Sono capitato per caso sul sito web di “Avanti on Line” che, a quanto pare, si dichiara in continuità col “Quotidiano socialista dal 1896”. Scorrendo i vari titoli – ormai, qualunque rivista o quotidiano si sfogli, il tema è a senso unico – mi sono soffermato su un intervento firmato Salvatore Sechi, Ordinario di Storia Contemporanea.
Avevo una mezza intenzione di lasciar perdere già alle prime righe, leggendo di «Marc Immaro (del Corriere della Sera)» – quattro inesattezze su sei parole è un bel record – ma poi la curiosità ha prevalso. Dopotutto, il pezzo è firmato da un Ordinario di Storia Contemporanea; così ordinario da scrivere che «solo nel 1924 l’Armata rossa venne bloccata alle porte di Varsavia»: chissà cosa ne pensano i suoi allievi!
Ma, procediamo. Si parte col dire – una nota è doverosa: sintassi, punteggiatura, sviste, ripetizioni sono tutte nell’originale… – che da una ventina d’anni, al Cremlino, costituirebbe «una lettura non furtiva» l’opuscolo pubblicato da «Uno degli intellettuali socialisti tedeschi più rispettati, Karl Kautsky, nel 1920» (pardon: ci risulta che fosse il 1919; ma sorvoliamo) in cui quello pronosticava «l’iter della conquista bolscevica del potere in Russia», vale a dire «Terrorismo e comunismo».
Ora, lasciamo da parte – non è né il luogo, né tantomeno il momento: qui si parla d’altro – la questione su chi abbia dato il via al terrore nella Russia sovietica, già fin dal 1918, e anche la questione della dittatura e della “democrazia”, che per Kautsky non significavano altro se non il rifiuto della presa del potere da parte del proletariato per via rivoluzionaria, a favore della “via democratica”, cioè il puro passaggio di mano, pacifico, della macchina statale borghese “già pronta”, senza la sua Zerstörung marxiana.
Il prof. Sechi sembra voler dire che settanta anni di potere sovietico in Russia non siano stati altro che una scia di terrore, che si prolunga sino a oggi, con gli «stessi dilemmi, paure, traumi della storia della storia russa». Dilemmi che, «dopo gli zar, Lenin, Stalin, Gorbaciov ed Eltsin sono stati ripresi da un premier spietato e crudele sino alla barbarie, Vladimir Putin».
E infatti, obiettivo del prof. Sechi (ma crediamo sia in buona compagnia; purtroppo, pur con motivazioni opposte, con una parte non secondaria del “patriottismo russo” italiano) sembra essere quello di “dimostrare” che esista una linea storica pressoché ininterrotta che unisce zarismo, bolscevismo, potere borghese in Russia, fino al “pan-nazionalismo” putiniano, portato ora alle estreme conseguenze con l’intervento militare in Ucraina.
E il “terrorismo” di Putin, con «decine di giornalisti e di uomini politici che sono stati avvelenati dal polonio distribuito dai suoi mercenari», par voler dire il prof. Sechi, differirebbe solo nella forma sia dal terrore rosso cui i bolscevichi furono costretti a ricorrere di fronte all’aperto terrorismo con cui socialisti-rivoluzionari e costituzionali-democratici stavano aprendo la strada all’intervento dei 14 paesi stranieri (che comunque si verificò), sia dal “terrore staliniano”, che da decenni costituisce la tiritera di quanti, beffandosene della storia, si aggrappano alle leggende.
Una delle quali, per restare in tema di Ucraina, rilanciata anche in questi giorni, è quella del “Golodomor” (in ucraino “Holodomor”). Ma anche su questo, sorvoliamo.
Ecco dunque che, in perfetta “continuità” col terrore bolscevico – e col ribrezzo che ha sempre provocato nei socialisti, da Kautsky al prof. Sechi – oggi, con «l’invasione dell’Ucraina si compie uno sterminio e un bagno di sangue annunciati».
