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Reazioni palestinesi e israeliane al discorso di Netanyahu negli Usa

 

Il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Abu Mazen, ha denunciato oggi come il discorso pronunciato ieri del premier israeliano, Benyamin Netanyahu davanti al Congresso Usa, sia un passo indietro nel processo di pace ed ha confermato che, se non ci sarà modo di riprendere il negoziato, l’Anp chiederà a settembre direttamente all’Onu il riconoscimento dello Stato palestinese entro i confini antecedenti la guerra del 1967. Una ipotesi che ieri però un altro dirigente dell’Anp – Azzam Al Ahmed – aveva “congelato”.

Netanyahu si è allontanato dal processo di pace, ha dichiarato oggi Abu Mazen, riaffermando il giudizio negativo dei palestinesi sul discorso di ieri durante una riunione del comitato centrale di Fatah (il partito del presidente dell’Anp). La riunione è statqa convocata per valutare gli sviluppi della situazione e prelude alla convocazione del vertice dell’Olp e a un successivo incontro con la Lega Araba destinati a fissare formalmente le strategie dei prossimi mesi. Abu Mazen ha anticipato comunque già oggi che l’Anp continua a guardare ai negoziati con Israele come ad una priorità. Ma ha sottolineato che le condizioni poste ieri da Netanyahu (no a qualunque concessione su Gerusalemme, no ai confini del ’67, disponibilità a lasciare fuori dal territorio israeliano solo «alcuni insediamenti» imprecisati, presenza dell’esercito israeliano anche sul confine orientale di un futuro Stato palestinese) non offrono spiragli. Se questa situazione dovesse perdurare, senza un rilancio del negoziato, ai palestinesi – ha concluso il presidente dell’Anp – non resterà dunque che dar seguito all’intenzione annunciata di presentarsi all’Onu a settembre per chiedere all’Assemblea Generale un riconoscimento d’autorità dello Stato Palestinese. Meno possibiliste le valutazioni di Hamas. “È fuori discussione che Hamas riconosca Israele” ha ribadito Mussa Abu Marzuk il dirigente del movimento islamico palestinese in visita a Mosca. “E’ illogico che ci chiedano di riconoscere Israele” ha detto in conferenza stampa, dove ha anche affermato che nessuna legge internazionale prevede che un’organizzazione o un movimento riconoscano l’indipendenza di uno stato, e che il riconoscimento di Israele da parte di Fatah nel 1993 è stato un errore. “Inoltre, riconoscere Israele significherebbe rinunciare al diritto del popolo palestinese al proprio territorio – ha concluso l’esponente di Hamas – e dunque per noi è impossibile riconoscere quello Stato”. L’appello del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu al riconoscimento di Israele come stato nazionale del popolo ebraico è “razzista” e “sono razzisti anche coloro che lo approvano” ha affermato anche il portavoce di Hamas a Gaza, Sami Abu Zohari, secondo il quale il discorso che Netanyahu ha tenuto lunedì ad Aipac, nel quale ha affermato che Israele non intende tornare sulle linee del 1967 linee, è ”un’ulteriore prova che negoziare con Israele è un errore”.

Diversificate le reazioni in Israele al discorso di Netanyahu negli Stati Uniti

Nella sua missione diplomatica negli Stati Uniti, il premier israeliano Benyamin Netanyahu avrebbe fatto meglio ad assecondare le proposte sul Medio Oriente indicate dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama. E’ quanto emerge dalla maggioranza degli intervistati (il 57%) in un sondaggio pubblicato oggi dal quotidiano israeliano Maariv all’indomani del discorso pronunciato da Netanyahu al Congresso in cui, nella sostanza, ha respinto buona parte dei progetti di Obama. Nei giorni scorsi il presidente degli Usa, Barack Obama, si era detto favorevole a una “pace israelo-palestinese” basata sui confini del 1967 corretti però da «uno scambio di territori concordato». Lo stesso Obama si è dichiarato anche contrario al ricorso dell’Autorità Nazionale Palestinese all’Onu, sostenendo che un’iniziativa unilaterale palestinese minaccerebbe d’isolare Israele senza far nascere davvero sul terreno una Palestina indipendente e sovrana al fianco dello Stato di Israele.

Dal sondaggio emergono però dati contraddittori. Da un lato il Likud resta il partito più forte in Israele e lo stesso Netanyahu viene ancora considerato come il migliore dei possibili primi ministri oggi in Israele, distanziando di grande misura Tzipi Livni (Kadima), Avigdor Lieberman (Israel Beitenu) ed Ehud Barak (fuoriuscito dal partito laburista con la nuova lista Atzmaut). Al tempo stesso il 56 per cento degli israeliani dicono di non essere soddisfatti dell’operato di Netanyahu nei primi due anni di governo. Oltre la metà degli intervistati pensano che la migliore via di uscita sia la costituzione di un governo di unità nazionale.

I giornali israeliani commentano oggi il discorso sul processo di pace mediorientale pronunciato ieri al Congresso dal primo ministro Benyamin Netanyahu. Discorso bollato come «un’occasione perduta» dal quotidiano liberal Haaretz, mentre viene invece lodato dal giornale filo-governativo Israel ha-Yom. Molti analisti rilevano che le posizioni espresse da Netanyahu riflettano comunque in buona misura gli umori attuali dell’opinione pubblica israeliana. Haaretz pubblica un allarmato editoriale in cui sostiene che «il premier torna a casa senza alcun annuncio particolare. Conduce israeliani e palestinesi verso una nuova tornata di violenza, e porta Israele all’isolamento, mentre persistono profonde divergenze di opinione con l’amministrazione americana». Quanti in Israele anelano alla pace, conclude il giornale, si meritano un leader diverso.

Diversamente il quotidiano Israel ha-Yom sostiene che Netanyahu, grazie ad un discorso «travolgente», è riuscito ad «unificare il Congresso nel sostegno ad Israele». Netanyahu, secondo il giornale, ha compiuto ieri «due passi ulteriori verso la pace» quando ha anticipato che al tavolo dei negoziati Israele saprà mostrarsi «generoso» per quanto riguarda la estensione del futuro Stato palestinese e quando – malgrado la sua ideologia nazionalista – ha previsto che nel contesto di accordi di pace un certo numero di insediamenti ebraici resteranno fuori dal territorio israeliano, ossia in Palestina. Il giornale dubita tuttavia che queste posizioni basteranno per rimettere in moto trattative di pace perchè, ritiene, il presidente palestinese Abu Mazen preferirà temporeggiare fino alle prossime elezioni palestinesi previste per il prossimo anno.

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