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Alle radici del caos afgano. L’orgia imperialista

Verso la fine del 1979 le truppe sovietiche invasero l’Afghanistan. Scopo dell’invasione era la difesa del governo laico che stava tentando di modernizzare il paese.
Io ero uno dei membri del Tribunale Internazionale di Stoccolma che nel 1981 si occupò del tema.
Non dimenticherò mai il momento culminante di quelle sessioni: stava testimoniando un importante capo religioso, rappresentante dei fondamentalisti islamici Talebani, a quel tempo definiti “Freedom Fighters” dall’Occidente, “Guerrieri della Libertà” invece che terroristi.
L’anziano Talebano dichiarò: “I comunisti hanno disonorato le nostre figlie! Hanno insegnato loro a leggere e scrivere!”
Eduardo Galeano, “I figli dei giorni”

C’era una volta Nur Mohammed Taraki, giornalista e, poi, segretario generale, dal 1965, del Partito Democratico Popolare dell’Afghanistan(PDPA), finché non venne fatto assassinare.

Nur Taraki fu anche presidente del Consiglio rivoluzionario dall’aprile del 1978 al settembre del 1979. Il suo partito, il PDPA, aveva partecipato al rovesciamento della monarchia afghana ed all’instaurazione della Repubblica Afgana, nel 1973.

La Rivoluzione di Saur del 28 aprile 1978 diede vita alla Repubblica Democratica dell’Afghanistan ponendo fine al regime instaurato da Mohammed Daud Khan.

Nei mesi successivi alla rivoluzione, il governo avviò una serie di riforme: fece distribuire le terre a 20.000 contadini, abrogò l’ushur (ovvero la decima dovuta ai latifondisti dai braccianti) e bandì l’usura, regolò i prezzi dei beni primari, statalizzò i servizi sociali garantendoli a tutti, diede il riconoscimento al diritto di voto alle donne, legalizzò i sindacati, vietò i matrimoni forzati e lo scambio di bambine a scopo economico, sostituì leggi tradizionali e religiose con altre laiche, mise al bando i tribunali tribali e rese pubblica a tutti l’istruzione, anche alle bambine che in precedenza non potevano andare a scuola.

Queste riforme si scontrarono fortemente con le autorità religiose locali e tribali che si opposero alle politiche di Taraki. E nemmeno agli amerikani andava bene.

Pertanto, fecero rovesciare ed uccidere Nur Taraki dal suo rivale all’interno del partito, Hafizullah Amin che venne messo a governare al suo posto. Quando intervenne l’Unione Sovietica in Afghanistan, gli Stati Uniti trovarono il modo di addestrare e supportare i Mujahideen a combattere i sovietici.

Osama bin Laden, miliardario Saudita, proprio nel 1979, si unì alle forze dei Mujaheddin in Pakistan contro i sovietici in Afghanistan. Bin Laden organizzò e finanziò i Mujaheddin convogliando loro armi, denaro e combattenti dal mondo arabo in Afghanistan.

La guerra Afghana si svolse tra il 24 dicembre 1979 e il 15 febbraio 1989 e vide contrapposte da un lato le forze armate della Repubblica Democratica dell’Afghanistan (RDA), sostenute da un contingente di truppe terrestri e aeree dell’Unione Sovietica e dall’altro vari raggruppamenti di mujaheddin, appoggiati materialmente e finanziariamente da Stati Uniti, Pakistan, Iran, Arabia Saudita e Regno Unito.

L’Afganistan è uno dei paesi più poveri del mondo ma, per le potenze imperialiste, riveste una grande importanza geopolitica, strategica ed economica, soprattutto per la presenza del gasdotto che attraversa Turkmenistan, Afghanistan , Pakistan ed India, noto anche come “Trans-Afghanistan Pipeline”.

Dopo più di nove anni di guerra, che provocarono vaste distruzioni all’Afghanistan nonché ampie perdite di vite civili, l’intervento sovietico nel conflitto ebbe termine con una ritirata generale delle proprie truppe conclusa il 15 febbraio 1989, dopo la firma degli accordi di Ginevra tra RDA e Pakistan; gli scontri tra mujaheddin e truppe governative proseguirono nell’ambito della guerra civile afghana, fino alla caduta del governo della RDA nell’aprile del 1992.

