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Addio a Juan Marsé, scrittore della Barcellona popolare nel dopoguerra civile

Lo scrittore catalano Juan Marsé, nato a Barcellona nel 1933 e grande narratore della sua città, è morto sabato 18 luglio a 87 anni. La triste notizia della sua scomparsa è stata data domenica dall’agenzia letteraria Balcells su Twitter: “Siamo addolorati per la morte di Juan Marsé. Possa tu riposare in pace, caro Juan”.

Autore di 15 libri, nel 2008 l’autore catalano è stato insignito del Premio Cervantes, il più ambito riconoscimento letterario in Spagna, per il suo racconto passionale e popolare della città di Barcellona, teatro dell’infanzia sotto il regime franchista.

Orfano di madre, il piccolo Juan Faneca Roca fu adottato dalla coppia Marsé, da cui ha preso il cognome. Dopo la guerra civile spagnola, vinta nel 1939 dalle truppe nazionaliste di Franco, il padre adottivo andò in prigione perché comunista e repubblicano.

La necessità di portare a casa un salario mi ha liberato da una scuola noiosa dove mi hanno insegnato solo a cantare la Cara al sol [l’inno dell’estrema destra e del regime di Franco] e a recitare il rosario”, ha raccontato lo stesso Juan Marsé.

Fu durante il servizio militare nell’enclave spagnola di Ceuta in Marocco che decise di scrivere il suo primo romanzo, “Encerrados con un solo juguete”, pubblicato nel 1961, che racconta la storia e la situazione convulsa di alcuni giovani nel dopoguerra civile di fronte alla decadenza morale e alla paura del regime di Franco.

Dopo un breve soggiorno a Parigi, dove lavora come insegnante e traduttore di spagnolo e assistente di laboratorio all’Istituto Pasteur, torna a Barcellona nel 1962 iniziando a scrivere romanzi e sceneggiature, collaborando anche per diverse riviste.

Nel corso degli anni, Juan Marsé è stato in grado di stupire il mondo letterario spagnolo perché “quasi tutti gli scrittori, almeno a Barcellona, provenivano dalla borghesia”, come lui stesso ha osservato. Nei suoi romanzi, non ha mai smesso di ricostruire il contesto dei quartieri operari e popolari di Barcellona che hanno caratterizzato la sua infanzia.

Come ad esempio quello de El Carmel, dove trovavano rifugio, spesso in baracche di fortuna, i cosiddetti charnegos, lavoratori migranti che provenivano dall’Andalusia, dall’Estremadura, dalla Galizia e che hanno contribuito alla crescita economia della Catalogna negli anni ’60 e ‘70.

É stato uno dei romanzieri della generación de los 50, un gruppo di scrittori divenuti noti in Spagna per le loro pubblicazioni negli anni seguenti la Guerra Civile, tanto da essere anche appellati come “hijos de la Guerra Civil”, avendo vissuto sulla loro pelle gli strascichi di questa guerra e il periodo della dittatura franchista, alla quale si oppongono con fermezza.

Nella sua letteratura, definita come “un regolamento di conti con la vita, che è raramente come lo si sperava”, ha saputo descrivere e rivivere la Barcellona popolare e repressa sotto la dittatura franchista. In particolare, nel suo romanzo pubblicato nel 1966 “Últimas tardes con Teresa”, che racconta la storia di passione e trasgressione tra una giovane e borghese studentessa universitaria e povero ladro di motociclette dall’animo ribelle e rivoluzionario.

Un’opera intollerabile per la Spagna cattolica e nazionalista di Francisco Franco e che per questo decise di censurala: “Il romanzo presenta varie scene scabrose, il suo sfondo è francamente immorale e fa numerosi riferimenti politici di sinistra”.

Nel 1973 pubblica in Messico il romanzo “Si te dicen que caí” nel quale viene raccontato il contesto e la realtà sociale della storia della resistenza anti-franchista a Barcellona dal 1945 in poi. Un’opera definita “un manifesto per la libertà di espressione”, secondo lo scrittore Antonio Muñoz Molina, pubblicata in Spagna soltanto dopo la morte di Franco nel 1975.

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