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Lamento per Eddie Van Halen

Eddie, mi ricordo quando finalmente riuscisti a convincere David Lee Roth ad ascoltare meglio quel riff, che non era della tua chitarra stellare, ma con le tastiere.

Tastiere in un pezzo heavy? Sacrilegio! Quanto eravamo stupidi all’epoca, Eddie.

Dopo un paio d’anni di scazzi, David si convinse a metterci sopra un testo sfrontato, che gli era venuto in mente sentendo la notizia di uno che voleva suicidarsi buttandosi da un piano alto, e di un altro che l’aveva salvato dicendogli “Capisco i guai che hai avuto, ma guarda me, c’è di peggio fratello, non ne vale la pena, ma se proprio credi, allora, ca**o, SALTA!, puoi saltare se vuoi, ma anche no”.

Era il 1983, parlare di istigazione ironica al suicidio non si poteva – in un pezzo – così il testo uscì fuori un po’ meno diretto, un incitamento alla vita, a saltare a piè pari gli ostacoli che ti sembrano insormontabili.

Giraste il video come un fake live su sfondo nero, con David biondo tamarrone che faceva dei salti bestiali, e tu, che ridacchiavi: non ve lo aspettavate, vero, cari fans metallari? Tastiere!

Ma verso la fine, in quindici secondi, mettesti un solo di chitarra che non ha mai avuto uguali, quindici secondi supersonici che valevano un intero pezzo: your finest moment.

Jump volò al primo posto in USA, moltissimi si indignarono per la “svolta melodica e pop dei Van Halen”, poi pian piano capirono che avevi immensamente aperto una porta, anzi un portone, e i synth iniziarono a spuntare come funghi nei pezzi heavy e metal.

Jump è un pezzo che ha significato molto, per molti. Ma tutto il tuo lavoro, prima e dopo, è stata l’università della chitarra per generazioni di chitarristi, avvicinarsi a Eddie, al suo stile, a certi giri supersonici, era come laurearsi.

Un virtuoso come Paganini, un innovatore come Jimi Hendrix, ma anche un ragazzo schivo che, pur essendo the best in town, non l’ha mai pretesa a semidio.

You will be missed a lot. Ti vogliamo bene.

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