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Idir, cantante della Kabylie e dei migranti

Due giorni fa ci ha lasciato Idir, cantante algerino kabyle, una voce che spero potremo immaginare ancora congiungere idealmente le sponde del Mediterraneo, ricordando che la sua vita si è svolta tra il suo paese d’origine e la Francia dove è morto.

Questo perché Idir veniva dalla Haute Kabylie, aspra regione montagnosa dell’Algeria a cui è sempre rimasto legato ed era un migrante che cantava di quella terra e dei tanti suoi figli residenti in Francia,

Nato nel 1949 proprio nella Haute Kabylie, Idir era nipote e figlio di due poetesse di tradizione orale, una letteratura che si riflette spesso nelle sue canzoni.

Giovane pastore costretto a sfollare verso la capitale negli anni sessanta a causa della guerra civile, Idir si trova presto libero dal colonialismo francese, ma parte di una minoranza, quella kabyle, la cui identità non è considerata dal nuovo governo algerino che, per reazione alla dominazione coloniale, impone una forte identità araba al paese.

Idir quell’identità kabyle se la porterà dentro per sempre, come tanti altri suoi fratelli, che a causa della povertà e delle condizioni della loro terra d’origine, sono spesso costretti all’emigrazione.

Idir sembra destinato a un futuro legato alla biologia, in cui consegue anche un dottorato, ma come a volte avviene nella musica, un caso cambia il suo destino. Invitato in una radio, nel 1973, a sostituire un cantante ammalato, presenta la sua A vava inouva (Il mio piccolo padre) che diventa un successo importante. Da quel momento, Idir si stabilisce a Parigi dove incide diversi album per la casa Pathé Marconi-EMI.

Il suo successo corre di pari passo con l’impegno politico a favore dei diritti dell’uomo e della democrazia in Algeria. Partecipa alla fondazione di Radio Beur, emittente dei maghrebini residenti in Francia e diventa uno dei cantanti più amati dell’emigrazione e portavoce delle lotta del suo popolo.

Negli anni novanta, comincia a collaborare con le nuove leve musicali algerine, con i Cheb, i giovani che cantano la vita e il disagio di una generazione urbana che si ribella alla povertà, a una vita senza lavoro, ai matrimoni combinati e che trova nel raï la sua colonna sonora. E anche con le cosiddette seconde o terze generazioni dei migranti in Francia.

Da qui i suoi incontri con Khaled, cantante più noto del raï, con Zebda, gruppo tolosano di giovani beur e, su un altro versante, con l’Orchestre Nationale de Barbès e infine con Manu Chao.

La sua capacità d’interpretare non solo le nuove correnti e i nuovi generi musicali, ma anche ciò che esse rappresentano dal punto di vista politico e sociale lo hanno reso, al di là di ogni barriera generazionale, beniamino anche del pubblico più giovane.

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