Noi e Loro, titolo originale “Jouer avec le feu”, è il nuovo film delle sorelle Muriel e Delphine Coulin. Dopo 17 filles, del 2011, e Voir du pays, del 2016, il loro terzo lungometraggio segna una tappa di maturazione artistica, capace di intrecciare il dramma familiare con una profonda analisi sociale dai tragici risvolti politici.
Le molteplici fratture della Francia contemporanea che indaga il film sono narrate attraverso il complesso rapporto, dopo la morte della madre, di un padre con i due figli.
Al centro delle vicende vi è il processo di politicizzazione di uno dei due figli, prima attratto e poi sempre più organico agli ambienti neo-fascisti d’oltralpe fino a diventarne un soldato politico pronto a tutto.
Ispirato al romanzo di Laurent Petitmangin, Quel che deve di notte, tradotto e pubblicato il gennaio dell’anno scorso da Mondadori – titolo originale Ce qu’il faut de nuit (2020) -, il film esplora il processo di radicalizzazione di un giovane attraverso lo sguardo di suo padre, un operaio della società francese dei trasporti SNCF. Ad interpretarlo è un magistrale Vincent Lindon, la cui intensa performance gli è valsa la Coppa Volpi per il Miglior attore alla Mostra del Cinema di Venezia.
L’ascesa dell’estrema destra in Francia e la sua collusione con il Rassemblement National (ex FN) è un tema di scottante attualità che l’informazione indipendente d’oltralpe indaga sistematicamente, anche a causa dei reiterati episodi di aggressioni squadriste di cui sono protagonisti gli ambienti neo-fascisti dell’Esagono: qui, per così dire, la violenza dell’estrema-destra è trasposta sul piano filmico per capirne la genesi e le ragioni.
Il film delle sorelle Coulin affronta questo tema con una narrazione intima, osservando il fenomeno dall’interno in un territorio della Francia “peri-urbana” dove sono evidenti i segni della crisi industriale, in cui un mondo operaio – quello del padre – che sembra resistere a stento, con le sue istanze collettive, al disfacimento della società che lo circonda, e per certi versi lo accerchia minando la relativa tranquillità delle mura domestiche. Attraverso una dinamica familiare, il disagio individuale diventa specchio di una crisi sociale più ampia in una sorta di romanzo di formazione in forma filmica mai scontato e moralista.
Pierre (Vincent Lindon) è un operaio delle ferrovie, un mestiere storicamente sindacalizzato e combattivo, ma le cui garanzie sono sempre più erose dai processi di trasformazione neo-liberisti.
In questo contesto, Pierre – genitore vedovo – cerca di crescere i suoi due figli, Félix (Benjamin Voisin) e Louis (Stefan Crepon), dedicandosi a loro, senza trovare lui stesso un punto d’equilibrio nel mondo di relazioni che aveva fin lì caratterizzato la sua vita: il rapporto con la moglie venuto meno a causa della sua scomparsa e la relazione con una collettività operaia che comunque dà senso alla sua esistenza, ma verso cui ha deciso di disimpegnarsi senza però abbandonarne i valori.
Félix, cerca di affogare i suoi problemi nell’alcol, in un circolo vizioso che lo abbruttisce ed aumenta le sue frustrazioni, ma non rimuove la cruda realtà di un figlio lontano anni luce da lui che sta prendendo una china pericolosa, e su cui non sembra avere alcuna presa qualsiasi strategia intraprenda.
Il film è ambientato a Metz, nel nord-est della Francia, dove Louis si prepara a lasciare presto la città per studiare a Parigi. Félix, soprannominato Fus, invece, cerca di ottenere (con scarsi risultati) un diploma da metalmeccanico, è tanto orgoglioso del percorso di Louis quanto disilluso rispetto al proprio destino. Le relazioni di Fus vengono surrogate con il cameratismo della comunità politica di cui, in maniera sempre più convinta, sposa le idee politiche, ed i codici comportamentali fino alle estreme conseguenze.
Fus come ogni giovane è alla scoperta di se stesso, una ricerca identitaria che lo porterà verso gli ambienti dell’estrema destra, in aperta opposizione ai valori paterni solidaristici e socialisteggianti.
Il film non ‘spettacolarizza’ questa deriva, ma ne mostra lo sviluppo graduale: prima negli spalti dello stadio tra le frange del tifo organizzato egemonizzato dall’estrema destra, poi nelle feste private e negli incontri clandestini di MMA in uno stabilimento industriale dismesso, e soprattutto in strada dove lo scontro non è simulato e dove lo squadrismo può trovare una risposta adeguata.
Pierre che si scontra con il figlio e poi pensa di avere recuperato un rapporto, rimane impotente di fronte alle sue scelte che non giustifica. Nel frattempo, sostiene Louis nella ricerca di una casa a Parigi e continua ad accompagnare Fus allo stadio, nel tentativo di mantenere un legame. Ma ormai il ragazzo ha trovato altrove il suo spazio di appartenenza, la sua comunità che contrappone un “noi” – francesi autoctoni – ad un “loro”: si tratti dell’establishment politico o coloro che l’estrema destra non ritiene francesi.
Le Coulin adottano una regia essenziale e realistica, fondendo finzione e documentario in un racconto dal forte impatto visivo. Alcune scene, girate con iPhone, presentano immagini volutamente sgranate che accrescono il senso di autenticità, immergendo lo spettatore nella narrazione. Altre sequenze sono riprese direttamente a bordo dei treni della SNCF, negli stadi e nei quartieri popolari, sfruttando il formato cinematografico 2.35:1. Questa scelta non solo amplia la composizione visiva, ma valorizza i corpi e i movimenti nelle scene d’azione, esaltandone l’espressività.
Al centro del film spicca l’interpretazione magistrale di Vincent Lindon, uno dei volti più incisivi del cinema francese contemporaneo. Nel 2015, la sua straordinaria prova in La legge del mercato (La Loi du Marché), diretto da Stéphane Brizé, gli è valsa il premio per il Miglior attore al Festival di Cannes.
Nel film, Lindon interpreta un operaio di cinquantun anni che, dopo un lungo periodo di disoccupazione, trova impiego come addetto alla sicurezza in un supermercato. La pellicola racconta con lucidità le difficoltà del mondo del lavoro, le pressioni economiche e morali che gravano sull’individuo oggi, la lotta per preservare la propria dignità in un sistema spesso spietato.
Qualche anno dopo, ripeterà la sua interpretazione magistrale per un altro film di Stephan Brizé con In guerra (2018) che narra una durissima vertenza contro la chiusura di uno stabilimento, e poi nella pellicola che conclude questa sorta di trilogia del regista che indaga la profonda crisi industriale che affronta il paese, Un altro mondo (2021).
Con il suo volto segnato e la sua presenza intensa, Lindon richiama la tradizione degli attori all’ancienne degli anni ’50, quando la classe lavoratrice occupava ancora un posto centrale nella finzione cinematografica. Jouer avec le feu si lega a questo filone di film francese che riflette su cosa resta della coscienza politica della classe operaia e delle dure battaglie anche “familiari” che deve affrontare a causa dell’imbarbarimento della società.
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