Si chiama “Un’operazione perfetta” tra virgolette, la nuova serie in onda in questi giorni su Sky TV scritta da Davide Azzolini, Fulvio Bufi e Massimiliano Virgilio (regia di Nicolangelo Gelormini).
La serie affronta in 4 puntate con documenti video dell’epoca e interviste a protagonisti di allora e a commentatori dell’oggi, genesi e conclusione del sequestro del generale NATO Dozier posto in essere il 14 dicembre del 1981 dalle BR Partito Comunista combattente, la specifica è d’obbligo perché erano già intervenute le scissioni con la colonna milanese Walter Alasia e il Partito Guerriglia di Giovanni Senzani.
Chiunque abbia negli anni scorsi affrontato in modo serio e documentato quella vicenda non scopre nulla di nuovo, ma la gran parte delle “anime belle” che da sempre abbracciano con entusiasmo la vulgata imposta su quegli anni ad uso e consumo dei cosiddetti “sdegnati democratici”, farebbe bene a dargli un’occhiata, perché viene finalmente ricostruito con esattezza il modo con cui si arrivò a compiere quell’”operazione perfetta” con la liberazione del generale.
“Emerge una verità oscura”, scrive Silvia Fumarola su Repubblica, in un articolo dell’11 giugno dal titolo: “Il caso Dozier in una docuserie Sky: luci e ombre di un sequestro”.
Per i più giovani che allora non c’erano, si sappia che quel sequestro di un generale NATO nella base militare di Verona ad opera di quattro ragazzotti travestiti da operai con un semplice furgoncino di risulta, fu una sfida senza precedenti al potente alleato, al punto che l’allora Presidente Reagan avvertì immediatamente il “povero” Spadolini che se non avessero liberato al più presto il loro uomo, tanti saluti al suo bel governo atlantista che in quei giorni stava preparando il terreno ai nuovi anni Ottanta “da bere” dopo vent’anni di conflitti sociali senza precedenti.
Potete immaginare quindi quali scene di giubilo nazionale e dispendio di encomi all’Italia migliore quando verso la tarda mattinata del 28 gennaio 1982 il TG mandò in onda i servizi che celebravano l’”operazione perfetta” dei corpi addestrati di Polizia che erano riusciti a scovare la base padovana di via Pindemonte liberando l’ostaggio senza spargimento di sangue, dopo avere catturato i cinque pericolosi terroristi, tre uomini e due donne, nell’appartamento al primo piano, sopra un gigantesco supermercato.
Il generale venne ricevuto da un orgoglioso Pertini che qualche mese prima del trionfo mondiale di Madrid poteva già gridare al mondo quanto eravamo bravi noi italiani, mentre l’allora Ministro Rognoni sfoggiava davanti all’ammirata stampa mondiale la nostra incommensurabile maestria nell’affrontare e sconfiggere un fenomeno guerrigliero di quella portata con la sola forza della democrazia e della legge.
Chiunque, si diceva, abbia invece approfondito quell’operazione perfetta, sa benissimo che le cose non andarono proprio così, ma anche gli altri, ivi compresa la giornalista di Repubblica, avrebbero dovuto saperlo da tempo, visto che più di dieci anni fa c’erano state le confessioni del Commissario Salvatore Genova, era uscito il libro “Colpo al cuore” di Nicola Rao (Sperling&Kupfer), un giornalista non certo affine alle BR, la cui nomina in RAI è stata oggetto di recenti strali perché ritenuto troppo “di destra”, e persino il popolare programma RAI in prima serata “Chi l’ha visto” aveva dedicato un ampio servizio al caso Triaca.
Enrico Triaca al quale una Sentenza del 15 ottobre 2013 della Corte di Appello di Perugia, aveva revocato, accogliendo la sua richiesta di revisione, la condanna a suo tempo inflittagli per calunnia, riconoscendo, sulla base delle testimonianze di Salvatore Genova, Nicola Rao e Matteo Indice, che quando fu arrestato il 17 maggio 1978 perché gestiva la tipografia di via Pio Foà 31 a Monteverde, nel corso dell’indagine sul sequestro Moro, un gruppo di agenti capitanati dall’allora dirigente UCIGOS Nicola Ciocia, soprannominato “dottor De Tormentis”, lo aveva sottoposto a tortura con il metodo del waterboarding.
Un “simpatico” metodo con il quale, legando mani e piedi su una tavola di legno un soggetto denudato, e infilandogli con una canna di gomma collegata alla gola acqua salata, si simula l’effetto annegamento senza lasciare tracce.
