“Ho detto ai miei figli che non devono, in nessuna circostanza, partecipare a un massacro, e che le notizie di massacri compiuti tra i nemici non devono riempirli di soddisfazione o di gioia”, scriveva Kurt Vonnegut in una delle prime pagine del suo Mattatoio 5.
Men che mai, quando a esser massacrata è la popolazione civile di un paese, per la volontà di impartire lezioni a un terzo paese. Vonnegut ci era stato davvero a Dresda ed era uscito vivo dal macello perché, durante i bombardamenti anglo-americani dal 13 al 15 febbraio 1945, era rinchiuso, insieme agli altri prigionieri yankee, proprio dentro un macello – il mattatoio n.5 di Dresda – appunto, abbastanza fuori mano rispetto al centro della città, incenerito dalle bombe incendiarie.
Un massacro difficilmente classificabile come dettato da “esigenze di guerra”, quando la Germania era pressoché disfatta, ma che doveva servire ad avvisare l’Esercito Rosso, ormai quasi sull’Elba, che Londra e Washington dovevano avere la propria parte di vittoria, nonostante avessero messo piede sul suolo europeo da poco più di sei mesi.
Come dicevano i soldati sovietici: “l’ultimo che entra nella lotta, è quello che si porta via la parte più grossa del bottino”. A scanso di equivoci, USA e Gran Bretagna volevano ribadire quella massima, al prezzo di trentamila morti, in larghissima maggioranza civili. Nei decenni postbellici si era arrivati a parlare anche di 120.000 vittime; Vonnegut parlava di 135.000. Poi, non estranee “esigenze politiche”, le cifre sono state via via ridimensionate. I neonazisti di AfD e NPD arrivano oggi a parlare di 275.000 e anche 500.000 morti. Un po’ come per le foibe qui da noi…
La storia è nota. Era il martedì di carnevale, quel 13 febbraio di settantacinque anni fa; le strade erano piene di bambini mascherati; la città, considerata relativamente sicura, priva di fabbriche d’armamenti (anche se alcune riconvertite), non considerata un serio obiettivo militare, era stracolma di profughi; d’altronde, in tutta la guerra, gli alleati l’avevano colpita solo due volte – il 7 ottobre 1944 e il 16 gennaio 1945 – e solo come obiettivo di riserva, una volta mancato quello principale. Circolavano voci che, a guerra finita, Dresda potesse diventare la nuova capitale tedesca.
Secondo la metodica inglese dei “bombardamenti di area”, la prima ondata di aerei sganciò bombe dirompenti; fu poi la volta delle bombe incendiarie; quindi, di nuovo bombe ad alto potenziale, per impedire il lavoro ai vigili del fuoco e alle ambulanze.
La prima ondata di “Lancaster” britannici bombardò alle 22; ma il colpo principale sarebbe arrivato tra l’1 e le 2 della notte tra il 13 e il 14 febbraio, con 515 bombardieri inglesi. Solo nella prima notte, furono sganciate 1.500 tonnellate di bombe ad alto potenziale e 1.200 tonnellate di bombe incendiarie. Al mattino, seguirono 311 “B-17” americani, che sganciarono 500 tonnellate di bombe esplosive e 300 tonnellate di incendiarie, mentre i “Mustang”, di scorta ai bombardieri, presero a mitragliare coloro che scappavano dalla città. Il 15 febbraio, ancora 465 tonnellate di bombe USA.
L’area di Dresda completamente rasa al suolo superava di quattro volte l’area completamente distrutta di Nagasaki. Oltre 12.000 edifici del centro storico, uno dei barocchi più belli del mondo, furono completamente distrutti.
Su Dresda gli anglo-americani realizzarono il cosiddetto “tornado di fuoco”, che si verifica allorché più focolai si combinano in un gigantesco falò. L’aria al di sopra si riscalda, la sua densità diminuisce e la fa salire; il tornado che si verifica al suolo, con temperature di 1.500 gradi, trascina tutto e tutti al centro dell’incendio. Le vittime, nelle strade, si liquefacevano insieme all’asfalto. Moltissimi furono anche i morti coi polmoni bruciati per il calore. Le fiamme si vedevano a 200 km di distanza.
Londra e Washington motivarono il bombardamento di Dresda col fatto che fosse un importante nodo ferroviario, anche se a Jalta (tra l’altro, la conferenza si era conclusa due giorni prima e non pochi storici osservano che il bombardamento costituisse la risposta “alleata” a Stalin) si era parlato di colpire i collegamenti di Berlino e Lipsia, ma non di Dresda.
In effetti, Dresda era il terzo snodo ferroviario più grande del Reich, da cui passavano le linee per Berlino, Praga, Breslavia, Varsavia, Lipsia e Norimberga. Però obiettivi strategici come l’aeroporto, le fabbriche e le caserme a nord della città, non furono affatto colpiti come il centro storico.
