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Ancora Bartali, storia e propaganda

Nei primi giorni di gennaio alcuni media italiani sono stati attraversati da richiami, spesso infuocati, alla costruzione del mito – veritiero o inventato – di Bartali salvatore di ebrei.

La questione coinvolse anche gli attivisti per i diritti dei palestinesi, in occasione del Giro d’Italia del 2018 – che celebrava con i settant’anni dello Stato d’Israele le sue pretese su Gerusalemme -, facendo dilagare oltre il mondo della bicicletta la passione di un’accurata ricostruzione storica, per sottrarne l’uso alla propaganda a cui lo stesso Giro era stato piegato.

La parola ritenuta definitiva, per correttezza di metodo ed ampiezza di documentazione, era quella di Michele Sarfatti (studioso della persecuzione antiebraica e della storia degli ebrei in Italia nel XX secolo e già direttore della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea CDEC, Milano ), che aveva escluso la storicità dei fatti narrati, ricostruendone l’origine letteraria e vagliandone i contenuti alla luce del confronto con documenti delle figure che del soccorso degli ebrei si erano occupate in Toscana dal ’43-‘44.

Al riaccendersi della polemica mediatica, è sembrato opportuno intervistare l’autore del saggio la cui pubblicazione è all’origine del riattivarsi dei media sulla questione.

Il professore Stefano Pivato insegna Storia Contemporanea all’Università di Urbino, cattedra del Dipartimento di Scienze della Comunicazione, Studi Umanistici e Internazionali. Ha studiato il rapporto tra politica e immaginario e le ripercussioni politiche dello sport, ha scritto in particolare sulla storia della bicicletta* e il recente saggio L’ossessione della memoria. Bartali e il salvataggio degli ebrei: una storia inventata, Oblò Castelvecchi, 2021.

Professore, nel suo affermato Sia lodato Bartali, 1985, aveva sottoposto ad un’analisi critica serrata il mito di Bartali “salvatore dell’Italia” diffusosi nel ’48. Tuttavia, aggiornandone la terza edizione, nel 2019, ha accolto il falso mito che lo voleva “salvatore di ebrei”. Successivamente modifica radicalmente la valutazione storica della versione inizialmente accettata, per rifiutarla, decostruendola, nel libro successivo, come mai?

La prima edizione di Sia lodato Bartali è del 1985. La seconda del 1998. Fino al 2005, cioè sessant’anni dopo lo svolgimento di quelle vicende, della leggenda del salvataggio degli ebrei nessuno ne parla.

La notizia di una presunta complicità del ciclista nell’opera di salvataggio circola sottotraccia a partire dalla fine degli anni Settanta ed è messa in circolazione per la prima volta da Alexander Ramati, giornalista di guerra al seguito delle truppe alleate che nel giugno del 1944 liberano Assisi.

Ramati incontra in quell’occasione Rufino Nicacci, francescano e stretto collaboratore del vescovo assisiate Giuseppe Placido Nicolini, che fra il 1943 e il 1944 aveva dato assistenza e ospitalità a numerosi ebrei. Il giornalista, divenuto successivamente sceneggiatore e scrittore, nel 1978 pubblica un romanzo, The Assisi Underground, più tardi tradotto anche in Italia e dal quale nel 1985 ricava un adattamento cinematografico con lo stesso titolo.

Don Aldo Brunacci, canonico della cattedrale di Assisi durante la guerra e protagonista «reale» della falsificazione dei documenti per il salvataggio il quale, allorché sentì per la prima volta raccontare quella leggenda messa in circolazione dal regista americano, la definì una «favola». E da allora non se ne parlò più.

La notizia torna a circolare attorno al 2005, in occasione della celebrazione della Giornata della memoria. cinque anni dopo la morte di Bartali e sessanta anni dopo quelle vicende testimonianze di seconda e di terza mano ripropongono in maniera piuttosto goffa quella vicenda.

Quando, nel 2018, mi propongono una terza edizione del libro faccio mie le storie nel frattempo nate senza le necessarie verifiche. E’ stato un errore: lo ammetto. Quando mi sono accorto che si trattava di una «bufala» (di una «fake news») ho corretto il tiro.