E questo, perché «Putin non ha rinunciato al sogno di una grande Russia, una Russia imperiale, riverita e temuta nel mondo. Gli zar da Pietro il Grande in poi hanno cercato di realizzare questo obiettivo». Ma solo «Quando Lenin, Stalin e compagni sono arrivati al potere, il comunismo è stato percepito come un pericolo di contagio (solo nel 1924 l’Armata rossa venne bloccata alle porte di Varsavia)». Era il 1920, professore; suvvia, un po’ di storia.
Poi, dice l’Ordinario, a partire «dal 1917 i grandi paesi occidentali, con spedizioni armate, hanno cercato di contenere» quel contagio. C’era anche l’Italia, professore, tra quei «grandi paesi occidentali», sia nel 1919, sia nel 1941: vorrebbe che ci tornasse ancora?
È venuta quindi la guerra, e con la vittoria sovietica (prof. Sechi, è anche Lei tra quelli che dicono che le 58 divisioni tedesche sconfitte a ovest dagli Alleati furono quelle determinanti nella fine del Terzo Reich, mentre la disfatta delle oltre 230 divisioni hitleriane da parte dell’Esercito Rosso non serviva ad altro che a permettere «all’Urss di circondarsi di un esteso bottino di guerra (e no) costituita dai paesi aderenti (Cecoslovacchia, Polonia, Romania, Ungheria, Bulgaria e Germania orientale)» al Patto di Varsavia.
Ma, «Nel 1989 col naufragio dell’Urss…. col venir meno di questa estesa cintura di sicurezza c’è stato un indebolimento del sistema di garanzie per prevenire i pericoli (più inventato che reali) provenienti dall’Occidente che Mosca aveva eretto per non sentirsi una vittima a rischio, prossima futura».
Certo, come no! I pericoli erano e sono così poco «(più inventato che reali)», che la Rai (la Rai, prof. Sechi, non il Corriere) per dovere di ignorarli e farli ignorare ai telespettatori, si è premunita di silenziare uno dei suoi corrispondenti con più esperienza e meno prosopopea propagandistica.
A questo punto, è doveroso dire che, in effetti, il prof. Sechi sembra voler accennare, a suo modo, a un tentativo di districare la questione dell’espansione della NATO a est.
Non lo fa, certamente, con la sintesi e la chiarezza del – a quanto pare, a lui sconosciuto – «Marc Immaro (del Corriere della Sera)» e anzi ci racconta che «mai lo schieramento occidentale ha tentato di aggredire la Russia e i pochi alleati a lei rimasti fedeli. Ciò malgrado, Putin ha voluto fare un passo avanti, passando per ferro e per fuoco, l’Ucraina… con i bagni di sangue e gli infami massacri di bambini, vecchi, disabili, famiglie sparse per campagne ed auto-strade».
Prof. Sechi, non è che per caso abbia fatto un po’ di confusione e abbia riassunto in una riga quello che gli abitanti del Donbass hanno subito e stanno subendo a opera delle bande neo-naziste ucraine le quali, dal 2014, dopo aver imposto con la loro “marcia su Kiev” e il terrorismo a majdan Nezaležnosti, un regime golpista sostenuto da USA, UE e NATO, hanno poi imperversato per otto anni nelle campagne e nei villaggi delle Repubbliche popolari?
È un dubbio che ci viene e che addirittura l’ONU ha confermato, parlando di quasi 15.000 morti, tra cui moltissimi civili, con bambini e donne, proprio in Donbass.
Questo però non significa, continua l’Ordinario, che Putin voglia «vendicarsi e punire il popolo ucraino»; vuol dire piuttosto che punti a «restituire alla Russia un ruolo di grande potenza, circondarla di una cortina di ferro imperiale e potere trattare gli Stati e i paesi occidentali da pari a pari».
In queste ultime affermazioni c’è qualcosa di vero. Il prof. Sechi tace però sullo sviluppo del capitalismo russo che, dopo la fine dell’URSS ha preso a “germogliare” nelle ex Repubbliche sovietiche, dapprima con caratteri banditeschi e mafiosi, anche sulle ceneri del PCUS, e che ha ricevuto una certa stabilità col finire degli anni ’90, è andato sempre più consolidandosi, fino a entrare in concorrenza con quei capitali mondiali che, alla ricerca di nuovi mercati e fonti di materie prime, avevano brigato per spartirsi le ricchezze dell’Unione Sovietica.
