Di fronte al continuo genocidio dei palestinesi a Gaza e in Cisgiordania, la macchina della propaganda israeliana (hasbara) sta andando a gonfie vele. Non solo domina i media borghesi dell’Occidente, ma cerca anche di infiltrarsi nella sinistra, nelle sottoculture e in altri ambienti del “dissenso” culturale. Quanto emerge da alcune pagine social ricorda il lavoro in stile Terza Posizione già visto nei primi anni di Internet, quando gli utenti del web rimasero sconcertati nello scoprire l’esistenza di movimenti come i nazional-anarchici, “Punk’s Not Red” o il Partito Verde Nazionalsocialista Libertario.
Ad esempio, account Instagram di breve durata, chiamato Zionist Punks, ha condiviso il vecchio brano dei Dead Kennedys, Nazi Punks Fuck Off, insieme a un meme che proclamava: “Io prendo a pugni i nazisti / Anche se indossano una kefiah”. In un post, i curatori della pagina hanno inoltre promesso che, se fossero riusciti “a portare questo account a mille follower”, avrebbero prodotto “spille e distintivi, i cui profitti andranno a sostegno dei soldati dell’IDF”. L’account non ha mai superato i centosessanta follower; tuttavia, l’account Zion Hardcore, dal tema simile, ne vanta oltre tremila.
Esiste anche un gruppo tedesco chiamato Zionist Antifascist Skinheads che, ammesso esista pure nella vita reale, è probabilmente composto da due soli uomini.1 Anche diversi “anarco-sionisti” e “femministe sioniste” stanno diffondendo una propaganda pro-Israele che denigra le vittime dei massacri e saluta come “antifascisti” i responsabili del genocidio.
In questo articolo, voglio esaminare brevemente alcune delle tattiche utilizzate, prima di passare alla Germania – un Paese che è tra i principali sostenitori militari, finanziari e propagandistici di Israele. Lì, molti di coloro che si considerano fuori dal mainstream o addirittura radicali, hanno a lungo aderito all’ideologia dell’establishment imperialista.
Combattere o cooptare?
Un ulteriore tentativo di minare una potenziale resistenza a parte dei giovani di sinistra è rappresentato dall’account Instagram gestito da un “anarchico queer”, che si distingue per l’appropriazione della teoria postcoloniale. Un “manifesto sionista” condiviso sulla pagina descrive Israele come un “movimento di liberazione nazionale della nazione israeliana”, proponendo un “programma a tappe per raggiungere i suoi obiettivi socialisti e decoloniali”. Il programma prevede il “ripristino del carattere indigeno israeliano della terra” e “la priorità e le protezioni concesse alle comunità indigene [cioè agli ebrei israeliani] per il bene della continuità e della sopravvivenza tribale”.
Il manifesto lamenta che, mentre la “ri-territorializzazione” di Israele è stata “sostanzialmente” (ma non del tutto) raggiunta, la sua indipendenza è ostacolata da “elementi reazionari e controrivoluzionari” e da “forze capitalistiche straniere”, intendendo con ciò rispettivamente la resistenza palestinese e i suoi alleati arabi e islamici. Sebbene tutto ciò possa sembrare una parodia della teoria postcoloniale, si tratta probabilmente di un serio tentativo di strumentalizzarla – o almeno di creare confusione intorno ad essa – per porla al servizio del progetto coloniale di Israele.
Da quando il concetto di postcolonialismo e, in particolare, i suoi più recenti spin-off come la “decolonialità” sono diventati quadri di riferimento popolari all’interno di ambienti attivisti anglofoni (ad esempio Black Lives Matter), hanno occasionalmente contribuito a dirigere la loro attenzione critica verso la Palestina. Tali correnti di pensiero sono state quindi prese di mira dai sionisti, in quanto rappresentano un’influenza da respingere a tutti costi.
