“Ma il 7 ottobre… ” quante volte abbiamo sentito queste parole da parte di chi, senza argomenti che abbiano un senso, cerca di opporsi di fronte ad una realtà sempre più difficile da negare: una realtà che vede il popolo palestinese subire un vero e proprio genocidio portato avanti dall’occupazione israeliana.
La strada per Be’er Sheva è un libro da inserire all’interno di quel connubio, fondamentale, costituito da “conoscere e capire”. Non siamo nel 2025, queste 398 pagine riavvolgono il nastro della storia e ci riportano al 1948. Alla costituzione/imposizione dello stato di Israele.
Le potenze occidentali, uscite vincitrici dal 2° conflitto mondiale, si trovano a fare i conti con il dover dare agli ebrei, vittime delle persecuzioni subìte, non tanto un rifugio ma uno stato ebraico vero e proprio. Ciò che avvenne fu una vera e propria di diaspora, con l’espulsione di migliaia di uomini, donne e bambini … che continua tutt’ora. Quella che fu definita: nakba; come se i palestinesi, fossero la causa degli effetti nefasti ricaduti sugli ebrei.
Quanto leggiamo non è niente di nuovo rispetto a ciò che vediamo oggi. Ethel Mannin mettendo al centro la famiglia Mansour, con rapporti familiari riconducibili all’Inghilterra, ci descrive in modo drammatico l’esodo imposto al popolo palestinese, con le truppe occupanti che si fanno sentire “spingendo” un’ incessante ondata di persone che ha perso per strada la solidarietà, elemento importante che caratterizza la società palestinese, la tradizionale ospitalità.
Un esodo, una cacciata, in cui ciò che prevale è solo e soltanto disperazione e ostinata volontà di sopravvivere: una immensa folla che si muove lentamente in una processione gigantesca, apparentemente senza fine, con decine di migliaia di persone che arrancano. Ed oggi questo aspetto si ripresenta di nuovo. Come si ripresentano di nuovo le scene di bambini che hanno perso i genitori e vagano, e vagano ..; ragazze stuprate da militari felici delle proprie gesta, ubriachi di vittoria; occupanti che, volutamente, inquinano le risorse idriche, se queste esistono.
Nonostante quanto i palestinesi subiscono, hanno una determinazione che supera la sofferenza, l’umiliazione collettiva, e fa prevalere la volontà di non accettare di essere annientati, non accettare una ingiustizia mostruosa inflitta ad un popolo innocente. Determinati, anche se consapevoli che “forse non torneremo mai” nonostante abbiano ben presente un diritto inalienabile: il diritto al ritorno; con la cupa incertezza del futuro; lo sguardo perso nel vuoto.
Un libro che ricostruisce pagine di storia: dal massacro perpetuato dagli occupanti a Deir Yassin ai terroristi sionisti della Banda Stern. Dicevamo, poco sopra, della famiglia Mansour, e nella figura di Anton, il figlio, si impersonifica il desiderio di creare un movimento di resistenza: pianificare l’irruzione nei territori occupati. Ma Anton rappresenta anche il modo in cui il popolo palestinese viva le urla delle donne stuprate; delle donne e degli uomini che bevono la propria urina e quella degli altri.
Un libro che pone domande, domande di ieri, ma sicuramente domande di oggi, con l’aspettativa, per dirla alla Pappé, di vedere la fine di Israele, la liberazione della Palestina. Un libro che sfata il luogo comune che sia in corso una guerra di religione, mettendo in evidenza che in Palestina gli ebrei ci sono sempre stati e che non tutti gli ebrei sono sionisti.
C’è un qualcosa che ritorna estremamente di attualità oggi: diritto internazionale, ONU ecc… niente ha validità a parte il fatto che i palestinesi, come ci stanno insegnando, otterranno qualcosa solo grazie a ciò che riescono a mettere in campo. Un libro che unisce, con un filo rosso, passato e presente.
Se la Palestina cesserà di esistere come nome, paese, nazione, non possiamo non dire “Dal fiume al mare …. Fino alla liberazione”, perché la liberazione del popolo palestinese è la nostra liberazione.
Ethel Mannin, La strada per Be’er Sheva. Agenzia Alcatraz, 2025, pp 398, euro 17
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