Intanto vanno registrate le responsabilità degli storici – compreso chi parla – che non hanno mai messo becco, o l’hanno fatto tardivamente, in una vicenda sportiva trasformatasi nel tempo in uno dei simboli della Giornata della memoria.

Secondariamente quella leggenda è rimasta sottotraccia per circa sessant’anni: Bartali mentre era in vita non ne ha mai parlato (e questa è una delle tante stranezze) e solo dopo cinque anni dalla sua morte, nel 2005, giorno della celebrazione della prima giornata della memoria, si è iniziato a parlarne.

Credetemi, se un alunno di terza liceo presentasse una tesina sul rapporto fra Bartali e il salvataggio degli ebrei con i documenti fino a ora prodotti sarebbe bocciato da un qualunque insegnante. La storia non si fa con i «si dice», «si racconta», «qualcuno ha detto che»…. In questo modo non si fa altro che confermare il giudizio di don Aldo Brunacci, canonico della cattedrale di Assisi durante la guerra e protagonista «reale» della falsificazione dei documenti per il salvataggio il quale, allorché sentì per la prima volta raccontare quella leggenda, la definì una «favola».

Nel suo L’ossessione della memoria evidenzia il tornare e ritornare a più riprese sulla memoria ricostruita – e inventata – di Bartali, con accrescimenti successivi di particolari ed episodi al racconto, di testimoni. Nella sua veste di storico, nell’analizzare criticamente le costruzioni dei due falsi miti su Bartali – di “salvatore” dell’Italia nel ’48 e “salvatore degli ebrei” – e della leggenda di ciclista “cattolico”, lei più volte richiama la storia orale. Quali sono gli strumenti e le cautele con cui dev’essere affrontata?

Preciso subito che non sono affatto contrario alle testimonianze orali. Fra l’altro faccio parte dell’Archivio dei diari di Pieve Santo Stefano, che raccoglie circa 10.000 diari di gente comune.

Ma le fonti orali sono una «parte» della storia e devono sempre essere tutelate. Non rappresentano affatto una fonte autonoma. Quando poi, come nel caso di Bartali, quelle fonti sono di seconda e di terza mano …. beh… Meglio lasciar perdere.

I fattori da lei indicati all’origine di questo falso storico sono: l’ambiente socio-culturale del mondo sportivo del ciclismo e dei suoi tifosi, i politici e le loro mire elettorali, il web. Tuttavia, non sembra assegnare un ruolo importante alla dimensione internazionale. Dalle sue ricerche non emerge una spinta internazionale né nel 2005 né nella ripresa del 2014 per un più ampio ed incisivo rilancio del mito di Bartali “salvatore di ebrei”? Questo ruolo importante sarebbe intervenuto sicuramente, secondo alcuni – tra cui la sottoscritta – almeno dal 2015 (più probabile dal 2014, se non prima), quando il rapporto con gli organizzatori del Giro d’Italia si fa più stringente e chiaramente programmatico verso un obiettivo mediaticamente rilevante, come il Giro d’Italia 2018 in celebrazione di settant’anni dalla nascita dello Stato d’Israele. Qual è il suo parere in merito?

Andiamo con ordine. Almeno inizialmente l’origine di quel mito ( meglio, di quella «falsa notizia») è da ricondursi a un ambiente, quello sportivo, particolarmente incline alla retorica, all’enfasi e anche alla esagerazione. Teniamo presente che in Italia la narrazione sportiva ha un ruolo che nessuna altra nazione può vantare (l’Italia è l’unico paese al mondo nel quale si pubblicano tre quotidiani sportivi).

Non a caso gli storici parlano di una vera e propria «religione» dello sport con i suoi culti e i suoi riti: è in quel clima particolare che nascono le mitologie. E, fra queste, anche quella di Bartali e del salvataggio degli ebrei.

Attorno al 2012-2013 si verifica un «salto di qualità» e i campionati del mondo di ciclismo del 2013 (che si svolgono a Firenze) rappresentano la prima tappa di una sorta di «salto internazionale» della beatificazione di Bartali.