Il partito di estrema destra Alternativa per la Germania, ad esempio, ha presentato al Parlamento tedesco una mozione che condanna la teoria postcoloniale come “antisemita”.2 L’aspetto innovativo delle tattiche messe in campo dall’“anarchico queer” consiste invece nel tentativo di cooptare, invece di denunciare, il postcolonialismo e, quindi, di usarlo contro i colonizzati.3
Senza dubbio, sfrutta le debolezze intrinseche di queste teorie, come la loro epistemologia basata sul punto di vista, che in ultima analisi nega l’esistenza di una realtà oggettiva. Questa visione – che si ritrova anche nell’“intersezionalità” – suggerisce che solo i membri di un gruppo specifico possono comprendere e definire la propria oppressione.4 Se è così, si chiedono non a torto i sionisti, chi sono i gentili per sostenere che gli ebrei israeliani non siano in realtà un gruppo oppresso che difende i propri diritti indigeni?
Safe spaces
Anche in passato, si erano già verificati dirottamenti di questo tipo. Circa un decennio fa, all’interno della sinistra anglofona è emerso l’argomento dei cosiddetti safe spaces. Nato dalla cultura LGBT, il termine si riferisce a uno spazio – ad esempio un campus universitario – destinato a essere libero da pregiudizi, conflitti, critiche o azioni, idee o conversazioni potenzialmente minacciose. Sebbene alcuni abbiano messo in guardia fin dall’inizio sul fatto che sarebbe stato usato per soffocare la libertà di parola e le opinioni politiche divergenti, il concetto è diventato enormemente popolare, soprattutto nell’ambito della sinistra studentesca; e dal 2015 le università britanniche hanno adottato sempre più spesso politiche di safe spaces.
L’anno successivo è stata lanciata una caccia alle streghe senza precedenti contro i sostenitori del nuovo leader di sinistra del Partito Laburista, Jeremy Corbyn, generalmente solidale con la Palestina, e contro la sinistra antimperialista in generale. Nello stesso periodo, il concetto di safe spaces è stato strumentalizzato da gruppi di pressione sionisti, come l’Unione degli Studenti Ebrei (UJS), strettamente legata a Israele, e il Movimento Laburista Ebraico (JLM). Nei rispettivi contesti, tali raggruppamenti hanno tentato di zittire qualsiasi critica anti-israeliana, con il pretesto che fa sentire gli ebrei “non sicuri”.
I docenti universitari sono stati sospesi e migliaia di persone di sinistra sono state espulse dal Partito Laburista, aiutate da una massiccia campagna diffamatoria dei media che ruotava intorno alla nozione di un fiorente “antisemitismo di sinistra”. Sostenendo il concetto di safe spaces, la sinistra ha di fatto consegnato ai suoi nemici le stesse armi usate contro di essa su un piatto d’argento.
Senza dubbio, alcuni dei bizzarri account social menzionati in precedenza potrebbero essere creati dall’esercito di disinformazione web di Israele, il quale – godendo di ingenti finanziamenti – fa passare per dilettanti le famigerate troll farms russe. Tuttavia, esiste un Paese in cui delle prese di posizione atlantiste, filo-imperialiste e filo-sioniste hanno da tempo preso piede nella sinistra reale, così come in varie sottoculture e controculture, a dispetto dell’immagine anticonformista delle stesse.
In Germania, una presunta campagna popolare, un apparente spazio politico radicale o un locale punk hardcore possono rivelarsi, dopo un’attenta indagine, ambiti connessi a fondazioni “antifasciste” sostenute dallo Stato, a gruppi di pressione sionisti, o, nel caso più estremo, a iniziative di reclutamento dell’IDF. Come si è arrivati a tutto questo?
Gli ‘antitedeschi’
Il mutamento è iniziato con l’eccessiva fissazione della sinistra per l’antifascismo a scapito di tutte le altre preoccupazioni, motivata dal timore che la Germania si trasformasse in un “Quarto Reich” dopo la riunificazione. Negli anni Novanta, dall’ultra-sinistra emerse un nuovo movimento che avrebbe cambiato in modo permanente l’intera sinistra tedesca: i cosiddetti “antitedeschi” (antideutsch).
Influenzati dalla Scuola di Francoforte e dalla teoria dell’antisemitismo pseudo-marxista di Moishe Postone, hanno gradualmente rivisto la posizione tradizionale della sinistra nei confronti di Israele e degli Stati Uniti, finendo per inquadrare entrambi come entità “antifasciste”.