Un capitalismo russo che oggi ha senza dubbio necessità di espandere le proprie sfere, anche territoriali – ebbene, a questo capitalismo, il prof. Sechi non riserba nemmeno una parola. Anzi, per lui è tutto un continuum, dallo zar, a Lenin, a Gorbačëv, a Putin: tutto nel paradigma di una “madre Russia”; in questo, tra l’altro, differenziandosi poco dallo stesso Putin, il quale però cancella la “parentesi” sovietica, estranea, secondo lui, al popolo russo.
Il prof. Sechi ignora il moderno capitalismo russo, e cade anzi nella retorica tele-giornalistica più becera, con la trita novella dell’Ucraina che «sta per essere rasa al suolo dai carri armati e dai missili dell’esercito sovietico. Per evitarlo occorre porre fine alle finzioni dell’invio di armi e all’ipocrisia sulla capacità (nel breve periodo) delle sanzioni di sfibrare far accasciare la popolazione sovietica».
Esercito “sovietico”? popolazione “sovietica”? È una svista dovuta all’euforia interventista, prof. Sechi?
Professore, Lei, quale Ordinario di storia, sa certamente che, delle oltre 230 divisioni che nel giugno 1941 aggredirono l’URSS (le suggeriamo una verità che può tornarLe utile nelle Sue lezioni di storia: quella era l’Unione Sovietica; oggi di sovietico c’è solo la Sua immaginazione), una cinquantina almeno erano costituite da volontari (per quanto riguarda paesi come Italia, Ungheria, Romania, Finlandia, purtroppo i più furono costretti a partire dai rispettivi governi fascisti o reazionari e non andarono certo volontari) da pressoché tutti i paesi europei, anche da quelli che ufficialmente facevano parte della coalizione anti-hitleriana.
Prof. Sechi, vorrebbe forse che quella coalizione si ripetesse oggi, contro la Russia capitalista?
A giudicare dalle Sue parole, sembrerebbe di sì; come interpretare altrimenti la frase «Di fronte allo straordinario, prodigioso spirito di sacrificio di un piccolo popolo si deve avere il coraggio di dire la verità: cioè che non è possibile arrestarne la demolizione, se non ci sarà una correzione radicale nella strategia di Usa, Unione europea e Nato.
Debbono confessare chiaro e tondo che essi sono le vittime privilegiate della politica aggressiva di Putin. Il che dovrebbe dare luogo ad un immediato passo successivo: proclamare l’adesione dell’Ucraina alla comunità (politica e militare) europea…
Possibile che Bruxelles non possa, nel giro di un’ora, formalizzare, per arginare uno spargimento di sangue innocente, l’immissione dell’Ucraina nell’ordinamento civile e militare dell’Europa e della Nato?
Quando ciò avvenisse, Putin si renderebbe conto di dovere fare i conti non con la povera e meravigliosa resistenza ucraina, ma con Stati che dispongono di oltre 4.500 missili a testata nucleare».
Il finale è da tregenda, e lo risparmiamo ai lettori che hanno avuto la pazienza di seguirci fin qui.
Importante è lo spirito che anima le riscritture storiche, tanto del prof. Sechi, quanto dei troppi che, come lui, chiamano oggi alla crociata contro la Russia, come se si trattasse di rinnovare il tentativo, intrapreso sin dal 1917 dai «grandi paesi occidentali, con spedizioni armate», di cercare «di contenere» il contagio del bolscevismo.
Da chi è sempre venuto, nella storia, e da chi proviene anche oggi il pericolo di guerra? Se lo ricorda, prof. Sechi, cosa diceva al proposito «Uno degli intellettuali socialisti tedeschi più rispettati, Karl Kautsky», non nel 1920, ma un paio di decenni prima, quando «era ancora marxista» (Lenin)?
E poi dicono che l’Università è il luogo del ragionamento critico, della ricerca della oggettività, della comprensione tra culture…
Puttanate! O, quantomeno, questo è quello che vien da pensare a leggere certi appelli all’arruolamento dell’Ucraina e funesto “armiamoci e …”.
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