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Working class hero?

Circa un mese dopo la pubblicazione di “John Lennon/Plastic Ono Band”, il primo album pubblicato dopo lo scioglimento dei Beatles, John Lennon e Yoko Ono rilasciarono un’intervista a Tariq Ali e Robin Blackburn, due giornalisti di Red Mole, un periodico britannico che uscì dal 1970 al 1973.

La conversazione a quattro venne pubblicata nel numero n. 5 del 22 marzo 1971. Gli argomenti di discussione includevano l’infanzia del musicista, le tre diverse versioni della canzone Revolution, la terapia Primal Scream di Arthur Janov, la risposta dei Beatles alle domande della stampa sulla guerra del Vietnam e la canzone di John My Mummy’s Dead.

Il giorno dopo l’intervista di con Ali e Blackburn, il 22 gennaio, Lennon compose la sua canzone Power To The People, che venne poi pubblicata come singolo a marzo. L’intervista venne in seguito ristampata in un libro di Tariq Ali del 2005, intitolato Streetfighting Years”.

Red Mole era un organo dell’IMG (International Marxist Group), un’associazione di stampo trozkista attiva nel Regno Unito dal 1968 al 1982 ed espressione, all’inizio, della Quarta Internazionale.

Il gruppo veicolava le proprie istanze attraverso una serie di pubblicazioni, la prima delle quali, in ordine cronologico, fu The Black Dwarf, che vide la luce nel 1968 ed era diretta proprio da Tariq Ali, noto per essere, a Londra, uno dei più ferventi attivisti contro il conflitto vietnamita.

Dalle quelle pagine furono lanciate numerose campagne a favore dei movimenti antagonisti e rivoluzionari che avevano luogo in quegli anni in vari stati, tra cui Cecoslovacchia, Messico e Bolivia, oltre che di varie cause della sinistra radicale. John Lennon entrò subito nel numero dei simpatizzanti del periodico.

Due anni dopo, The Black Dwarf chiuse i battenti a causa di divergenze di opinione all’interno nella redazione e venne soppiantata dal quindicinale Red Mole, che si autodefinì come “rivoluzionario e internazionalista”.

Il periodico si schierò apertamente a favore dell’IRA (Irish Republican Army) e delle sue attività, senza condannare l’uso della violenza da parte dei suoi aderenti. Lo stesso John Lennon venne ritratto dal fotografo Rowland Sherman, durante una manifestazione a sostegno del magazine underground Oz, con in mano una copia di Red Mole con il riferimento all’IRA in copertina.

Nel maggio 1973, la rivista fu sostituita dal settimanale Red Weekly che a sua volta, nel 1977 divenne Socialist Challenge. Nel frattempo l’IMG, che aveva assunto il nome di Socialist League, confluì nel partito laburista, attestandosi pertanto su posizioni più moderate rispetto a quelle di partenza.

Ma tornando alla lunga intervista di Ali e Blackburn a Lennon e Ono, essa è considerata come una delle occasioni in cui il musicista si allineò più apertamente con posizioni radicali, che lo portarono poi, dopo il trasferimento negli USA che ebbe luogo nell’autunno di quell’anno, a realizzare un album esplicitamente politicizzato e militante come Some Time in New York City”.

Ali inizia chiedendo a John il perché della sua esplicita volontà di schierarsi a sinistra. Lennon risponde che, provenendo da un background operaio (dichiarazione opinabile, perché egli aveva trascorso buona parte della propria infanzia e adolescenza nella bella casa middle-class di Mendips con gli zii Mimi e George), era cresciuto detestando la polizia e considerando l’esercito “come un’entità che porta via le persone e le lascia morire da qualche parte”.

Il songwriter afferma di aver sempre avuto una coscienza di classe, di essersi opposto al sistema fin da bambino, quando disegnava vignette satiriche, e di aver esplicitato questa sua vena antagonista anche nei suoi libri nonsense.

Gli anni trascorsi con i Beatles, tuttavia, lo avevano parzialmente distolto da queste posizioni. La fama raggiunta dal gruppo impediva infatti ai componenti di esprimere liberamente le proprie idee, e quando essi si pronunciarono contro la guerra del Vietnam ciò fu considerato un assunto radicale.

In realtà – continua il musicista – la prima volta che egli uscì dal ruolo imposto dall’essere membro della band fu quando dichiarò che i Beatles erano “più famosi di Gesù”. Il senso di una canzone come Working Class Hero, a detta di John, sta nel fatto che lo show business, e l’establishment in generale, ‘concedono’ alle rockstar di esporsi, ma è solo un ‘contentino’ che viene loro dato per mostrare alle masse una parvenza di libertà di espressione.

Lennon non manca di evidenziare come nella versione di Revolution contenuta nel “White Album egli avesse aggiunto “in” all’affermazione “you can count me out” (riferita alle tendenze più violente nate in seno al movimento giovanile) per dichiarare la propria volontà di lasciarsi coinvolgere anche da fenomeni più estremi.