Ben presto, abbandonarono le loro radici radicali e si divisero in un’ala liberale (“sinistra antitedesca”) e in un’ala conservatrice (“destra antitedesca”), ma mantennero in molti casi un impegno verbale nei confronti del “comunismo”, sfidando la restante sinistra anti-imperialista con slogan provocatori. Il sostegno “antitedesco” alla “guerra al terrorismo” americana, ad esempio, è stato espresso con grafiche che ritraevano George W. Bush come un comunista che combatte per la “civiltà” e contro la barbarie.
L’avanzata degli “antitedeschi” nelle ambienti di sinistra ha gradualmente portato a una situazione in cui le posizioni pro-USA e pro-Israele hanno guadagnato l’egemonia. Oggi, queste idee sono diffuse in tutta la sinistra tedesca, dal movimento antifa fino al travagliato partito della sinistra, Die Linke. Allo stesso tempo, però, gli attivisti “antitedeschi” occupano posizioni in certe istituzioni statali, nelle fondazioni, nelle ONG e nella stampa borghese.5
L’estetica e gli slogan iconoclasti degli “antitedeschi”, legati al loro ostentatamente intransigente antifascismo, hanno fatto presa anche su ambienti più vagamente politicizzati, come le scene punk e hardcore. Negli ultimi due decenni, l’ideologia “antitedesca” si è costantemente infiltrata in questo ambiente, che si è dimostrato poco preparato a resistere alla sua trasformazione in un parco giochi hipster fondamentalmente allineato con l’ideologia dell’establishment.
La più grande pubblicazione punk tedesca, la storica Ox Fanzine – a dispetto del nome, un mensile professionale – ha da tempo aggiunto la bandiera ucraina alla sua testata online per esprimere la propria conformità agli obiettivi geopolitici occidentali.
Il veterano gruppo punk anarchico Slime ha abbandonato la sua vecchia canzone antimperialista “Yankees raus” [Fuori gli americani] dal suo set per le accuse di “antiamericanismo”. Più recentemente, la band ha messo all’asta una bandiera per sostenere la Fondazione Amadeu Antonio – un’istituzione “antifascista” (e rigorosamente filo-sionista) legata al governo il cui consiglio di amministrazione include Stephan Kramer, un membro di alto rango dei servizi segreti interni tedeschi. Ad Amburgo, un paio di punk, tra cui un membro della band Arrested Denial, hanno disturbato da ubriachi un campo di solidarietà con la Palestina.
Intanto a Berlino, nel club giovanile anarchico Kirche von Unten, gli eventi del 7 ottobre 2023 e il successivo attacco militare di Israele hanno ispirato la nascita della campagna di solidarietà pro-Israele “Punks Against Antisemitism”. Gli obiettivi della campagna includono la partecipazione dei punk berlinesi a marce contro “l’antisemitismo nei confronti di Israele”,6 come è avvenuto il 5 ottobre 2024, quando il gruppo, insieme a diverse organizzazioni antifa, ha co-organizzato una manifestazione contro una presunta “internazionale antisemita”, tenutasi “in risposta alla crescita dell’antisemitismo dopo il 7 ottobre”.
Quest’ultima frase fa in parte riferimento alle proteste di solidarietà con la Palestina che si sono tenute a Berlino, che negli ultimi mesi sono state vietate, oppure sono state oggetto di un’aggressiva campagna diffamatoria da parte dei media, nonché della pesante repressione da parte della polizia e con un numero sproporzionato di arresti tra gli ebrei antisionisti. Marce come quella co-organizzata da Punks Against Antisemitism e Berlin Antifa non subiscono alcuna repressione e sono accolte con favore dall’establishment tedesco.
‘Artists Against Antisemitism’
A volte, è difficile capire se una campagna o un’organizzazione esiste veramente, o se si esaurisce nel proprio nome. Ad esempio, è recentemente spuntato fuori un improvvisato Concerned Reggae Collective, che ha a quanto pare l’unico scopo di impedire all’artista reggae e dancehall giamaicano Kabaka Pyramid di esibirsi in Germania. Una lettera di sette pagine intitolata “Appello urgente contro l’antisemitismo e l’incitamento all’odio” è stata inviata ai locali di Dortmund, Monaco e Berlino, mettendo in guardia contro “l’antisemitismo nei confronti di Israele” di Kabaka. Le prove fornite – fondamentalmente un dossier di schermate di post sui social media – includevano, tra l’altro, immagini di ebrei ortodossi che protestavano contro Israele, che l’“antisemita” Kabaka aveva condiviso con approvazione. Il locale di Monaco di Baviera ha annullato il concerto e alcuni club austriaci hanno preventivamente seguito il suo esempio.
