Non si finisce mai di scavare sotto la montagna di cazzate che il premier spara ogni giorno. Ieri ha occupato militarmente tutti i telegiornali per raccontare la fandonia dei “250.000 nuovi posti a tempo indeterminato”, come risultato della sua trionfale campagna contro la precarietà. Abbiamo provveduto a fornire ai nostri lettori le informazioni fondamentali per smontare, in qualsiasi discussione (sui luoghi di lavoro, al bar o sull’autobus), questa autentica menzogna. Con il Jobs Act, infatti, ha cancellato l’art. 18 e quindi messo in mano alle aziende il potere di licenziare in qualsiasi momento, anche senza “giusta causa”. In questo modo non esiste più il lavoro “a tempo indeterminato”, ma una condizione di precarietà perpetua che dipende dall’umore del padrone o del sorvegliante.
Ma anche questo lavoro si è rivelato insufficiente. Riportiamo qui, perciò, l’articolo di Marta Fana, apparso su il manifesto di oggi, che provvede a sbugiardare un’altra parte della menzogna governativa. Anche la precarietà “normale” si diffonde come un tumore nel corpo e nelle menti delle generazioni in età lavorativa (15-67 anni, ormai) grazie all’utilizzo forsennato di un altro strumento terribile previsto dal Jobs Act: il vaucher.
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Jobs Act, Renzi nasconde il record del nuovo precariato: i voucher
Marta Fana, da il manifesto
Un governo sordo al richiamo del presidente dell’Istat Giorgio Alleva sull’uso strumentale dei dati relativi al mercato del lavoro, ieri ha ricominciato a dare i numeri celando ovviamente quelli scomodi. Renzi ha dimenticato di parlare, ad esempio, dei dati riguardanti i buoni lavoro «voucher» che il report dell’Osservatorio Inps sul precariato ha dato in fortissimo aumento: +74% rispetto al primo semestre del 2014. Questa è la nuova frontiera del precariato che attraversa tutte le generazioni, utilizzata soprattutto al Nord, che il governo fa finta di ignorare mentre sbandiera i dati sui contratti a tempo indeterminato ormai stabilmente precari.
A giugno, il numero dei contratti a tempo indeterminato è negativo (-4.759). L’ Inps ammonisce sull’uso di questi dati che non sono confrontabili con quelli dei mesi precedenti visto che, da giugno di quest’anno, considerano solo i lavoratori dipendenti del settore privato e quelli degli enti pubblici non economici, assenti nelle rilevazioni precedenti. Mentre l’Istat chiede maggiore integrazione delle fonti, qui ci ritroviamo nella situazione di non poter confrontare le informazioni relative ai mesi di uno stesso semestre.
Dovrebbe saperlo Filippo Taddei che riporta le variazioni tra primo semestre 2014 e 2015 senza neppure considerare le cessazioni. Analizzando i dati notiamo che la differenza è positiva, ma inferiore di oltre diecimila contratti: non 252.177 ma 237.247. I contratti a tempo indeterminato sono nel primo semestre 2015, al netto delle cessazioni, 136.269, meno della metà rispetto alle trasformazioni, 331.917. Inoltre, l’incidenza delle sole attivazioni relative a questa tipologia contrattuale diminuisce fortemente rispetto al balzo in avanti registrato nel primo trimestre di quest’anno, passando dal picco del 44.8% di marzo al 34.5% di giugno. Considerando i contratti netti, L’incidenza si ridimensiona fortemente: la quota di quelli a tempo indeterminato rappresenta soltanto il 21%, a fronte del 72% costituita dai contratti a termine.
Parliamo di contratti, neppure nuovi nella maggior parte dei casi, e non di posti lavoro come invece pensano Debora Serracchiani e Andrea Marcucci (Pd). I posti di lavoro diminuiscono di 96 mila tra maggio e giugno, come certificato dall’Istat a fine luglio. Mentre l’occupazione diminuisce, così come i posti di lavoro, lo stesso non possiamo dire per il numero di imprese che chiedono gli sgravi sul costo del lavoro e di fatto li ottengono.
Nei primi sei mesi del 2015, il numero di rapporti di lavoro instaurati con la fruizione dell’esonero contributivo sono 674.874. Per ogni nuovo contratto a tempo indeterminato (incluse le trasformazioni) sono state approvate 1,44 domande di defiscalizzazione: il 44% in più rispetto ai contratti netti. Che le imprese non domandino più lavoro è un altro dato che il governo dimentica di pubblicizzare: nel secondo trimestre del 2015, sostiene l’Istat, il numero di posti vacanti non cambia rispetto al primo trimestre di quest’anno. Un’ulteriore evidenza che gli sgravi alle imprese sono un profitto utile netto pagato dai contribuenti, soprattutto quelli più deboli che avrebbero bisogno di vedere le tasse pagate utilizzate per la spesa pubblica.
Anche a giugno le retribuzioni teoriche dei neo assunti a tutele crescenti diminuiscono: — 1.6%. I dettagli riportati dall’Inps sulle tipologie orarie dei nuovi contratti non risultano utili in quanto nulla si dice delle caratteristiche dei rapporti cessati. Lo stesso vale per la qualifica professionale.
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Vincenzo
Ogni giorno è difficile informarsi ,cioè sapere le cose come stanno veramente.Non parliamo di alcuni telegiornali che sono terrificanti .Tenetemi aggiornato grazie.