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Libia. Il profumo dei soldi libici. Tripoli ancora sotto le bombe

Secondo alcuni testimoni ci sono stati almeno otto fortissimi boati che nella notte hanno scosso Tripoli intorno alle 23 locali di ieri sera. Poco dopo è stata vista levarsi al cielo una densa colonna di fumo. Una testimonianza diretta della notte più lunga di Tripoli è arrivata dagli inviati, su Twitter: oltre 18 esplosioni. Hanno fatto tremare anche l’edificio del Rixos, l’hotel che ospita appunto la stampa straniera. Lo stesso sarebbe accaduto nell’attacco di ieri sera. I bombardamenti di lunedì sera erano andati avanti per più di mezz’ora e avevano causato, secondo le ultime notizie rese note oggi dalle autorità di Tripoli, la morte di 19 civili e almeno 150 feriti. La Nato, a questo punto, sembra temere lo stallo sul fronte di guerra e ha fretta di chiudere la missione militare annunciando per i prossimi giorni una vera e propria escalation. Il ministero degli Esteri russo ha però denunciato come l’intensificazione dei raid aerei su Tripoli, sia una «grossolana violazione» del mandato dell’Onu, mentre si apprende che il presidente del Sudafrica Jacob Zuma sarà a Tripoli la prossima settimana per discutere una possibile exit strategy per il leader libico Muammar Gheddafi. Lo riporta oggi l’emittente Talk Radio 702, precisando come l’iniziativa di Zuma sia stata presa in collaborazione con il governo turco. Citando fonti di Tripoli, la radio spiega che la missione del presidente sudafricano è ancora in fase di allestimento e che il suo obiettivo sarà quello di discutere le modalità di cessione del potere da parte del Colonnello e un suo eventuale esilio.

Si apre intanto la partita sui rilevanti fondi finanziari libici sequestrati nelle banche occidentali grazie alla risoluzione dell’Onu. A Bengasi l’hanno risolta con un blitz. I ribelli del Cnt si sono infatti impossessati del denaro che il regime di Tripoli custodiva nella sede di Bengasi della Banca centrale libica (circa 505 milioni di dollari). Lo scrive oggi il Washington Post, citando gli stessi protagonisti della ribellione. “Mettiamola così: abbiamo rapinato la nostra stessa banca”, ha dichiarato Ali Tarhouni, ministro delle finanze dei ribelli, citato dal giornale statunitense. L’obiettivo è di alimentare con il denaro del regime di Gheddafi la stessa rivolta. E lo stesso Cnt chiede ora di fare a livello internazionale chiedendo ai governi stranieri, tra loro anche gli Stati Uniti di lasciare che i beni libici confiscati vengano usati per finanziare il Cnt di Bengasi. Dal punto di vista diplomatico – con la richiesta dell’apertura di un ufficio a Washington – e da quello militare – con la campagna della Nato – l’aiuto statunitense ai ribelli non è certo mancato, ma sul sostegno economico ci sono invece problemi. L’amministrazione Obama ed il Congresso non hanno compiuto passi in direzione di un possibile uso dei beni libici, 32 miliardi di dollari congelati nei banche americane. Il ricorso a questo denaro per finanziare i ribelli di Bengasi pone una questione legalmente molto complessa. La Casa Bianca ha chiesto alla commissione Esteri del Senato di mettere a punto un provvedimento che consenta di prendere almeno parte di questi beni ed usarli per sostenere il Cnt. Ma le voci contrarie non mancano: secondo il senatore repubblicano Richard Lugar, si rischia di andare incontro a problemi “prendendo denaro che appartiene ad una nazione ancora sovrana”.

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