Revolution 9, invece, “era solo astratta … pensavo di realizzare con il suono un dipinto della rivoluzione, ma ho commesso un errore”, dichiara il musicista: pur essendo un brano che rompeva gli schemi della forma-canzone, di fatto era “anti-rivoluzionario”. Aggiunge: “Come membro della classe operaia sono sempre stato interessato alla Russia e alla Cina e a tutto ciò che riguardava la classe operaia, anche se stavo giocando al gioco capitalista”.

John e Yoko ritratti dal fotografo Rowland Sherman durante una protesta contro il giudice Michael Argyle, che aveva condannato la rivista underground OZ per oscenità (Agosto 1971)

La lunga conversazione tocca numerosi altri punti: la terapia dell’“urlo primordiale” dello psichiatra Arthur Janov alla quale John si era sottoposto, il ruolo repressivo della famiglia, la differenza, in termini politici, tra la scena rock americana e quella inglese.

A proposito della tecnica Primal Scream Lennon, convinto della sua efficacia, commenta: “Tutti noi, crescendo, abbiamo fatto i conti con il troppo dolore. Anche se lo reprimiamo, è ancora lì. Il dolore peggiore è quello di non essere desiderati, di rendersi conto che i tuoi genitori non hanno bisogno di te nel modo in cui tu hai bisogno di loro.

Quando ero bambino ho vissuto momenti in cui non volevo vedere la bruttezza, non volevo vedere che non ero voluto. Questa mancanza d’amore è entrata nei miei occhi e nella mia mentee conclude: “L’arte è solo un modo per esprimere il dolore. Voglio dire, la ragione per cui Yoko realizza opere così estreme è legata al tipo di dolore che anche lei ha dovuto affrontare”.

Nella seconda parte dell’intervista la stessa Yoko viene chiamata in causa. Blackburn suggerisce che il lavoro d’avanguardia di Ono sembrerebbe voler dimostrare che l’arte deve uscire dalle gallerie per confrontarsi con la vita quotidiana, e l’artista conferma che il suo intento è quello di invitare il pubblico a liberarsi dall’oppressione di cui è vittima, dando libero corso alla propria creatività individuale: “Ci sono due tipi di persona al mondo: coloro che sono sicuri di sé perché sanno di avere l’abilità di poter creare, e quelli che invece che non credono in se stessi perché sono stati demotivati, in quanto è stato detto loro che non possiedono la creatività, ma devono soltanto prendere ordini. L’Establishment predilige le persone che non sanno prendersi le proprie responsabilità e non hanno rispetto di sé” puntualizza Yoko.

Questo discorso legato all’arte viene accostato alla necessità della presa di coscienza da parte della classe operaia: i lavoratori dovrebbero tutti diventare “working class heroes”, propone il giornalista.

E John osserva: Sembra che tutte le rivoluzioni finiscano con il culto della personalità – anche i cinesi sembrano aver bisogno di una ‘figura paterna’. Mi aspetto che questo accada anche a Cuba, con il Che e Fidel. Nel comunismo in stile occidentale dovremmo creare un’immagine dei lavoratori che prendano se stessi come punto di riferimento”.

Dopo alcune considerazioni sulla politica britannica e sulla mancanza della libertà di espressione all’interno dell’industria discografica, John ipotizza la necessità di una collaborazione tra operai e studenti per operare cambiamenti concreti nella società: “Mi sembra che gli studenti siano ora abbastanza ‘svegli’ per cercare di risvegliare i loro fratelli lavoratori… Vorrei incitare le persone a rompere gli schemi, a essere disobbedienti a scuola… a continuare a insultare l’autorità“.

Il discorso prosegue citando il conflitto in Vietnam e la repressione delle ribellioni in Irlanda, finché Yoko non evidenzia l’importanza della comunicazione efficace e della diffusione di una cultura di pace: “Non dobbiamo essere tradizionali nel modo in cui comunichiamo con le persone, specialmente con l’establishment. Dovremmo sorprendere le persone dicendo cose nuove in un modo completamente inedito… la nuova musica ha mostrato che le cose potevano essere trasformate da nuovi canali di comunicazione… forse possiamo fare una rivoluzione senza violenza“.

John, però, non è d’accordo: “Non si può prendere il potere senza lottare” e aggiunge: “Se prendessimo il controllo della Gran Bretagna, allora avremmo il compito di ‘ripulire’ la borghesia e di mantenere la gente in uno stato mentale rivoluzionario”.

Dopo aver preso in considerazione, sia pur brevemente, la politica di Mao e Krusciov, viene ribadita dai diversi interlocutori l’importanza dell’emancipazione femminile: “Le donne sono molto importanti, non possiamo avere una rivoluzione che non coinvolga e liberi le donne… Mi ci è voluto molto tempo per rendermi conto che la mia mascolinità stava tagliando fuori alcune ambiti per Yoko”, ammette il musicista.

