La giornata era iniziata con nuovi appelli lanciati dai social network di attivisti e dissidenti al «popolo siriano» per una massiccia mobilitazione. La chiamata a tornare in strada è stata seguita però solo da alcune centinaia di giovani a Homs, 180 km a nord di Damasco e a Latakia, 350 km a nord-ovest della capitale.
Nel porto nord-occidentale centinaia di manifestanti sono scesi in strada in sostegno dei «martiri di Daraa», epicentro delle rivolte da più di una settimana e capoluogo della regione meridionale. In questa città, secondo voci incontrollabili, ci sarebbero stati 100 morti.
I giovani di Latakia, invece, proverrebbero dal sobborgo povero di Shaykh Daher; qui la rivolta avrebbe più chiare motivazioni “di classe”, visto che sono stati assaltati i simboli del «regime corrotto». Più numerosi i manifestanti di Daraa, nel Sud. Qui hanno assaltato la locale sede del partito Baath, al potere, e gli uffici della Syriatel, una delle due compagnie di telefonia cellulare, di proprietà di Rami Makhluf.
A Latakia si sono materializzati sui tetti ignoti cecchini, che secondo l’agenzia ufficiale Sana, facevano parte di un non meglio «gruppo armato», che avrebbe sparato su forze dell’ordine e civili. La tv di Stato siriana parla di quattro morti, tra cui un agente. Per l’agenzia Sana, almeno un altro ragazzo sarebbe stato freddato dai colpi di un altro «gruppo armato» apparso a Homs.
Poco dopo, il consigliere presidenziale Buthayna Shaaban è intervenuta sugli schermi di Al Arabiya per affermare che «la Siria è colpita da un progetto di smembramento su base confessionale». Un riferimento esplicito al fatto che la maggioranza della popolazione di Daraa, da cui è partita la protesta, è sunnita, mentre Latakia domina gli alawiti.
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