A distanza di 42 anni il documentario di SKY ci racconta come andarono le cose.
Per trovare il luogo ove era trattenuto il generale fu messa in piedi una “squadra speciale” UCIGOS diretta da Umberto Improta e Gaspare De Francisci perché replicasse quel metodo “spiccio” e che venne chiamata “squadra dell’Ave Maria” con a capo il “dottor De Tormentis”, e a forza di retate in ogni dove negli ambienti della sinistra extraparlamentare del veneto, il 26 gennaio 1982 un gruppo composto da Salvatore Genova, Nicola Ciocia, Oscar Fioriolli e Luciano Di Gregorio fa irruzione nella casa di Elisabetta Arcangeli, il cui nome era stato fatto da Paolo Galati, fratello del brigatista Michele in carcere, oppure non ricordo se a sua volta passando prima per altro militante, Nazareno Mantovani.
Sta di fatto che i militari trovano casualmente in quella casa anche il suo compagno, tale Ruggero Volinia, il quale viene torturato insieme alla donna di modo che ne senta gli urli, fincheé, la notte del 27, Volinia ammette di fare parte delle BR con il nome di Federico e di avere guidato il furgone che il 17 dicembre 1981 aveva trasportato il sequestrato Dozier a Padova, in Via Pindemonte.
Ecco come mai “miracolosamente” il giorno dopo, giovedì 28 gennaio, una squadra speciale dei NOCS fa irruzione nell’appartamento indicato dal Volinia e il generale viene liberato con la cattura di Antonio Savasta, Emilia Libera, Emanuela Frascella, Cesare Di Lenardo e Giovanni Ciucci.
Tutti e cinque a quel punto verranno successivamente a loro volta torturati di brutto, e il capo colonna Antonio Savasta a seguito delle torture inflitte anche alla sua compagna Emilia Libera sarà il secondo, ed esiziale, grande pentito delle BR, dopo Peci di due anni prima, facendo arrestare oltre un centinaio di militanti.
Cesare Di Lenardo denuncerà sin sa subito le pesanti torture subite per indurlo a fare i nomi dei compagni e a consentirne la cattura (evidenziate da alcune foto raccapriccianti) ed il fatto venne confermato dalle testimonianze del capitano Ambrosiani del SIULP e dell’agente Trifirò, che verrà ucciso 4 anni dopo in seguito a un misterioso conflitto a fuoco.
Il giornalista Buffa de l’Espresso, che aveva raccolto il dossier sulle torture inflitte ai brigatisti arrestati, verrà a sua volta arrestato, ma in breve nasce un tale clamore pubblico che verrà istruito un apposito processo a Verona per le torture inflitte a Di Lenardo e che si concluderà in Appello con la prescrizione dei reati contestati agli agenti, senza la presenza del loro comandante Salvatore Genova, che nel frattempo aveva usufruito della immunità parlamentare, in quanto prontamente candidato ed eletto dal PSDI.
Per la verità già in precedenza, oltre al già citato caso di Enrico Triaca, c’era stata la denuncia del nappista Alberto Buonoconto al futuro PM del caso Tortora, Lucio Di Pietro (potete immaginarvi che fine fece la denuncia), era uscito il libro Processo all’istruttoria di Laura Grimaldi, dove si riferiva delle torture inflitte ai ragazzi della Barona in occasione dell’inchiesta milanese sull’omicidio Torregiani, quando Sisinio Bitti, Umberto Lucarelli, Roberto Villa, Gioacchino Vitrani, Annamaria e Michele Fatone presentarono un esposto all’Autorità Giudiziaria che non ebbe seguito alcuno.
E successivamente al fatto Dozier, il 21 febbraio 1982, Lotta Continua pubblicherà una lettera inviata al proprio legale dalla brigatista Paola Maturi, arrestata a Roma il 1° febbraio, che denunciava le torture subite in Questura dopo l’arresto.
In seguito, vi sarà la pubblica denuncia di Sandro Padula (Alex Paddy) in occasione del suo arresto alla fine del 1982 e, quindi, la cooperativa editrice Sensibili alle foglie fondata da Renato Curcio, raccoglierà, in un apposito volume del Progetto Memoria, Le torture affiorate, alcune testimonianze di ex lottarmatisti sottoposti a tortura dopo l’arresto.