I Mujahideen (combattenti del Jihad nel senso di guerra contro i nemici di Dio), come membri della guerriglia islamica radicale, furono attivi in molti conflitti contemporanei, soprattutto nell’Asia centrale e nel Sud-Est asiatico. I vari gruppi di Mujahideen giunsero ad avere circa 4.000 basi in Afghanistan.
Dal raggruppamento finanziato e organizzato da Osama Bin Laden, nel 1988, prese vita il gruppo terroristico di Al-Qaida.

Alla fine della guerra, i Mujahideen si divisero in due componenti, l’Alleanza del Nord e i Taliban (Talebani), tra i quali ebbe inizio un’aspra guerra civile.

Il Fronte islamico unito per la salvezza dell’Afghanistan, noto in Occidente anche come Alleanza del Nord, fu un’organizzazione politico-militare fondata dallo Stato islamico dell’Afghanistan nel 1996. Si trattava dell’unione di diversi gruppi combattenti afghani comandati dai cosiddetti Signori della guerra, precedentemente in conflitto tra loro, con lo scopo di combattere i Talebani.

Alla fine del 2001, grazie all’intervento statunitense, l’Alleanza del Nord riconquisto’ gran parte dell’Afghanistan, sottraendolo ai Talebani e riconobbe il nuovo governo afghano messo in piedi dalle forze occidentali.

La guerra in Afghanistan, iniziata il 7 ottobre 2001, iniziò con l’invasione del territorio controllato dai talebani, da parte dei gruppi dell’Alleanza del Nord, mentre gli USA e la NATO fornirono un decisivo supporto tattico, aereo e logistico.

Nella seconda fase, dopo la conquista di Kabul, le truppe occidentali, statunitensi e britannici in testa, incrementarono la loro presenza anche a livello territoriale per sostenere il nuovo governo afghano. Era la cosiddetta “Operazione Enduring Freedom” .

L’amministrazione Bush giustificò l’invasione dell’Afghanistan, con il pretesto della “guerra al terrorismo” seguita agli attentati dell’11 settembre 2001, con lo scopo dichiarato di distruggere Al Qaida e di catturare o uccidere Osama bin Laden ritenuto dagli USA unico responsabile degli attacchi alle Torri Gemelle ed al Pentagono.

Ma gli attentati dell’11 settembre 2001 non furono opera del solo Osama Bin Laden quanto, piuttosto, il risultato finale di una più assai più ampia e complessa operazione che vide coinvolti ambienti assai vicini alla Casa regnante saudita (con la quale la famiglia Bush – petrolieri texani – era e rimase anche dopo l’11 settembre 2001 in ottimi rapporti).

È quanto scritto, nel 2016, dai membri delle Commissioni Intelligence della Camera e del Senato degli Stati Uniti in un rapporto intitolato “Inchiesta congiunta sulle attività dei Servizi di Intelligence prima e dopo gli attacchi terroristici del settembre 2001”. Si tratta di un’inchiesta avviata all’indomani degli attacchi alle Torri Gemelle ed al Pentagono e conclusa nel dicembre del 2002

A marzo 2017, le famiglie di 800 vittime degli attacchi alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001 hanno intentato una causa contro l’Arabia Saudita per complicità negli attentati che causarono circa 3.000 morti. 15 dei 19 attentatori, coinvolti nell’attacco, erano di nazionalità saudita. La causa è fondata, in gran parte, su alcuni documenti secretati recentemente resi noti negli Stati Uniti.

Le 800 famiglie in causa contro la casa regnante Saudita hanno appena detto no alle cerimonie ufficiali del presidente USA, Joe Biden, se non pubblicherà prima il dossier di 28 pagine nel quale potrebbero essere contenute informazioni sul ruolo dell’Arabia Saudita negli attacchi terroristici del 2001 e quelle per la chiusura del supercarcere di Guantanamo sull’isola di Cuba.

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