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Migliaia in piazza contro Israele: «Via l’ambasciatore»

Un raduno coinciso, casualmente, con le manifestazioni per la «Giornata di Gerusalemme» che a Tehran hanno visto il presidente iraniano Ahmedi Nejad tornare ad attaccare Israele. È la rabbia che mobilita gli egiziani, per l’uccisione il 18 agosto delle cinque guardie di frontiera compiuta da militari israeliani e soprattutto per quella che tanti definiscono la «sudditanza» del paese nei confronti di Israele. Un tema sul quale si cementa in questa fase il consenso nazionale, visto che, per una volta, sono scesi in strada insieme i rappresentanti di vari movimenti salafiti assieme alle «avversarie» confraternite sufi (i mistici islamici).

«Il popolo vuole l’espulsione dell’ambasciatore (israeliano)» hanno scandito i manifestanti al Cairo ma anche ad Alessandria, Qalioubiya e Suez. Non sono mancati momenti di tensione quando un uomo ha sparato alcuni colpi a salve – secondo le testimonianze, inclusa quella di una attivista italiana, Annalisa di Milano, che ieri era Kobri Gamaa – davanti all’ambasciata israeliana ed è riuscito a sfuggire all’arresto. Alla manifestazione non mancavano le bandiere palestinesi. «La protesta contro Israele vuol dire anche sostegno al popolo palestinese che lotta per la libertà», ha spiegato un giovane. I siti d’informazione locali hanno dato spazio alle notizie che arrivavano da Gerusalemme e altre zone dei Territori occupati. Al posto di blocco di Qalandiya l’esercito israeliano ha disperso con lanci di candelotti lacrimogeni un centinaio di dimostranti palestinesi mentre la polizia ha presidiato con centinaia di uomini la zona araba della Città Santa, per l’ultimo venerdì del mese di Ramadan, impedendo l’accesso alla Spianata della moschea di al Aqsa agli uomini con età inferiore ai 50 anni. Le manifestazioni contro l’occupazione israeliana sono state organizzate anche un neonato gruppo giovanile palestinese «Olive Revolution», ispirato alla protesta araba. Da Gaza il premier di Hamas. Ismail Haniyeh, ha ribadito che il suo movimento non riconoscerà mai lo Stato di Israele. Parole che giungono mentre l’Amministrazione Obama ha minacciato ieri, attraverso il console generale a Gerusalemme, Danny Rubenstein, di tagliare i finanziamenti Usa all’Autorità nazionale palestinese (Anp) se il presidente Abu Mazen procederà, come afferma da mesi, alla proclamazione unilaterale d’indipendenza alle Nazioni Unite. Il quotidiano israeliano Haaretz ha riferito che Washington non esiterà ad usare il suo diritto di veto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
Il secco «no» statunitense alla realizzazione delle aspirazioni dei palestinesi alla libertà e all’indipendenza da decenni sotto occupazione militare, accrescono il risentimento arabo verso Israele. Il Segretario generale della Lega araba, Nabil al Arabi, ha detto alla televisione satellitare al Arabiya che l’accordo di pace tra Egitto e Israele «non è sacro come il Corano e il Nuovo Testamento» e che potrebbe avere fine di fronte alle violazioni di una delle due parti. Le parole di al Araby ben rappresentano i sentimenti delle popolazioni arabe, mentre i governi del Cairo e di Tel Aviv appaiono vicini a superare la crisi scoppiata con l’uccisione delle guardie di frontiera. Il premier egiziano Essam Sharaf ha rinunciato a ritirare l’ambasciatore a Tel Aviv come aveva minacciato di fare la scorsa settimana. Il ministro della difesa israeliano Barak da parte sua ha annunciato all’Economist che in deroga agli accordi di smilitarizzazione del Sinai, Israele è incline ad autorizzare l’ingresso in quel territorio di migliaia di soldati egiziani. Immediato il clamore in Israele. Alla Knesset molti dicono, soprattutto quello della maggioranza di destra al potere, che il governo non può modificare gli accordi di Camp David senza essere stato autorizzato dalla maggioranza dei deputati.

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