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Donne curde, patriarcato e Resistenza

Si è tenuto sabato, a Roma, un convegno dal titolo “Praticare la libertà contro la guerra senza fine del sistema patriarcale: donne curde in Irak, Siria, Europa” organizzato da Giuriste Democratiche, l’associazione Senza Confine, l’Ufficio d’Informazione per il Kurdistan in Italia, la Fondazione Internazionale delle Donne Libere e il Movimento delle Donne Curde.

Filo conduttore degli interventi che si sono succeduti è stato il concetto di “femminicidio”, ben spiegato dall’avvocata Barbara Spinelli come uccisione non solo fisica della donna ma anche in quanto annullamento di essa nel godimento dei suoi diritti fondamentali, nel momento in cui rifiuta di ricoprire il ruolo che le viene imposto da una società patriarcale.

Le donne curde conoscono molto bene il femminicidio perché lo hanno subito e lo subiscono. E’ stato ovviamente ricordato uno degli ultimi atti compiuti nei confronti delle donne curde impegnate nel movimento di resistenza: il brutale assassinio di Sakine Cansiz, Fidan Dogan e Leyla Soylemez, avvenuto a Parigi il 9 gennaio del 2013; un assassinio politico che tutt’oggi non conosce ufficialmente i nomi dei mandanti. Soprattutto, il femminicidio lo combattono.  Anche imbracciare un’arma e difendere con essa il proprio popolo è un modo per sottrarsi ad un ruolo che il sistema sociale vorrebbe fosse relegato esclusivamente ad un ambito familiare.

Sebbene infatti i media mainstream si siano accorti solo negli ultimi mesi, e a seguito degli attacchi dello Stato Islamico in Iraq agli inizi dello scorso giugno, che nel movimento di resistenza curdo le donne svolgono un ruolo attivo organizzandosi come forze combattenti (è questo il caso delle YPJ – Unità di Difesa delle Donne impegnate sul fronte del Rojava), gli interventi delle relatrici curde hanno ricordato che le donne sono attive nella resistenza fin dal suo nascere, chiedendo pertanto che esse non vengano rappresentate con toni folkloristici da riviste patinate, in  quanto la loro militanza rientra in una cornice ideologica ben definita che è quella del PKK.

A tracciare la storia del PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan che, dagli anni ’70 ad oggi, ha attraversato quella della sinistra mondiale, è stata Havin Güneşer dell’Iniziativa per la Libertà di Abdullah Ocalan. Nel suo intervento, Güneşer ha mostrato come una dimensione al femminile della resistenza del popolo curdo sia presente fin dalla fondazione del partito nel 1978 e sia mutata nel corso degli anni fino a maturare spazi autonomi di organizzazione rispetto alla resistenza combattuta dagli uomini. Ma il ruolo della donna nel movimento curdo non è soltanto relegato alla lotta armata; le donne curde sono impegnate in prima persona in un percorso di emancipazione che dallo stesso Abdullah Ocalan è considerato uno degli elementi fondamentali nella costruzione di una nuova forma di società, definita “Confederalismo Democratico”. Come spiegato anche da Dilar Dirik , una giovane ricercatrice dell’Università di Cambridge, si tratta di una forma di democrazia dal basso, dove la gestione del potere e dell’organizzazione dei vari settori della società è, per principio, condivisa fra uomini e donne.

La teoria del “Confederalismo Democratico”, sviluppata negli ultimi anni da Ocalan, che nonostante la prigionia nel carcere di Imrali, nel mar di Marmara, continua ad essere il massimo ideologo del movimento curdo, ha trovato una sua attuazione nel Rojava, la regione del Kurdistan siriano, dove la resistenza curda ha deciso di praticare una via autonoma sia rispetto al governo di Assad sia rispetto all’opposizione dell’Esercito Siriano Libero. A gennaio del 2013 sono stati costituiti tre cantoni, Cizre, Kobane e Efrin la cui nascita ha rappresentato una vera e propria rivoluzione in quel territorio. Non si tratta soltanto di una ridefinizione dei rapporti tra uomo e donna, gestiti secondo un principio di parità assoluta ma di un’amministrazione territoriale che sia condivisa da ogni abitante. Per la prima volta da quando l’Occidente, dopo la prima guerra mondiale, ha arbitrariamente istituito in Medio Oriente degli Stati Nazione che hanno funzionato come sistemi di oppressione delle minoranze e non solo, i cantoni del Rojava vengono amministrati da curdi ma anche da arabi, assiri e siriaci e tre sono le lingue ufficiali: il curdo, l’arabo e il siriaco.

Sull’organizzazione del Rojava è intervenuta la rappresentante dei cantoni del Rojava , Sinam Mohammed, la quale non ha potuto non parlare della pesante situazione di Kobane, da quasi un mese sotto attacco dello Stato Islamico e che resiste solo grazie all’eroico coraggio delle partigiane dello YPJ (Unità di Difesa delle Donne) e dei partigiani dello YPG (Unità di Difesa del Popolo).

Infatti, come sottolineato anche da Dilar Dirik, l’IS agisce su due fronti. Da una parte sta conducendo una guerra sistematica contro le donne, che vengono stuprate, rapite e vendute. Sinam Mohammed ha raccontato che nella città siriana di Al Raqqah, controllata dallo Stato Islamico,  sono state imposte leggi che impediscono alle donne di guidare o di camminare sole per strada e, ovviamente, impongono loro di coprire totalmente il corpo; sono stati anche legalizzati i “matrimoni  della jihad”, con donne portate dalla Tunisia, dall’Egitto o dall’Arabia Saudita per essere strumento d’intrattenimento sessuale per i comandanti delle brigate islamiche. E dunque, come sostenuto da Sinam Mohammed, nel Rojava “combattono per tutte le donne del mondo e tutti lo devono sapere”.

L’altro fronte su cui è impegnato lo Stato Islamico è la lotta al movimento curdo e alla rivoluzione del Rojava, in questo strumento degli Stati Uniti e dell’Unione Europea che, sebbene abbiano finanziato l’opposizione dell’ESL, non hanno mai fatto altrettanto con le forze dello YPJ e dello YPG legate al PKK, per non parlare poi della Turchia che non ha alcun interesse a contrastare chi combatte contro il suo più acerrimo nemico, il PKK.

A conclusione del convegno, è stata data la parola a Haskar Kirmizigul, rappresentante della Fondazione delle Donne Libere, la quale ha ribadito la richiesta di una solidarietà internazionale nei confronti della resistenza di Kobane. In Italia nei giorni scorsi si sono svolte manifestazioni in varie città. Altre iniziative si svolgeranno nei prossimi giorni fino al primo novembre, data scelta dal KNK (Congresso  Nazionale del Kurdistan) per una giornata di mobilitazione in tutta l’Unione Europea. 

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