L’era Zapatero ha ormai i giorni contati: il premier spagnolo ha sciolto oggi formalmente le camere – il decreto è stato firmato da re Juan Carlos di Borbone – e convocato come previsto per il 20 novembre le elezioni anticipate, le prime da 25 anni che non lo vedranno candidato.
Il leader “socialista” spagnolo, al potere dal marzo 2004, ex icona della sinistra europea, impantanato da tre anni nella più grave crisi economica che il paese abbia conosciuto da 80 anni, ai minimi storici di popolarità, non sarà infatti candidato a nulla. Nè a un seggio in parlamento, nè tanto meno alla propria successione a Palazzo della Moncloa.
I socialisti vanno alla battaglia elettorale guidati non dal premier uscente ma da Alfredo Rubalcaba, vicecapo del governo fino a luglio. Per l’ex ministro degli Interni, definito dai diplomatici americani nei dispacci ‘filtratì da Wikileaks «il più intelligente» fra i ministri del governo Zapatero, sarà una impresa quasi impossibile. Tutti i sondaggi danno il capo dell’opposizione, il leader del Partido Popular Mariano Rajoy, grande favorito nella corsa alla Moncloa. L’ultimo, pubblicato oggi da El Periodico, prevede uno tsunami dei popolari, che con il 46,1% potrebbero ottenere una maggioranza assoluta di 189 seggi su 350 al Congresso dei deputati, perfino meglio di Josè Maria Aznar nel 2000.
Il Psoe andrebbe invece verso una sconfitta storica, con il 31,4% si fermerebbe sui 121 seggi. Gli effetti della crisi economica, la gestione ondivaga dal 2008 di Zapatero, le dure misure anticrisi decise nell’ ultimo anno, la situazione drammatica di una disoccupazione al 21% – un record europeo – hanno fatto crollare le intenzioni di voto per i socialisti.
Un elettore del Psoe del 2008 su cinque non intende votare di nuovo per i socialisti, ma solo uno su 10 è passato al Pp. La campagna elettorale ufficialmente inizierà il 4 novembre e finirà il 18, ma fra Rajoy e Rubalcaba il duello è già iniziato. Il primo si presenta come la ‘forza tranquillà del ‘cambiamento’, il secondo è costretto ad attaccare per cercare di rimontare.
Il 13 dicembre si riunirà il nuovo parlamento, e per Natale, forse già il 20 dicembre, potrebbe esserci il nuovo governo. Una transizione ordinata organizzata dallo stesso premier, che a luglio ha deciso di anticipare di 4 mesi la scadenza elettorale. A 51 anni, Josè Luis Zapatero ha anche ufficializzato oggi il suo ritiro dalla politica attiva: per lui, ha spiegato, «si conclude una tappa» e prende fine «l’attività politica di primo piano». Cosa farà dopo non è chiaro. La sola cosa certa è che sta costruendo una casa in una grande proprietà a Leon, in Castiglia, dove andrà a vivere dopo le elezioni con la moglie, la cantante lirica Sensoles, e con le due figlie.
Le offerte di lavoro non dovrebbero comunque mancargli: i suoi due predecessori, il conservatore Josè Maria Aznar e il socialista Felipe Gonzalez, dopo avere lasciato la Moncloa non hanno avuto difficoltà a trovare poltrone eccellenti nei consigli di amministrazione di grandi società.
Ed è questo, forse, che distrugge a ogni passo la credibilità “socialista” di certi personaggi: possono fare di tutto, passare da un ruolo all’altro. Fregandosene della popolazione e delle conseguenze dei propri atti.
Poi sorge un dubbio. Zapatero lascia la politica, D’Alema e Veltroni no. Perché gli spagnoli hanno tutte queste fortune?
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