Anche Mario Moretti, nel libro Una storia italiana, aveva raccontato che Maurizio Iannelli, arrestato a Roma alla fine del 1980 mentre stava rubando un’auto che sarebbe dovuta servire per il sequestro D’Urso, gli aveva detto in carcere di essersi dovuto buttare contro una finestra della Questura per rompere il vetro e far sanguinare entrambi i polsi per un ricovero di urgenza che lo sottraesse alle pesanti torture cui era sottoposto da ore, affinché rivelasse “il covo romano dove abitava Moretti”.
Si scoprirà così che, oltre a quelli citati, furono numerosi i nominativi dei militanti che hanno dichiarato di essere stati “torturati” (evidentemente c’è anche chi non lo ha detto…) e tra essi Luciano Farina, Nazareno Mantovani, Francesco Emilio Giordano, Fernando Cesaroni, Vittorio Bolognese, Gianfranco Fornoni, Armando Lanza, Ennio Di Rocco, Stefano Petrella, Anna Maria Sudati, Alberta Biliato, Roberto Vezzà, Giovanni Di Biase, Annarita Marino, Lino Vai, Giustino Cortiana, Daniele Pifano, Arrigo Cavallina, Luciano Nieri, Giorgio Benfenati, Aldo Giommi, Federico Ceccantini, Adriano Roccazzella più altri ancora.
Però è stato necessario attendere che l’ex commissario Salvatore Genova decidesse di “vuotare il sacco” in un’intervista rilasciata al Secolo XIX e quindi la successiva uscita del citato libro di Rao, perché anche la nostrana televisione pubblica si occupasse del caso con una puntata di Chi l’ha visto su Rai 3, dove già compariva una lunga intervista a Enrico Triaca che interviene più volte nella serie su SKY.
E così pure ci sono voluti anni per sapere che quel famigerato “prof De Tormentis” era l’alto funzionario dell’UCIGOS Nicola Ciocia, che dopo essersi occupato della colonna napoletana dei NAP compariva proprio vicino al ministro Cossiga nelle immagini scattate in via Caetani, il giorno del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro, e appurare che lo stesso, dopo essersi dimesso dalla Polizia, si era iscritto all’albo degli avvocati di Napoli, dove ha esercitato la libera professione fino al 2011.
Per tutte quelle torture nessuno è stato dichiarato responsabile, mentre Cesare Di Lenardo si trova tuttora in carcere senza avere mai usufruito di neppure un giorno di permesso dal gennaio del 1982, e grazie anche al paziente lavoro dell’allora giornalista di Liberazione, Paolo Persichetti, che compare più volte nella serie SKY unitamente all’ex BR Francesco Piccioni, nel 2012 era stata presentata un’interpellanza parlamentare dall’Onorevole Rita Bernardini del Partito Radicale, ossia di quel partito che ai tempi si era sentito rispondere dall’allora sdegnato ministro Rognoni, Sciascia in primis, che mai nessuno in Italia tra le forze dell’ordine aveva usato metodi illegali.
Interpellanza che non portò a risultato alcuno, però in compenso in quello stesso anno, 2012, la Polizia di Stato scelse per dirigere la nuova “Scuola di formazione per la tutela dell’ordine pubblico” che avrebbe dovuto dare una risposta forte alla mattanza del G8 di Genova, il prefetto Oscar Fioriolli, proprio colui che sottopose a tortura Elisabetta Arcangeli («Li sta interrogando Fioriolli. Il nostro capo, Improta, segue tutto da vicino. La ragazza è legata, nuda, la maltrattano, le tirano i capezzoli con una pinza, le infilano un manganello nella vagina» cfr. “Ex Commissario Digos Salvatore Genova” su l’Espresso del 6 aprile 2012), fino a quando, nel gennaio dell’anno dopo Oscar Fioriolli verrà arrestato per sospetta corruzione in appalti pubblici.
Perfetta ma non troppo, insomma quella liberazione del Generale NATO, ma chissà mai se le “anime belle” guarderanno la serie su SKY per poi magari definire, come ha fatto la giornalista di Repubblica, “una vicenda ancora controversa”, quanto invece non è controverso affatto perché si sa benissimo da tempo cosa successe 42 anni fa anche se lo si era sempre fino ad oggi tenuto rigorosamente nascosto, tanto che sono certo che in ben pochi lo sanno.
La quarta e ultima puntata è prevista per il 29 giugno, e le prime tre sono ancora visibili.
* da Facebook
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