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Come lacrime nella pioggia…

Vi ricordate Blade Runner, quel bellissimo film di fantascienza del 1982, diretto da Ridley Scott e ambientato nel 2019 a Los Angeles, dove replicanti dalle stesse sembianze dell’uomo vengono fabbricati e utilizzati come forza lavoro nelle colonie extra-terrestri?

Nel film, la tecnologia aveva permesso la creazione di esseri sintetici del tutto simili agli umani, detti “replicanti”, utilizzati come schiavi, dotati di capacità intellettuali e forza fisica estremamente superiori agli uomini, ma con una longevità limitata a 4 anni.

I replicanti che si davano alla fuga o tornavano illegalmente sulla Terra venivano cacciati e “ritirati dal servizio”, cioè eliminati fisicamente, da agenti speciali chiamati “blade runner”.

La trama ruotava attorno a un gruppo di androidi evasi e nascostisi a Los Angeles, e al poliziotto Rick Deckard, ormai fuori servizio, ma che accetta un’ultima missione per dare loro la caccia.

E questo futuro anti-utopico rappresentato nel film, non vi ricorda un po’ il nostro presente, questa nostra Italia del 2020 così “stranamente umana”, dove si stendono indolenti lenzuola arcobaleno ad asciugare al sole, mentre nell’ombra, agenti speciali con mandato dello Stato si muovono a caccia di replicanti da ritirare o rispedire ai bagni penali?

Forse il paragone è un po’ forzato, ma del resto, in questo tempo distopico e dispotico, anche il lavoro in fabbriche per nulla essenziali alla sopravvivenza lo è, e non poco.

È indesiderato e spaventoso, infatti, come dietro una retorica positiva che recita “andrà tutto bene” si stia realizzando progressivamente un’utopia negativa, in cui condizioni opprimenti e pericolose stanno raggiungendo la loro massima espressione nel ricatto sempre più diffuso “o salute o lavoro”.

Chi saranno dunque i prossimi “umani alla pari” da eliminare, o da trattare come macchine a scadenza nelle colonie infra-terrestri del nostro sistema?

E quante cose dovranno vedere questi “replicanti”, prima di andarsene “perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia”?

È questa la normalità che invochiamo, il futuro o il passato verso cui vogliamo andare o tornare?

Una società fittizia nella quale tendenze politiche e sociali già esistenti sono portate a estremi altamente negativi e mortiferi?

È tempo di morire” – dice alla fine del film Roy Batty, dopo aver salvato la vita a Deckard, rimasto aggrappato a una trave, sospeso nel vuoto. Come dimenticare quella scena…

Non è tempo di morire” – dobbiamo dirci oggi per reagire al pericolo imminente di una società del tutto disumana, fatta di macchine a scadenza programmata.

Non è tempo di morire ma di perseguire un sogno, quell’utopia realizzabile e positiva che mette la vita davanti al profitto, la salute prima del lavoro.

E tempo di un “ordine nuovo”, del tutto umano, un futuro popolato da persone in carne e ossa da proteggere e tutelare, e non di replicanti da demolire dopo l’uso.

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