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“Proletari senza rivoluzione”. Una attesa e interessante ristampa

Qualche decennio fa nelle abitazioni di ognuno di noi, tra la montagna di opuscoli, riviste e libri spiccavano alcuni volumi che ritrovavi quasi ovunque.

Mi riferisco ai quattro (più uno, uscito alcuni anni dopo) volumi di “Proletari senza rivoluzione” redatti da uno storico/militante (“categoria” molto in voga in quegli anni) Renzo Del Carria.

Nella mia gioventù ho acquistato e conservo gelosamente i volumi editi dalla “Savelli edizioni” ma già nei primissimi anni settanta era precedentemente uscita una edizione curata dalle “Edizioni Oriente” una casa editrice che pubblicava materiali marxisti-leninisti provenienti dalla Cina e varie riviste antimperialiste.

Da qualche settimana – per merito della “PGRECO edizioni” è nuovamente disponibile nelle librerie una ristampa dei cinque volumi (disponibili anche singolarmente) di “Proletari senza rivoluzione”.

L’opera di Renzo Del Carria è una trattazione storiografica delle vicende sociali e politiche delle classi subalterne nel nostro paese dal 1860 (ossia dall’unità d’Italia) fino al periodo del “miracolo economico” e alla proposta politica, avanzata dal segretario del PCI, Enrico Berlinguer, del “compromesso storico”.

Una lunga disamina del complesso e variegato percorso che le masse popolari del nostro paese hanno compiuto lungo oltre un secolo (il Novecento, sostanzialmente).

Del Carria ripercorre – con uno stile di scrittura a tratti roboante ma con una buona capacità di sintesi storiografica – la nascita dello stato unitario nazionale e la complessa integrazione territoriale Nord/Sud, il primo conflitto imperialistico, gli echi dell’Ottobre nel nostro paese e il Biennio Rosso, il fascismo e la nascita del Partito Comunista d’Italia, il secondo conflitto mondiale, la Resistenza, lo scontro di classe nel dopoguerra, l’attentato a Togliatti e le elezioni del 18 Aprile, la repressione di Scelba, la destalinizzazione, Tambroni ed il Luglio ’60, Piazza Statuto a Torino, il boom economico, le lotte degli operai e degli studenti nel biennio ’68/’69, Piazza Fontana, lo stragismo di Stato, le formazioni marxiste-leniniste e i gruppi della Sinistra Rivoluzionaria, il superamento delle Commissioni Interne, la nascita dei Consigli di Fabbrica e lo Statuto dei Lavoratori, il riverbero dei fatti del Cile, Berlinguer e la proposta del “Compromesso Storico” fino al ciclo politico della cosiddetta “Unità Nazionale” con la completa integrazione nel paradigma delle compatibilità capitalistiche del Partito Comunista Italiano.

L’opera di Renzo Del Carria è una sorta di lungo ed articolato abecedario della lotta di classe nel nostro paese, una vera e propria enciclopedia divulgativa (l’autore sottotraccia, in alcuni commenti, non nega questa funzione) fornita ai lavoratori, ai giovani e – soprattutto – a quanti, nel gorgo conflittuale degli anni in cui il libro è stato pubblicato per la prima volta, si affacciavano nelle mobilitazioni politiche e sociali che attraversavano il paese.

Lo stile letterario e contenutistico di Del Carria si configura con un lessico sferzante, con un enfasi che rifletteva molto i grandi movimenti di lotta di quel periodo e l’enorme carica ideologica che sosteneva e faceva da cornice quel complesso ed articolato sommovimento che permeava l’Italia e l’intero Occidente capitalistico.

Oggi i libri di storia – anche di quella orale per utilizzare una categoria introdotta dagli studi e dalla ricerche di Cesare Bermani nel dibattito che animava il movimento operaio negli anni ’60 e ’70 – vengono scritti con una prosa più fredda, più distaccata ed  attenta, esclusivamente, al solo uso ragionato delle fonti e delle testimonianze.

Insomma se dovessi fare un paragone – forse ardito ma che rende evidente a cosa voglio alludere – la figura storica a chi l’opera scritta da Renzo Del Carria può essere accostata è quella di John Reed quando descriveva l’epopea degli IWW negli Stati Uniti oppure i diari dall’Europa e le successive cronache dell’assalto bolscevico al potere dello Zar.