Oltre al nebuloso Concerned Reggae Collective (secondo la lettera, i suoi membri “preferiscono restare anonimi per proteggersi da potenziali minacce”), l’appello ha raccolto firme anche da Artists Against Antisemitism (su questa iniziativa si dirà più avanti), da Claudia Roth del Partito Verde – attualmente in carica come Commissario del Governo Federale per la Cultura e i Media – e da Samuel Salzborn, un attivista “antitedesco” della vecchia guardia negli anni ‘90 che ora ricopre la carica di Commissario per l’Antisemitismo dello Stato di Berlino.
Su scala molto più ampia, praticamente tutti i personaggi di spicco della scena musicale indipendente tedesca – così come del mondo dell’arte, della letteratura, della poesia, del cinema indipendente e del giornalismo musicale – hanno firmato la dichiarazione fondante della campagna Artists Against Antisemitism. Un estratto della dichiarazione recita: “Non vogliamo stare a guardare mentre l’antisemitismo, insieme al suo gemello altrettanto pericoloso, l’antisionismo, diventa più presente e più forte (…) Le campagne internazionali come il BDS (…) non sono organizzazioni di pace (…) Il loro appello per una Palestina ‘dal fiume al mare’ porta con sé un desiderio non celato di distruzione degli ebrei che vivono lì”.
Finora, nessun artista tedesco, che si tratti di registi, romanzieri, rapper di successo o oscuri gruppi crust-punk, si è espresso pubblicamente contro questa dichiarazione o ha rilasciato una contro-dichiarazione, a prescindere da quanto sia “critica” o “radicale” la sua immagine. Come mi dice Susann Witt-Stahl, caporedattore della rivista culturale marxista Melodie & Rhythmus: “Gli artisti che non sostengono la campagna tengono la bocca chiusa perché temono di essere stigmatizzati come ‘antisemiti’. La campagna è sostenuta dalla Fondazione Amadeu Antonio, finanziata principalmente dal governo tedesco”.
La band punk emergente Pogendroblem è una testimonianza lampante del successo che gli “antitedeschi” hanno avuto nel creare un ambiente culturale popolare in cui il sostegno agli obiettivi geopolitici occidentali è dato per scontato dai giovani che si considerano antifascisti o addirittura parte della sinistra radicale. Nei loro video, i Pogendroblem indossano talvolta magliette di Marx e i testi del gruppo criticano esplicitamente il lavoro salariato. La band ha persino prodotto un breve documentario in cui intervista amici della scena punk DIY sul tema dell’“utopia”, intesa dalla maggior parte degli intervistati come una società non di genere, non gerarchica e libera dall’oppressione. Allo stesso tempo, i Pogendroblem hanno firmato la dichiarazione Artists Against Antisemitism e partecipano a eventi di propaganda pro-Israele.
Questo tipo di schizofrenia non è rara in Germania. Molti tedeschi della classe media che si considerano di sinistra hanno un rapporto molto platonico con il “comunismo”: possono leggere Marx e sognare una società senza dominio, ma la loro pratica si limita a “opporsi all’antisemitismo” e a difendere la “civiltà” e la “democrazia”.7 Nell’universo subculturale di Pogendroblem, ciò si traduce nell’appoggiare l’“autogestione” e varie politiche antidiscriminatorie all’interno della scena punk DIY, mentre sostengono attivamente – invece di mettere in discussione – le relazioni globali di potere, sfruttamento e sottomissione che permettono loro di coltivare i propri hobby nel Paese più ricco dell’Unione Europea.
Sebbene non sia necessariamente scontato che tali scene siano meno suscettibili di cooptazione nei Paesi semiperiferici, in Italia appaiono invece molto sane per quanto riguarda la questione della Palestina. Nel luglio 2024, ad esempio, gruppi Oi! come Klasse Kriminale, Dalton e Sempre Peggio si sono esibiti in un festival di beneficenza per l’invio di un’ambulanza a Gaza a sostegno della popolazione – evento culminante dell’iniziativa Oi! Fatti un’ambulanza.
