Ci ha prematuramente lasciati il 25 aprile scorso, dopo una lunga malattia, una delle voci più interessanti della cinematografia francese: Lauren Cantet.
Considerato il Ken Loach d’oltralpe, era autore di un cinema di evidente ascendenza politica, permeato di conflitti sociali, etnici, di classe.
“Risorse umane” e “A tempo pieno” (due pellicole che abbiamo proiettato al Civico 7 Liberato, durante il nostro cineforum dedicato ai temi del lavoro) e ancora “La Classe”, “Verso il sud”, “Ragazze cattive”, “Ritorno a L’Avana”, resteranno punti di riferimento imprescindibili per quella cinematografia europea d’impegno sempre più rara, ma che sa farsi riflesso analitico ed emotivo della realtà che ci circonda.
Con le sue dinamiche sociali, economiche, relazionali, sessuali.
Capace di scavare a fondo i meccanismi e i rapporti di produzione, razziali, di classe e di genere, facendone emergere le logiche stritolanti e psicologicamente più aggressive e asfissianti, Cantet ha espresso nei suoi film una critica radicale del sistema capitalista a trazione neoliberista la cui pervasività ha mutato geneticamente il panorama umano e la quotidianità emotiva che lo attraversa, fin dentro i più intimi risvolti pulsionali e desideranti.
Connotato da uno sguardo distaccato e disilluso, acuto e meticoloso nell’indagine Cantet non indulgeva in facili e vacue speranze, pur lasciando socchiusa la porta di un cambiamento di rotta individuale e sociale.
Una voce importante quella di Laurent che certo ci mancherà.
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Enrico Bolis
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