Nei volumi di “Proletari senza Rivoluzione” l’autore – oltre ogni vezzo e narcisismo  intellettuale – è parte del racconto, è schierato fino in fondo dalla parte dei subalterni, avverte e metabolizza conquiste e sconfitte ed è inequivocabilmente Partigiano.

Del resto, anche a distanza di decenni, un lettore privo di preclusioni aprioristiche resta colpito da una narrazione incalzante, sicuramente aulica in alcuni passaggi, ma priva di quegli elementi di vacuità e di astrattismo insignificante tipici del pensiero (triste e debole) che ammorba le moderne società e l’attuale accademia.

“Proletari senza Rivoluzione” è stato un autentico best seller di molte generazioni di militanti comunisti, un testo assunto – con qualche esagerazione derivante da quello straordinario periodo della lotta di classe nel nostro paese – ad icona di una cultura/contro se non ad un vero e proprio manifesto politico.

Non si spiegherebbe – altrimenti – il successo editoriale, la sua diffusione e l’influenza, in termini di formazione e controinformazione politica individuale e collettiva, per numerose generazioni di compagni.

Certo oggi – in una congiuntura politica generale completamente diversa da quella della seconda metà del secolo scorso – l’opera di Renzo Del Carria va letta e interpretata considerando le trasformazioni avvenute a scala globale in tutti i campi della struttura e della sovrastruttura del modo di produzione capitalistico e del complesso dei rapporti sociali vigenti. Una avvertenza – di metodo e di sostanza – che occorre premettere quando approcciamo non solo ai classici ma all’insieme della letteratura che ha raccontato le sofferenze, le aspettative e le lotte delle classi popolari nel corso storico del capitalismo.

Bene – quindi – ha fatto la casa editrice “PGRECO” a ristampare questo testo il quale deve essere conosciuto e letto dalle giovani generazioni e da quanti ritengono che la Storia non sia finita!

Osservazione a margine: i compagni vintage conoscevano Renzo Del Carria non solo come storico/militante ma anche come come un attivo partecipante alla Resistenza antifascista. In seguito fu militante del PCI per approdare poi alla aperta simpatia per le posizioni marxiste-leniniste (anche se nella declinazione viziata da “scolastico dogmatismo”). In ogni caso fu un militante schierato su posizioni di classe lungo tutti gli anni Settanta.

Nella metà degli anni Ottanta – dentro gli effetti destabilizzanti dell’onda lunga della controrivoluzione culturale e materiale – Renzo Del Carria operò un (soggettivo) testa/coda politico per sostenere fantomatiche “posizioni federaliste” candidandosi con la Lega Nord di Umberto Bossi fino ad una successiva collocazione elettorale nell’allora “Polo delle Libertà”.

Renzo Del Carria è morto nel 2010.

Ho ricordato questo epilogo personale – di cui poco mi interessò all’epoca – per evidenziare le pesanti conseguenze, oggettive e soggettive, dell’offensiva capitalistica nei primi anni Ottanta e di come questa frantumò rapporti di forza, elementi di coscienza di classe e, naturalmente, molte singole storie personali.

Questa puntualizzazione – of course – nulla toglie al valore dell’opera di Del Carria e al contributo che seppe offrire in quel contesto temporale!

 

 

 

 

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

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4 Commenti


  • Giancarlo Conti

    Attendo con ansia l’arrivo dei libri in libreria


  • Anna

    Che delusione lo avevo adorato, e sui suoi libri grazie a una professoressa unica, Rosalba, ho preparato anche l’esame di maturità. Era il 1977.


  • Stefano De Stefano

    Del Carria non è l’unico ad aver “scavallato”. Ma ve lo ricordate Aldo Brandirali? E comunque, secondo me, vuol dire poco. De Carria scrisse “Proletari senza rivoluzione”…………e quello non ha scavallato anzi, è diventato patrimonio comune di molti, molti che hanno continuato sulla strada giusta. Perciò: bene la PGRECO Edizioni!


    • Redazione Contropiano

      Iniziativa editoriale meritoria. anche avendo presenti i limiti di impostazione di quella Storia, tutta giocata su una contrapposizione alquanto astratta tra “spontaneità buona” e “organizzazione cattiva” (che a volte si dà, a volte no).

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