In occasione di un concerto a luglio, la Banda Bassotti ha raccolto 6500 euro per beni di prima necessità come cibo, acqua potabile e medicine per la popolazione di Gaza. La band street punk Azione Diretta ha co-prodotto delle magliette insieme alle Inguastite FC, una squadra popolare di calcio femminile di Perugia, il cui ricavato andrà a favore della popolazione di Gaza.8 Balla & Difendi, un collettivo bolognese con collaboratori in altre città, radicato principalmente nelle scene Oi!, reggae, e ska, ha sempre sostenuto la causa palestinese sin dalla prima Intifada e continua a farlo tuttora – anche attraverso concerti dedicati, programmi radiofonici e altro. Ci sono stati diversi altri esempi.
In Germania, in città come Berlino, sono tendenzialmente gli espatriati e i migranti, e non i tedeschi autoctoni, a organizzare eventi di solidarietà con la Palestina: persone degli ambienti delle subcultura dell’Europa meridionale, giovani musulmani, persone di sinistra britanniche e americane (soprattutto giovani ebrei antisionisti). F., una tatuatrice skinhead originaria di Roma che ha recentemente co-organizzato una cena di raccolta fondi per la Palestina, mi dice: “Qui a Berlino rischi sempre di essere minacciato dai sionisti e poi di essere visitato a casa dalla polizia”. La collaborazione tra gli “antitedeschi” e la polizia non è una novità. Raramente la negano, e a volte ne sono persino orgogliosi: tutto è permesso nella lotta contro l’“antisemitismo”.
La nostra responsabilità
I membri di dette scene in Italia e in altri Paesi dovrebbero decidere se mantenere legami amichevoli con le loro controparti filo-sioniste in Germania e Austria mentre è in corso un genocidio. I fan italiani hanno davvero voglia di partecipare a This Is Ska o Spirit From The Street, festival musicali “antirazzisti” che hanno apertamente dichiarato la loro solidarietà con Israele già nel 2021, nel bel mezzo di un altro massacro di palestinesi, e hanno paragonato i manifestanti di solidarietà con la Palestina ai neonazisti? Vogliono mantenere l’’unità antifascista’ con i punk, gli skins o gli ultras tedeschi che giustificano il genocidio in corso, rimangono in silenzio per codardia, o si tirano indietro con una “condanna di entrambe le parti allo stesso modo”? Le band italiane vogliono continuare a suonare in locali come il Conne Island di Lipsia, il cui sito web promuoveva il reclutamento di cittadini tedeschi come volontari nelle Forze di Difesa israeliane nell’ambito del programma ‘Sar-Er‘?
In alternativa, nulla impedirebbe le scene italiane di avviare i propri modesti “boicottaggi, disinvestimenti e sanzioni” culturali, ponendo determinate condizioni alle loro controparti in Germania. Come minimo, i locali, le etichette, i promotori di concerti, gli editori, i festival e gli eventi chiaramente associati a politiche filo-sioniste e filo-imperialiste dovrebbero essere boicottati attivamente.
Boicottare attivamente significa, in particolare, denunciare in ogni occasione la loro complicità con il colonialismo e l’omicidio di massa. Se declinate un invito o annullate la vostra partecipazione, utilizzate i social media per comunicare il motivo ai vostri follower! Cancellare un concerto in silenzio non serve a molto.
Bisogna agire con urgenza per smascherare qualsiasi forma di complicità, e fare in modo che il silenzio non rappresenti un’opzione. Dato il carattere internazionale delle scene in questione, tutti coloro che vi partecipano hanno la loro parte di responsabilità.
La Conne Island di Lipsia si lamenta già del fatto che sta diventando sempre più difficile mantenere in piedi la propria attività, visto che sempre più gruppi musicali provenienti dall’estero annullano i concerti nel locale. Facciamo lo stesso con tutti gli altri luoghi filo-sionisti, anche nella speranza che la pressione internazionale incoraggi anche alcuni tedeschi rimasti finora in silenzio a prendere finalmente posizione. Non si tratta solo di una questione di chiarezza politica di base e – è il minimo indispensabile di fronte a un genocidio che si sta svolgendo sotto i nostri occhi.