E prosegue: “Yoko aveva dovuto farsi strada attraverso un mondo maschile – il mondo dell’arte è completamente dominato dagli uomini – quindi era piena di zelo rivoluzionario quando ci siamo incontrati. Non c’è mai stato alcun dubbio a riguardo: dovevamo avere una relazione 50-50 o il nostro rapporto non sarebbe stato possibile. Lei ha scritto un articolo sulle donne più di due anni fa in cui ha affermato: ‘La donna è il negro del mondo’.

E Woman Is The Nigger of The World diverrà uno dei brani di punta del futuro album “Some Time In New York City”: ancora una volta, dunque, come nel caso di Imagine, è la consorte a suggerire a Lennon parole, frasi e immagini che resteranno nella storia della canzone.

Quanto a My Mummy’s Dead, uno dei brani più emotivi e sentiti di “Plastic Ono Band”, John riferisce che esso, stilisticamente parlando, è stato ispirato da una poesia Haiku.

All’ultima domanda di Ali “Come pensi che possiamo distruggere il sistema capitalista qui in Gran Bretagna, John?”, l’ex Beatle risponde senza mezze misure: “Penso solo rendendo i lavoratori consapevoli della posizione davvero infelice in cui si trovano, infrangendo il ‘sogno’ di cui sono circondati… Hanno automobili e TV e non vogliono pensare che ci sia altro nella vita. Sono pronti a lasciare che siano i padroni a gestirli, a vedere i loro figli repressi a scuola. Stanno sognando il sogno di qualcun altro, non è nemmeno il loro.

Dovrebbero rendersi conto che i neri e gli irlandesi vengono vessati e che loro saranno i prossimi. Non appena le masse inizieranno a essere consapevoli di tutto ciò, possiamo davvero iniziare a fare qualcosa e i lavoratori potranno iniziare a prendere il sopravvento. Come diceva Marx: ‘A ciascuno secondo il suo bisogno’.

Particolarmente significative sono le foto che accompagnano l’intervista, nelle quali John e Yoko indossano magliette della stessa rivista Red Mole e caschi dell’associazione giapponese Zengakuren  (Federazione giapponese dell’autonomia studentesca), un gruppo di studenti marxisti giapponesi che si ribellarono contro la guerra in Corea e si opposero all’utilizzo delle basi statunitensi in Giappone per portare avanti la guerra del Vietnam.

Originariamente un piccolo gruppo, la loro influenza si diffuse quando essi condussero le proteste contro quest’ultimo conflitto, al punto che qualsiasi massiccia manifestazione contro la guerra in Giappone venne in seguito chiamata “Zengakuren”. Durante le dimostrazioni, i partecipanti indossavano caschi e brandivano lunghi pali di legno chiamati “bastoni della violenza”.

Cantando slogan rivoluzionari, essi marciavano per le strade in modo militaresco e si scontravano con la polizia. Le loro marce avevano l’aspetto e l’atmosfera delle antiche rivolte contadine giapponesi, e furono John e Yoko, indossando i loro caschi, a portare quella ‘fetta di vita’ dissidente dall’Estremo Oriente all’attenzione dell’Occidente.

È interessante notare che il gruppo militante giapponese non fu neppure menzionato nell’intervista, ma le foto dei due fecero il giro del mondo. Una immagine di John che indossa il tipico casco bianco, con il pugno alzato, venne poi utilizzata per la copertina di diverse edizioni del singolo di Power to the People.

Dopo alcuni anni, in particolare durante il suo momentaneo allontanamento dalla scena musicale in seguito alla nascita del figlio Sean, Lennon voltò le spalle alla politica della sinistra radicale, ed è probabile che considerasse le proprie simpatie per Zengakuren e Red Mole come significativi errori di valutazione.

La stessa Power to the People fu da lui retrospettivamente definita ‘imbarazzante’. John avrebbe poi dichiarato in una sua intervista a Newsweek nel 1980: “Quel radicalismo era falso, in realtà, perché era dovuto al mio senso di colpa. Mi ero sempre sentito in colpa per aver fatto soldi, quindi dovevo darli via o perderli. Non voglio dire che fossi un ipocrita: quando credo in qualcosa, ci credo fino in fondo. Ma, essendo un camaleonte, sono portato a diventare simile a chi mi sta vicino“.

Qualunque sia la valutazione che si voglia dare della fase più ‘politica’ di Lennon, resta il fatto che il suo apporto al movimento pacifista e ad alcune cause, come quella dell’emancipazione femminile, della questione irlandese, dei diritti dei neri, non può essere liquidata come un ‘errore di valutazione’.

Alcune campagne da lui realizzate con Yoko e l’esposizione mediatica dei due, al di là del valore artistico di alcuni brani che oggi possono apparire datati, ebbero sicuramente un impatto significativo sul panorama culturale (e controculturale) internazionale degli anni Settanta.

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