniali cominciavano a insinuarsi nelle lotte tra i popoli africani, offrendo sostegno agli uni e agli altri, con l’evidente intento di asservire al loro dominio i grandi regni del continente, sino ad allora liberi. Harruna Atta ha visitato il nord del Ghana e la città di Salaga, un tempo ricca e famosa per i suoi pozzi, dove era uno dei mercati di schiavi più importanti dell’Africa, studiando testi e cronache della guerra civile che favorì la sottomissione del paese agli europei. Pagine di storia che sono purtroppo poco conosciute, ma che hanno una grande importanza nella comprensione del fenomeno coloniale e della storia africana.

In tale contesto storico si svolgono le vite delle due donne protagoniste. Aminah, che in seguito all’attacco e alla devastazione del suo villaggio è ridotta in schiavitù, vivendone tutti gli aspetti più tristi e umilianti per una giovane donna venduta a un padrone, conserva la sua dignità e non smette mai di desiderare la libertà, che troverà solo alla fine del romanzo, attraverso l’amicizia di Wurche.

Quest’ultima, anche se in forme diverse, è anch’essa venduta, poiché mentre sogna di esercitare un ruolo di governo per far cessare le guerre tra gli africani viene, anche lei, “ceduta” a un marito, in uno sciagurato tentativo diplomatico in forma di matrimonio combinato. Due storie che, nella loro diversità rappresentano tuttavia entrambe il desiderio di emancipazione dalla società patriarcale in cui sono nate.

Emancipazione che troveranno, anche se in forme diverse. Wurche con il tentativo di riunire, attraverso le donne e gli anziani, il suo popolo contro i colonialisti, quando invece lasciamo Aminah mentre attraversa, ormai affrancata, le strade di Salaga distrutte dai tedeschi, con il timore di poter essere ancora trattata come un capo di bestiame o un sacco di noci di cola, ma con le sue speranze e i suoi sogni intatti che probabilmente troveranno realizzazione.

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