Di seguito è riportato un elenco di luoghi, promotori e festival associati a politiche pro-Israele. Questo elenco non è esaustivo; ci sono numerosi altri progetti che ospitano gruppi sionisti e rifiutano eventi di solidarietà con la Palestina, rivendicando pubblicamente la propria “neutralità”. A volte è difficile capire se cercano di evitare le polemiche, se si piegano alle pressioni o se sono sostenitori di Israele. Qui ho scelto solo quelli la cui posizione chiaramente filo-sionista ho potuto verificare personalmente. Ringrazio i compagni in Germania per avermi aiutato a compilare la lista.
Amburgo:
-
Rote Flora – 100% “antitedesco” e una sorta di sede centrale del movimento ad Amburgo.
Berlino:
About Blank – Club “antitedesco” che cancella gli artisti a causa del loro sostegno ai
“DJ for Palestine”; si oppone alla “demonizzazione di Israele come elemento centrale dell’antisemitismo di sinistra”, ecc. Tutto questo e altro ancora nelle FAQ del club.
Kirche von Unten KvU – ospita eventi “Punks Against Antisemitism”, si rifiuta di lavorare con gruppi pro-Palestina, è frequentata dalla scena attivista “antitedesca”.
La Casa Hellesdorf – centro giovanile 100% “antitedesco”, ospita eventi contro l’“antisemitismo” postcoloniale, l’“antisemitismo” nel punk, le proteste per la Palestina, l’“antisemitismo” di sinistra, il BDS ecc.
Scharni38/ZGK – Centro sociale al 100% “antitedesco”, organizza “bar di solidarietà” contro le proteste pro-Palestina e simili
Dessau:
‘This Is Ska’ festival – ha firmato la dichiarazione collettiva “We Stand With Israel”
Dresda:
AZ Conni – 100% ‘antitedesco’, bandiera di Israele dipinta sul muro, ha pubblicato una dichiarazione che giustifica l’“autodifesa” di Israele
Greiz:
Siebenhitze Greiz– ospita concerti punk e hardcore, oltre a eventi “antitedeschi” contro la solidarietà con la Palestina
Halle:
VL Ludwigstrasse – ha firmato la dichiarazione collettiva “Stiamo con Israele”; centro sociale 100% “antitedesco” con bandiera di Israele e striscione “Solidarietà con Israele” appeso fuori dalla sede
The Cheese Cake – locale per concerti “antitedesco”‘; ha firmato la dichiarazione collettiva “We Stand With Israel”, riaffermando in seguito la propria “solidarietà con Israele”; invita a “distruggere Hamas con ogni mezzo necessario” e chiede a chiunque sia in disaccordo di non partecipare ai loro concerti
Reil 78 – centro sociale “antitedesco”, sostiene manifestazioni contro il movimento di solidarietà con la Palestina
Leipzig:
Atari – ospita eventi “Punks Against Antisemitism”; due ebrei pro-Palestina che hanno posto domande critiche durante un evento sono stati cacciati e aggrediti da membri della crew fuori dalla sede
B12 – Centro sociale al 100% “antitedesco” e aggressivamente pro-Israele, invita a contro- protestare contro le manifestazioni di solidarietà con la Palestina
Conne Island – il principale quartier generale locale degli “antitedeschi”; promuove concerti punk e hardcore; ha anche promosso il volontariato nelle Forze di Difesa Israeliane attraverso il suo sito web
‘Endless Summer’ – promotori di festival e concerti punk; hanno firmato la dichiarazione collettiva “We Stand With Israel”
Felsenkeller – ha firmato la dichiarazione collettiva “We Stand With Israel” e ha fatto una donazione a un “progetto educativo” israelo-sionista (anche se dal cosiddetto campo della pace)
Magdeburgo:
Factory – ha firmato la dichiarazione collettiva “We Stand With Israel” e ospita eventi “anti- tedeschi
Magdeburgo, Loburgo e altre località:
‘Spirit From The Street’ – ha firmato la dichiarazione collettiva “We Stand With Israel” e ha aggiunto di propria iniziativa che Israele ha il “diritto di difendersi dal terrorismo”, oltre a ripetere che le vittime civili sono dovute al fatto che Hamas usa i suoi stessi cittadini come scudi umani (una frase già usata da Mussolini per giustificare il bombardamento sistematico degli ospedali etiopi nel 1935–6).
