Altri parlano di contrasti accesi con i generali che ora comandano in Egitto. Sia come sia Suleiman per ora è fuori gioco ma il Consiglio militare supremo non adotta una linea molto diversa da quella che aveva in mente il vice-presidente. Nessuno strappo violento, pochi passi sulla strada della transizione democratica, segnali rassicuranti a Stati uniti e Israele.
Il «comunicato numero 4» diffuso ieri dai vertici delle forze armate ha confermato l’approccio molto prudente, ma anche ambiguo, nella crisi egiziana avuto sin dall’inizio dall’esercito. Il Consiglio militare, composto da 18 membri, lascia «provvisoriamente» in carica il governo nominato da Mubarak per gestire gli affari correnti, assicura una «transizione pacifica», rispetta i trattati esistenti, regionali e internazionali. Una linea che delude e preoccupa le componenti della «rivoluzione egiziana». Dei 18 membri quelli che dettano la «linea» sono 6: il generale e capo di stato maggiore Sami Enan (il leader nascosto del Consiglio), l’ammiraglio Mohammed Manish, il comandante dell’aviazione Reda Hafez, il comandante della regione centrale (Cairo) Hassan Ruwani, il comandante della seconda armata (con base a Ismailiyya) Subhi Sebki e il comandante della terza armata (con base a Suez) Mohammed Igazi.
Non conta molto invece il generale e ministro della difesa Mohammed Tantawi, che pure ufficialmente guida il Consiglio. Sono questi 6 generali che, di fronte all’intransigenza di Mubarak, aggrappato al potere, venerdì hanno scelto di scendere in campo. «Ma non hanno in mente alcuna trasformazione radicale – avverte l’analista Nabil Abdul Fattah – cercano la continuità con parte del passato, anche se sono decisi a realizzare le riforme promesse.
Più di tutto non hanno alcuna intenzione di smantellare una organizzazione del potere che per decenni ha assegnato alle forze armate il ruolo centrale nella vita del paese, anche nell’economia». Con l’avvento di Mubarak al potere, nel 1981, la polizia e i servizi segreti sono gradualmente divenuti i pilastri della sicurezza del regime. All’esercito è rimasto il compito della difesa del territorio nazionale.
L’ex presidente però ha consentito ai generali più influenti di entrare nel ricco business delle forniture militari. «Mubarak ha comprato la fedeltà degli ufficiali di grado più alto autorizzandoli a gestire personalmente l’acquisto di armamenti per le forze armate – spiega l’esperto di questioni militari Wahid Hanna, del Century Foundation – ciò ha permesso ai vertici dell’esercito di gestire commesse per miliardi di dollari. L’acquisto di armi vuol dire anche stringere rapporti con gli Usa che sono allo stesso tempo i principali fornitori dell’esercito egiziano e uno sponsor di importanza centrale attraverso il finanziamento annuale da 1,3 miliardi di dollari. I capi militari egiziani mantengono relazioni strettissime con gli alti comandi statunitensi e compiono frequenti viaggi negli Usa.
Il capo di stato maggiore Sami Enan vanta rapporti di amicizia con l’ammiraglio Mike Mullen, capo degli stati maggiori statunitensi, e gode di ottima reputazione a Washington. Ecco perchè la Casa bianca pur avendo perduto Omar Suleiman il cavallo sul quale aveva puntato per il dopo-Mubarak, (per ora) è tranquilla sugli esiti della crisi egiziana.
da il manifesto 13 febbraio
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