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Un Maxibon sotto “La Pergola”

Dopo l’algoritmo pazzo – sancito dal decreto Franceschini-Nastasi, durante il Governo Renzi – al Teatro italiano tocca in sorte il Maxi Bon pupazzo, durante il dicastero Conte bis.

Insomma l’ennesimo, indigesto papocchio, ai tempi delle stelle di latta e delle sardine democratiche.

La nomina del poco più che mediocre attore Stefano Accorsi, alla direzione artistica del Teatro La Pergola di Firenze – uno dei più antichi teatri all’italiana, con i suoi 364 anni: fu costruito nel 1656 – rappresenta, infatti, l’ennesimo ceffone in pieno viso, assestato alla cultura di questo paese. Un paese, oramai, francamente ridicolo.

Ridicolo, nella sua sempre più romanica e stucchevole postura oleografica.

Ridicolo, nei suoi linguaggi arcadici e artificiosi.

Ridicolo, nella sua ridondante ignoranza, spacciata per semplicità nazionale e popolare.

Ridicolo, nella sua individualistica saccenteria, che lascia presumere a ciascuno di poter essere un intellettuale, un politico, un artista, un filosofo, un poeta, un attore, un letterato. Persino un ingegnere o un medico. Per investitura social e non per il “percorso di formazione”.

Ridicolo nella sua bachechica autoreferenzialità.

Ridicolo, nella sua orgasmica compulsività televisiva.

Ma soprattutto, ridicolo nel suo crogiolarsi su allori di passate glorie letterarie, teatrali, cinematografiche e artistiche. Persino storiche!

Glorie autentiche soppiantate da logiche mercantili che qui, più che altrove, hanno desertificato un patrimonio di saperi e intelligenze, per far posto a indecenti lacchè del potere politico ed economico.

Il tutto, al solo scopo di tramutare – come un Organismo Geneticamente Modificato nell’epoca della cosiddetta economia della conoscenza e dell’immateriale la cultura in gastronomia da fast food. O peggio, da junk food.

Una cultura da divorare come le nostre vite. Maciullate e masticate dallo scorrere rapido e ansiogeno del Tempo veloce.

In questo paese sempre più reazionario e razzista, misogino e maschilista, incolto e volgare, venduto e straccione, dove il belletto liberal, sparso a piene mani da una “sinistra” capace di essere antagonista solo a sé stessa (alla propria Storia e valori), ha disinnescato ogni pur minimo vagito di pensiero critico, Accorsi si staglia sullo sfondo come una delle più struggenti e luminescenti icone, appartenenti a quella stirpe di “artisti” geneticamente modificati, di cui si diceva più sopra.

Con la sua non eccezionale consistenza attoriale, la sua non nota vigoria intellettuale, la sua dissolvenza visiva, la sua funzionalità al sistema spettacolare, Accorsi è l’Italia di oggi.

Pacificata e innocua. Grottesca e contenta della sua pochezza. Attraente come un lido a ferragosto. Ma anche arrogante nella sua stoltezza piccolo-borghese.

Un algida immagine sgranata su uno schermo riempito di vuoto.

La sua nomina all’antichissimo teatro fiorentino, dunque, altro non è altro che un gelato divorato sotto una Pergola. Nella pausa frettolosa di un giro turistico.

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