1 Il blog Creases Like Knives ha riferito sarcasticamente sugli skinheads sionisti antifascisti: https://creaseslikeknives.wordpress.com/2024/09/08/trash-the-zash-or-when-a-flag-is-victimised/
2 È notevole, anche se non sorprendente, che numerose note a piè di pagina del documento facciano riferimento con approvazione ai giornali di presunta sinistra taz e Jungle World, nonché al sito web Rote Ruhr Uni, tutti portavoce dei cosiddetti “antitedeschi”, sui quali torneremo più avanti. Per quanto riguarda la loro venerazione per Israele, i “fascisti” e gli “antifascisti” tedeschi stanno diventando praticamente indistinguibili.
3 L’ “anarchico queer” non è il solo: un articolo pubblicato dal più importante giornale sionista inglese, il Jewish Chronicle, in un articolo del 23 ottobre 2024 proclama come se fosse una cosa ovvia: “Usiamo le teorie postcoloniali per dimostrare che gli ebrei sono un popolo indigeno”.
4 Anche se alcuni attivisti parlino di intersezionalità in un senso più casuale, intendendo una connessione di lotte diverse, il concetto ha una storia distinta e favorisce un approccio radicalmente soggettivista e antirealista, radicato nella teoria dello standpoint.
5 Un esempio particolarmente eclatante è il quotidiano di “sinistra radicale” Jungle World, molti dei cui giornalisti scrivono allo stesso tempo per giornali borghesi di destra di proprietà della società Axel Springer, come Die Welt e Bild.
6 Israelbezogener Antisemitismus, termine nel discorso ufficiale tedesco di recente coniazione, utilizzato per denunciare praticamente qualsiasi critica a Israele come “tropo antisemita”. Ad esempio, dire che l’IDF uccide i bambini palestinesi significa invocare il “secolare tropo degli ebrei assassini di bambini”; descrivere la propaganda sionista come insincera significa “applicare a Israele la canard degli ebrei intriganti e subdoli”, ecc. Il termine è rapidamente diventato un descrittore di tutta e qualsiasi opposizione a Israele, se contiene un presunto “tropo” o meno.
7 È stupefacente come tanti siti web antifa tedeschi, quando si riferiscono positivamente alla democrazia, intendano la democrazia liberale – non una qualche “vera democrazia”, né la democrazia proletaria, ma la democrazia borghese attualmente esistente in Germania.
8 Inoltre, Azzione Diretta pone apertamente una domanda importante: “Il genocidio in atto in Palestina è sotto gli occhi di tutti. Ci chiediamo come sia possibile che alcune organizzazioni antifasciste europee si schierino con lo Stato di Israele?”.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa
Paolo
In Germania girano troppi acidi e troppa birra e questi sono i risultati.
p. trentotto ( il vostro form non consente numeri) punk
che la scena punk in italia sia così sana è una affermazione che ci lascia parecchio perplessi.
Certo c’è uno zoccolo duro di bands e organizzazioni (avete giustamente citato gli ottimi compagni di balla e difendi) che mantiene la barra dritta e fa quel che può per contenere i tentativi di infiltrazione.
Ma che questi tentavi ci siano, soprattutto nei famigerati ambienti dei cosiddetti “apolitici” (che dagli anni 10 del XXI secolo hanno dilagato) è una cosa innegabile.
Per la palestina fortunatamente si è mantunta ancora una visione oggettiva.
Ma sulla questione ucraina, la penetrazione dei maitre a penser atlantisti è stata profonda e devastante.
Come band possiamo portare in prima persona testimonianza di problemi, discriminazioni e attacchi di cui siamo stati oggetto per il sostegno dato alla causa delle repubbliche popolari del donbass e alla loro lotta antifascista che seguiamo e sosteniamo dal 2014.
Proprio in virtù di questo appoggio, alcuni posti ci sono stati preclusi per suonare, mentre in altri ci è stato chiesto di non portare la bandiera della LPR (per non parlare di quella della RPC) che usualmente esponiamo sul palco durante le nostre esibizioni.
Quindi un pò di lavoro e tanta vigilanza occorrono anche qui in italia
saluti comunisti.
i p38punk
Redazione Contropiano
Beh, è un tedesco quello che scrive… A lui la scena italiana appare migliore di quella tedesca… E a quel che dice non ci vuole neanche molto…
Un saluto a voi…