I bersagli indicati agli aviatori – e riportati negli archivi della RAF – indicavano proprio il centro storico di Dresda. Il rapporto letto ai piloti britannici prima del decollo parlava chiaro: “Dresda è la settima città più grande della Germania … nota per la sua produzione di porcellana, si è trasformata in un grande centro industriale … scopo dell’attacco è colpire il nemico dove si sente più forte, alle spalle del fronte parzialmente crollato … e allo stesso tempo mostrare ai russi, quando arriveranno in città, di cosa sia capace il Bomber Command della RAF”.
In seguito, lo stesso Winston Churchill parlò di “puro atto di terrore“; la distruzione di Dresda apre “seri interrogativi sulla politica di bombardamento alleata. Penso che sia necessario concentrarci maggiormente sugli obiettivi militari”, invece di “puri atti di terrore e distruzione intenzionale“.
Tali parole, scriveva ieri Stern, sollevano il sospetto che non si mirasse a distruggere obiettivi militari, ma a terrorizzare la popolazione. Gli storici stanno tutt’oggi discutendo se il raid su Dresda costituisca un crimine di guerra.
Certo che, quanto a bombardamenti terroristici, la Germania poteva ben “vantare” imprese di distruzione completa, come Guernica, durante la guerra civile in Spagna, e poi Coventry, Varsavia, Londra, Mosca, Stalingrado; nei quasi 900 giorni di assedio della sola Leningrado, da parte delle truppe tedesche, italiane e finlandesi, erano morte tante persone quante quelle di Dresda, Amburgo, Tokyo, Hiroshima e Nagasaki prese insieme. Quindi, di cosa si parla?
Neues Deutschland osservava nei giorni scorsi che il 13 febbraio, a Dresda, si rinnovano le commemorazioni per il 75° anniversario del bombardamento. Le “autorità cittadine e il governo del Land di Sassonia, con una catena umana e cerimonie di ‘commemorazione silenziosa’, ricordano le vittime della Seconda guerra mondiale, in generale, e la distruzione della città sull’Elba, in particolare. Ogni volta, la data attira anche ‘fossili del passato’ e neonazisti che, insieme agli storici reazionari, parlano di ‘olocausto di bombe’, schernendo così le vittime dello sterminio degli ebrei da parte dei nazisti. Essi ignorano deliberatamente gli antefatti: i milioni di vittime e inconcepibili sofferenze portate dalla Germania hitleriana in Europa”.
E, però, non si può ignorare anche un altro aspetto.
Nel febbraio del ’45, ricordava ieri topwar.ru, l’obiettivo di sconfiggere la Germania era praticamente già realizzato e gli alleati guardavano piuttosto ai rapporti postbellici con Mosca. “Prima della guerra, l’URSS era un ‘paese emarginato’: non era stata invitata a Monaco, allorché fu decisa la sorte della Cecoslovacchia e, di fatto, dell’intera Europa; non era stata invitata alle conferenze di Londra e Washington. L’Italia era riconosciuta grande potenza; l’URSS no”.
Ma nel 1945 pochi dubitavano “della potenza dell’Unione Sovietica. E sebbene l’URSS non disponesse di una forte flotta o di un’aviazione strategica, nessuno dubitava delle capacità offensive delle sue armate corazzate, che avrebbero potuto raggiungere La Manica senza esser fermate”.
Infatti già a inizio febbraio, il saliente nord dell’offensiva sovietica era attestato a meno di 50 km da Berlino e il 6 febbraio l’Armata Rossa passava l’Oder; anche se, più a sud, il fronte era a oltre cento km da Dresda. Il 13 febbraio veniva liberata Budapest. Ma, a ovest, gli anglo-americani erano ancora a un centinaio di km da Bonn e da Düsseldorf e a una settantina di km da Colonia: in pratica, erano bloccati sulla “Linea Sigfrido”; per loro, Berlino era ancora lontana. Bisognava far qualcosa per cercare di “riequlibrare” i rapporti di forza con gli “alleati” sovietici. E fu Dresda.
La guerra fredda non era cominciata nel 1946 a Fulton; non era iniziata nemmeno nel 1941, allorché, ad esempio, il re Gustav V Adolf di Svezia – paese “neutrale”, che per tutta la guerra rifornì la Germania dei pregiatissimi minerali ferrosi svedesi e degli speciali cuscinetti a sfera della SKF! – augurava al “caro Cancelliere del Reich ulteriori successi nella lotta contro il bolscevismo“.
Era cominciata subito dopo la disfatta, nel 1920, dei 14 paesi che avevano tentato di soffocare la giovane Russia sovietica; e non era mai cessata.
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Manlio Padovan
Vi chiedo cortesemente di chiarire chi erano ” i 14 paesi che nel 1920 tentarono di soffocare la giovane Russia sovietica”.
Grazie.