I campionati del mondo preparano la partenza del Giro d’Italia da Gerusalemme, anzi da «Gerusalemme Ovest» come scrive qualche giornale, suscitando l’immediata reazione delle autorità israeliane, che avviene l’anno successivo. Nel territorio di Israele si svolgono le prime tre tappe del Giro del 2018 e il 4 maggio, in occasione della cronometro individuale che assegna la prima maglia rosa, a Bartali viene consegnata la cittadinanza onoraria dello Stato di Israele «per aver contribuito a salvare 800 ebrei durante l’occupazione nazista».

Certo, il motivo principale dello svolgimento di una delle massime competizioni sportive fuori dai confini nazionali ed europei è quello di portare danari, circa sei milioni, nelle casse dell’ organizzazione del Giro d’Italia, il cui giro d’affari complessivo si aggira attorno ai settanta milioni di euro.

Ma quell’evento e Bartali stanno anche al centro di un’iniziativa che vuole celebrare i settanta anni della fondazione dello Stato di Israele con un evento mediatico che mobilita quasi un milione di telespettatori. In definitiva il campione toscano legittima una competizione il cui svolgimento, in polemica con la causa palestinese, finisce per assumere anche un obiettivo geopolitico.

Può presentare un poco il web da lei individuato tra i tre fattori del mito in questione? Il riferimento è ai blog dedicati al ciclismo?

Umberto Eco sosteneva che internet aveva dato la parola a «legioni di imbecilli». Anche il caso di Bartali e il salvataggio degli ebrei conferma la regola aurea del grande semiologo.

Nel saggio, lei fa un ampio riferimento alle neuroscienze, per spiegare come e perché con le testimonianze orali sia necessaria particolare cautela, se si vuole cogliere oltre il vissuto soggettivo che riportano e dare loro valore oggettivo.

Se la memoria, quindi la testimonianza orale dei testimoni, un tempo era una delle tante fonti della storia, adesso essa prevale nel processo di ricostruzione degli eventi. Andrebbe benissimo, se la memoria non fosse una funzione biologica piuttosto labile. Perlomeno, nell’ambizione di una ricostruzione oggettiva del passato e anche del passato prossimo.

Oggi, di fronte al moltiplicarsi degli stimoli esterni la memoria fatica a tenere conto di tutti e riesce a registrarne solo alcuni, mentre altri non li registra affatto o li distorce. Di qui la sua scarsa affidabilità come fonte rispetto al passato.

Nel libro, lei inserisce l’episodio della costruzione ed abuso del mito di Bartali “salvatore di ebrei” nell’attuale contesto di crisi della storia. Il rischio che le “memorie” si sostituiscano alla storia – o anche alle storie – sembra prefigurare scenari orwelliani di costruzione, di volta in volta, del passato utile.

L’attuale discussione sul ruolo della storia contemporanea non trascura il fatto che l’immaginario giovanile sul passato viene formandosi non solo grazie alle ore di lezione o al manuale ma anche attraverso la sovrabbondanza delle fonti audio visuali. L’era di internet ha stabilito inedite gerarchie all’interno dei saperi.

Oggi il legame fra ricerca storica e tensione etico-politica si è in gran parte esaurito come se fosse venuto meno un tacito patto fra le generazioni adulte e quelle più giovani.

Gli studenti che frequentano le scuole superiori a partire dagli anni Novanta rappresentano una generazione senza storia e dunque profondamente diversa da quella della baby-boom generation: oggi i giovani vivono un rapporto labile e precario con il passato e costantemente dominato dal presentismo.

Per questi studenti la storia è un frammento, spesso ignorato, che sta solo nelle pagine di un manuale e non contribuisce a formare quella che comunemente si definisce «coscienza civile».

 * L’ossessione della memoria. Bartali e il salvataggio degli ebrei: una storia inventata, Oblò Castelvecchi, 2021.Autore anche di Storia sociale della bicicletta, Il Mulino, 2019; Il Giro dItalia, 2019; Sia lodato Bartali, Oblò Catelvecchi, 2018; Momenti di gloria. Manuale di storia e cultura dello sport, Pearson, 2017.

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