Il libro di Alberto Gabriele si focalizza soprattutto su due pilastri del successo economico della Cina: le imprese e il sistema nazionale di innovazione. L’analisi dell’autore è basata su un esame dettagliato di fonti statistiche macroeconomiche nazionali e internazionali, tra cui le edizioni annuali del China Statistical Yearbook e i rapporti della Banca Mondiale, del Fondo Monetario Internazionale e di varie agenzie delle Nazioni Unite.
La prima parte illustra l’evoluzione di diverse categorie di imprese produttive rurali e urbane, con particolare attenzione per i rilevanti cambiamenti verificatisi nei rispettivi assetti proprietari e istituzionali.
La seconda parte analizza l’impetuosa crescita e trasformazione delle università e dei centri di ricerca e lo spostamento progressivo di gran parte delle attività di ricerca e sviluppo verso le imprese industriali, e quindi in una posizione più vicina alla produzione e al mercato.
L’autore propone due chiavi interpretative fondamentali. La prima è costituita dal ruolo persistente e cruciale della proprietà pubblica dei principali mezzi di produzione, pur nel quadro di un rapido sviluppo del mercato dove coesistono diversi tipi di proprietà e quindi diversi modi di produzione, in un contesto di piano e di regolazione in cui il governo ha gradualmente abbandonato i vecchi strumenti di comando amministrativo e fa sempre più affidamento su strumenti indiretti di controllo.
La seconda è rappresentata dalla crescente priorità strategica accordata al progresso tecnologico e al superamento della dipendenza dai paesi capitalistici avanzati, che ha condotto la Cina a dedicare risorse sempre maggiori allo sviluppo della capacità nazionale di innovazione.
Nell’ambito di questo immane sforzo della società cinese nel suo complesso, la massa critica quantitativa è apportata soprattutto dalle grandi imprese private e a partecipazione statale, ma la ricerca di base – che, nel lungo periodo, costituisce il fondamento qualitativo dello sviluppo tecnologico autonomo – è condotta essenzialmente nelle università e nei centri di ricerca pubblici.
Gabriele introduce il concetto di “impresa non capitalistica orientata al mercato”, che si applica a tutte le aziende produttive che non possono essere considerate pienamente capitalistiche in base alla struttura dei diritti di proprietà.
In Cina, queste imprese comprendono le imprese statali e le cooperative, ma anche molte altre aziende, tra cui le imprese indirettamente controllate dallo Stato e le stesse unità produttive agricole a base familiare.
Contrariamente a quanto ritengono molti osservatori occidentali, che vedono la Cina come ormai dominata dal capitalismo (sia pure definito, utilizzando erroneamente una categoria fumosa e comunque adatta tutt’al più a descrivere fenomeni completamente diversi, come “capitalismo di stato”), le imprese non capitalistiche orientate al mercato producono una parte maggioritaria del prodotto nazionale cinese.
Il ruolo preponderante di questa gamma variegata di unità produttive deve essere valutato insieme con quello della ampia gamma di strumenti di pianificazione e di regolazione, che includono elementi tra loro assai diversi, tra cui i piani quinquennali, il piano di sviluppo tecnologico Made in China 2025, la Nuova via della seta, le banche statali e la State-owned Assets Supervision and Administration Commission of the State Council (SASAC, una sorta di gigantesca IRI adattata alla realtà cinese).
Il quadro complessivo che l’autore ricava dalla sua analisi mostra un sistema socioeconomico estremamente dinamico, innovativo e in continuo divenire, che può essere provvisoriamente e prudentemente classificato come una economia di mercato mista orientata al socialismo – o, più semplicemente, come una economia socialista di mercato di tipo nuovo, sia pure ancora insufficientemente consolidata e caratterizzata in senso socialista.
Al settore privato sono stati lasciati ampi spazi di sviluppo, soprattutto nelle attività più direttamente legate alla produzione per il mercato e alla circolazione commerciale.
Tuttavia, il nucleo strategicamente dominante della economia cinese rimane sotto il controllo strategico dello Stato, che lo esercita da una parte attraverso una rete complessa e articolata di rapporti di proprietà che mantengono una natura essenzialmente pubblica, e dall’altro per mezzo di leve istituzionali e regolatorie che sono in gran parte formalmente simili a quelle del mondo capitalistico, ma collettivamente assai più potenti, alle quali si aggiunge la presenza diretta del Partito nelle grandi aziende sia pubbliche sia private.
Alberto Gabriele, Enterprise, industry and innovation in the People’s Republic of China: questioning socialism from Deng to the trade and tech war
Singapore: Springer 2020
pp. xxiv+301
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