La magistrata Angela Murrillo ben rappresenta il tribunale speciale spagnolo dell’ Audiencia Nacional, la sua filosofia emergenziale, la sua continuità con il Tribunal de Orden franquista.
La magistrata mostrò la sua professionalità con una arroganza fuori dal comune sia nel processo 18/98 contro associazioni e movimenti politici baschi, che in uno dei tanti processi contro Arnaldo Otegi quando la sentenza di condanna venne revocata per “mancata imparzialità” della giudice nei confronti dell’ imputato. La donna Murillo che riuscì a zittire sarcasticamente la imputata del 18/98, Nekane Txapartegi, che denunciava di essere stata torturata e violentata durante l’interrogatorio.
Nel processo contro i dirigenti della sinistra indipendentista di cui oggi si è conosciuta la sentenza, la Murillo che ha presieduto il dibattimento processuale si è LIMITATA, vista la messa in scena che il tribunale ha istituito con la presenza del giudice Bermudez, a controllare, “il corretto svolgimento dell’ iter processuale”. Come è possibile che un tribunale che minimamente voglia rispettare le regole di imparzialità e la presunta funzione super partes decida di nominare lo stesso giudice che con lo stesso imputato si era visto revocare la sentenza di condanna in un precedente processo per “mancanza di imparzialità”?
Lo avevano detto un paio di mesi fa alte cariche del Tribunale speciale spagnolo che con la fine di ETA il tribunale dovrà “adeguarsi a nuovi compiti”. Eppure è palese la volontà di mantenere inalterata la situazione. Di non voler contribuire ad un nuovo scenario. Per mantenere questo stato di cose esiste una architettura legislativa costruita in questi anni che permette di inventare scenari, lanciare minacce, processare presunte intenzioni.
Per coincidenza, proprio ieri la Procura generale dello Stato, il cui procuratore generale è di nomina politica, ha diffuso il resoconto sull’attività dell’anno scorso in cui sostiene che ETA “continua a disporre di commandos in territorio spagnolo e francese che possono attivarsi in qualsiasi momento se la sua strategia non sortisce gli effetti desiderati”. Nonostante ETA non sia attiva da più di due annui. Nonostante abbia accettato di fatto e nei comunicati la svolta della sinistra indipendentista basca per “uno scenario democratico senza ingerenze ne violenze”.
Governo e apparati dello stato spagnoli non vogliono vedere, non vogliono constatare. Lo ricordavano esponenti della sinistra indipendentista che Madrid dovrebbe verificare che il cessate il fuoco “permanente, generale e verificabile” di ETA è tale, che un nuovo scenario di dialogo e soluzione al conflitto necessita del contributo anche del Governo spagnolo. Invece la paura di trovarsi senza argomentazioni nell’affrontare un nodo politico della questione basca porta a comportarsi come se nulla fosse accaduto, a mantenere inalterate le misure coercitive, le minacce, a rimanere comodi nella cultura antiterrorista che è stata in questo decennio lo strumento principale per conseguire il consenso elettorale. Tutto è lecito quindi. Come la richiesta di giudizio, avanzata dalla Procura generale, nei confronti del sindaco del paesino di Leitza dove durante la festa patronale è stato esposto uno striscione che richiede il “rimpatrio dei prigionieri politici baschi”. O come le minacce del Ministro della Giustizia spagnolo contro la giunta di un altro municipio, quello di Alsasua, per aver autorizzato una pantomima sul Re Juan Carlos. Perché non vi siano dubbi in proposito il dimissionario Procuratore Generale, Conde Pumpido, ha detto che Sortu, il partito nato dalla sinistra indipendentista che nel suo statuto “rifiuta la violenza compresa quella di ETA” non dovrà essere legalizzato “fino a quando esisterà ETA”.
La sentenza di oggi quindi rientra, purtroppo, perfettamente nello schema della rappresaglia. Che guida ancora la politica spagnola nei confronti della questione basca. Oggi sono stati condannati e condannate uomini e donne che hanno promosso una svolta nella sinistra indipendentista, abbandonando l’idea che con la violenza armata si possa conseguire il contesto di reale democrazia in cui tutte le opzioni presenti nel Paese basco possano confrontarsi su un piano di parità di diritti e dove il progetto per l’indipendenza ed un società progressista, basata sulla giustizia sociale e la solidarietà internazionale, possa essere realizzato se cosi lo vorrà la maggioranza della popolazione.
Le elezioni del maggio scorso hanno testimoniato che questo settore sociale ha un peso determinante nella società basca. 114 municipi e la provincia di San Sebastian hanno un governo di sinistra e che rivendica la sovranità basca. Di questo hanno paura a Madrid. Che con “il voto e la parola” la questione basco spagnola possa trovare una soluzione. Per questo i prigionieri politici di opinione Arnaldo Otegi, Rafa Diez, Sonia Jacinto, Arkaitz Rodriguez e Miren Zabaleta sono stati condannati e condannate dalla giustizia spagnola.
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